Le manifestazioni di piazza sono parte essenziale della democrazia. Ma molto è cambiato, nei decenni. Un ottimo strumento per comprendere cosa accadeva e cosa accade oggi è “In piazza. Rabbia e passione” del fotogiornalista Dino Fracchia (Interno 4 Edizioni, pp. 224, euro 19): il volume raccoglie scatti dalle proteste italiane dagli anni ‘70 ad oggi, dagli operai alle femministe di quegli anni aagli studenti e i punk nel decennio successivo; passando per il drammatico G8 di Genova del 2001 con le proteste represse con estrema violenza dalle forze dell’ordine, con troppi interrogativi tuttora in sospeso su che dette gli ordini. Il libro arriva ai nostri giorni, alle donne di Non una di meno e ai ragazzi di Fridays for future fino alle manifestazioni durante il Covid.
Fracchia è nato a Milano nel 1950 e ha lavorato per molte delle principali testate nazionali e internazionali in Europa, Africa, Medio Oriente e Americhe. Il libro ha contributi scritti di più autori quali Erri De Luca, Patrizio Fariselli degli Area e tra altri Vittorio Agnoletto che, uno degli organizzatori delle manifestazioni a Genova per il G8, riflette su quei giorni così duri e concitati. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo brani dal testo di Carlotta Cossutta: “Anni 2000. Non una di meno”.
di Carlotta Cossutta: “Anni 2000. Non una di meno”
Allerta, allerta, allerta che cammina/ lotta transfemminista dalla sera alla mattina/ che tremi, che tremi, che tremi ogni fascista/ oggi Milano è tutta femminista
Questo slogan ha risuonato nelle strade di Milano (ma non solo, opportunamente cambiata la città citata) in tutti gli ultimi 8 marzo attraversati dal corteo dello sciopero globale transfemminista. Un’allerta che introduce un modo di riprendersi lo spazio pubblico in maniera dirompente e capace di scompaginare le forme rituali della militanza. I cortei di Non una di meno, infatti, sono caratterizzati dalla coesistenza di radicalità, lunga preparazione condivisa che rende chiunque partecipi estremamente consapevole dei temi per cui si è in piazza, gesti simbolici, rabbia e gioia allo stesso tempo.
Scendere in piazza, per Non una di meno, vuol dire, infatti, mettere in comune dei processi di soggettivazione politica, di cui le manifestazioni sono parte integrante. Non nel senso rituale di portare in piazza percorsi fatti altrove, anche, ma soprattutto perché nel marciare insieme si costruiscono relazioni che fanno parte di un modo di pensare la città e se stesse che è già politica. E in questo processo è forte la rabbia di opporsi a delle condizioni di oppressione, ma anche la gioia di mettere già in atto, anche se solo per poche ore, il mondo per cui si sta lottando. E lo si vede nei volti delle giovanissime ragazze che affollano le piazze e in quelli delle donne che hanno attraversato diverse stagioni femministe, nei vestiti scelti con cura, come si andasse a una festa, e nella determinazione con cui si esplicitano le proprie rivendicazioni, nei racconti intimi scanditi al megafono e nei balli sfrenati.
(…)
Le piazze di Non una di meno, però, in questi anni sono state anche dei laboratori di cura condivisa, in cui portare fuori dalle pareti domestiche tutto quel lavoro riproduttivo che spesso rimane invisibile agli occhi. Non una di meno, infatti, sa che spesso anche la possibilità stessa di fare politica è un privilegio e che molti degli spazi e dei tempi della politica sono inaccessibili per chi è costretta a svolgere lavori di cura che per loro natura non possono essere interrotti. Per questo in tutte le piazze dell’8 marzo, è non solo, ci sono sempre stati momenti di cura condivisa di bambine e bambini, orientati a permettere l’emergere anche dei desideri e delle rivendicazioni dei e delle più piccole. Inoltre, la rivendicazione della condivisione della cura ha sovvertito le gerarchie dei gesti politici e ha dato un significato concreto alla parola alleanza: ai maschi che chiedevano come partecipare è stato chiesto di preparare il pranzo per permettere alle compagne di discutere ed elaborare le proprie analisi politiche.
Un’azione simbolica, ma anche estremamente materiale che mostra quanto teoria e prassi viaggino inevitabilmente intrecciate se si mettono al centro le vite, le loro contraddizioni e i loro pesi, senza pensare che per accedere allo spazio pubblico di debba essere individui autonomi e autosufficienti. Le piazze di Non una di meno mostrano come indipendenza e autodeterminazione non possano darsi se non in uno spazio di condivisione e di sorellanza.
Insieme siam partite, insieme torneremo/ non una, non una, non una di meno
Questa capacità di mettere al centro la cura è stata quella che ha permesso a Non una di meno di rimanere viva anche durante la pandemia, quando l’impossibilità di andare in piazza nei metodi collaudati ci ha imposto di ripensare tutto ancora una volta. L’8 marzo 2020 ci siamo affidate a una diretta radio lunga un giorno per riempire lo spazio pubblico con le nostre voci, potenti quanto i nostri corpi. Abbiamo parlato, scandito slogan, raccontato la città che iniziava il lockdown e abbiamo pensato a quanto questo mezzo fosse accessibile e potesse arrivare in quelle case che tante volte avevamo portato all’esterno. Il gesto è sempre quello: rompere confini, questa volta entrando in quei luoghi, come le case e le stanze, che troppo spesso vengono considerati impermeabili all’esterno e che, invece, sono spazi sociali.
E questo 8 marzo 2021 siamo tornate in piazza, ma lavorando per renderla attraversabile a corpi diversi, in un’ottica anti-abilista che contribuisce, anch’essa, a guardare la città con occhi nuovi. Ancora una volta non si tratta di tutela, ma di condivisione e di sovversione di tutto quello che consideriamo radicale.
La nostra rabbia si esprime nella forza che ci diamo a vicenda e nel tenerci insieme: non una di meno.