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Pedro Lenz racconta la dura vita degli emigranti in Svizzera: un brano dal suo romanzo

Pubblichiamo un estratto da “Primitivo”, storia ambientata negli anni ’80 tra lavoratori venuti dalla Spagna e con inquietanti rimandi al passato del ’900 più drammatico

Pedro Lenz racconta la dura vita degli emigranti in Svizzera: un brano dal suo romanzo
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13 Dicembre 2021 - 15.41


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Ricordate la canzone “Pablo” dall’album “Rimmel” di Francesco de Gregori? Canta di un emigrante spagnolo, Pablo appunto, che inizia alla consapevolezza politica un emigrante italiano e, da quanto rimanda il testo, viene ammazzato per la sua azione politica “hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo” canta il cantautore). È da un paio di mesi nelle librerie un romanzo che ha un “aggancio” in qualche modo analogo che rimanda agli emigranti al lavoro in Svizzera  pur se se è meglio non mescolare le carte e fermarsi qui con i parallelismi.
Il romanzo è “Primitivo” (Gabriele Capelli editore, pp. 184, euro 18,00 traduzione di Amalia Urbano), dello scrittore svizzero tedesco Pedro Lenz
Come ricorda la nota stampa, in questa vicenda ambientata nella Svizzera tedesca degli anni ’80, “il giovane Charly, muratore per scelta, cerca la sua idea del mondo accompagnato dagli insegnamenti di Primitivo, vecchio emigrato spagnolo e compagno di cantiere. Quando Primitivo muore sul lavoro, Charly deve scendere a compromessi con l’età adulta, tra ricerca di emancipazione e scomode inaspettate eredità dell’amico legate ai crimini nazisti”. 
Il romanzo ha ricevuto i premi di Letteratura del Canton Berna 2021 e il Literaturpreis Dreitannen 2021. Lenz si è effettivamente diplomato nel 1984 come muratore, ha preso la maturità nel 1995, dal 2001 è scrittore a tempo pieno. Pubblichiamo qui di seguito un estratto per gentile concessione dell’editore. 

Pedro Lenz: quando Charly rispose per le rime a Primitivo

Ma comunque volevo raccontare di un altro episodio legato a Primitivo. Una volta, quando avevo appena iniziato l’apprendistato, durante la pausa pranzo, Arturo, un altro spagnolo come lui, mi comincia a sfottere parlando di ragazze. Chiedendomi se avessi già una ragazza o magari più di una. Se avessi già fatto qualche esperienza e se mi fosse piaciuto e altre cose del genere di cui magari si può parlare tra amici, ma di certo non al lavoro e con colleghi che cercano il minimo pretesto per poterti prendere in giro. A ogni domanda che mi faceva c’era qualcuno che rideva con cattiveria.
Io avevo risposto che la cosa non lo riguardava. E poi, siccome Arturo non la finiva più di fare battute stupide, a un certo punto mi sono stufato: ma cosa te ne frega di sapere con chi sono andato a letto e quante volte è successo. Io non faccio lo spaccone con storie di donne.
Come no, è che non vuoi ammettere di non averlo ancora fatto, se non da solo, aveva risposto Arturo, ridendo a crepapelle. Ma prima o poi devi pure toccare qualcuna. Mica puoi sempre solo dire belle parole. Non si tratta di questo, ho risposto. Si tratta del fatto che mi domandi cose che non ti riguardano. Io non ti chiedo mica con chi e quante volte tua moglie lo fa in Spagna, mentre tu sei in Svizzera e dici fesserie.
Non avevo nemmeno finito di pronunciare la frase che Arturo mi aveva già mollato un bel ceffone. Per non perdere l’equilibrio mi sono dovuto tenere alla sua giacca e quando stava per darmene un altro Primitivo, con tutta calma, gli aveva detto di smetterla. Gli fa: Vale ya!, che significa più o meno: adesso basta. Primitivo non l’aveva detto a voce alta, ma piuttosto piano, siccome però aveva una voce molto profonda faceva quasi più impressione che se avesse gridato. Arturo mi ha lasciato stare. Poi, quando abbiamo ripreso a lavorare, Primitivo mi ha detto che non dovevo mai più dire una cosa del genere, ma davvero mai, mai più. E che era già abbastanza difficile vivere soli in un paese straniero, se poi ci si doveva anche preoccupare della propria moglie rimasta a casa, allora era davvero troppo.
Non riuscivo a cogliere la logica in tutto questo. Che la smettesse di provocarmi se poi aveva paura delle risposte, gli ho detto, e che non sapevo cosa farmene di quei discorsi stupidi sull’onore e sull’orgoglio e di quel continuo parlare a vanvera. Per me orgoglio e onore erano due parole di stampo nazista. E se Arturo pensava di poter intrattenere il pubblico delle baracche a spese mie, allora aveva sbagliato persona, visto che a dire stupidaggini ero capace anch’io.

Doveva averlo colpito molto che un ragazzino come me potesse fare un discorso così.
Mi aveva guardato a lungo, e dopo aveva detto che forse non avevo poi tutti i torti. Però dovevo capire che era davvero dura stare lontani dalla propria moglie per nove mesi solo perché la legge era stata concepita in maniera tale da non permettere agli emigranti di stare con la propria famiglia. E dopo, per un attimo, non abbiamo detto più nulla.
Poi mi aveva chiesto cosa pensavo di fare sabato mattina. Ho risposto di non saperlo ancora, ma quando il venerdì sera andavo a zonzo con gli amici poi il sabato mattina facevo delle grandi dormite, fino a quando mio padre non si scocciava e mi buttava giù dal letto.
Allora mi ha detto di fare un’eccezione sabato prossimo e, invece di dormire, di passare da lui alle otto. Avrebbe preparato una bella colazione e avremmo potuto fare ancora discorsi stupidi riguardanti l’onore, l’orgoglio e la dignità.
Alle otto? Mi sembra molto presto per essere un sabato libero.
Alzarsi presto è una cosa molto bella, soprattutto se non siamo obbligati a farlo, cioè se lo facciamo di nostra spontanea volontà.
Ma dimmi, Primitivo, il cancello d’ingresso è già aperto il sabato mattina a quell’ora?
Certo che sì.
Allora, grazie per l’invito.
Non c’è di che.

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