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Recovery plan, una proposta mette a rischio la tutela del patrimonio culturale 

Una bozza di decreto legge per le energie rinnovabili del ministero della Transizione ecologica sottomette le soprintendenze al “silenzio assenso”. L’archeologa Irene Berlingò spiega perché è sbagliata

Recovery plan, una proposta mette a rischio la tutela del patrimonio culturale 
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16 Maggio 2021 - 21.01


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Irene Berlingò *

Nella bozza del decreto presentato dal Ministero per la Transizione Ecologica c’è una proposta che sospenderebbe la tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico e archeologico: riguarda la semplificazione delle procedure per autorizzare i lavori di costruzione di impianti per le energie rinnovabili finanziati con il Recovery Plan. Ne scrive un’archeologa, già dirigente al Ministero della Cultura e presidente dell’associazione Assotecnici, oggi in pensione 

Una proposta sospenderebbe la tutela
In questi giorni si è venuti a conoscenza della proposta di un decreto che sospenderebbe la tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico e archeologico. Si tratta infatti della bozza di decreto legge presentata dal ministero per la Transizione Ecologica concernente “Disposizioni urgenti in materia di transizione ecologica”, per lavori di costruzione di impianti per le energie rinnovabili finanziati con il Recovery Plan. All’articolo 4, denominato “Norme di semplificazione in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili”, si prevede sia il ricorso al silenzio assenso, strumento ancora e di nuovo usato come semplificazione, sia il parere delle soprintendenze solamente in relazione ai progetti aventi ad oggetto impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree sottoposte a tutela, cioè in zone sottoposte a vincolo o nei casi in cui, “a seguito dell’istanza di autorizzazione, la Soprintendenza verifichi che l’impianto ricade in aree interessate da procedimenti di tutela ovvero da procedure di accertamento della sussistenza di beni archeologici in itinere alla data di presentazione dell’istanza di autorizzazione unica”. 
Anzi, esclude la partecipazione delle soprintendenze “in particolare, per i procedimenti di autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili da realizzare in aree contermini a quelle sottoposte a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42″.

Le soprintendenze possono solo tacere o assentire
In altri termini, significa che le soprintendenze devono tacere e assentire se non si conosce in particolare il terreno dove si deve costruire l’impianto, a meno che non sia già conosciuto e vincolato per ritrovamenti archeologici o particolare pregio paesaggistico. Insomma se si vuole fare assurdamente un bell’impianto in una necropoli etrusca, a Cerveteri o Tarquinia, si può intervenire, altrimenti in nome della transizione ecologica (sic) si ignorano strumenti preventivi, da molto tempo in uso e nell’ordinamento giuridico italiano, come l’archeologia preventiva, faticosamente acquisita nel 2005, su esempio della legge francese.

Un ecologismo di facciata
Tale operazione, mascherata ad arte dietro un malinteso ecologismo, non è nient’altro che la sospensione della tutela del patrimonio comune in aperta contraddizione al dettato dell’articolo 9 della costituzione, tentativo che già pochi mesi fa venne rigettato alla Camera dei Deputati dalle giunte delle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Bilancio (I e V) per vizio di incostituzionalità.
Eppure basterebbe poco per preservare il patrimonio archeologico e paesaggistico della Nazione, basterebbe una corretta e professionale progettazione, requisito più che mai necessario in un momento che presuppone un forte consumo del territorio, a garanzia dei cittadini. 

Serissimi i contraccolpi occupazionali 
Una tale visione della “semplificazione” inoltre provocherebbe serissimi contraccolpi occupazionali su migliaia di archeologi che prestano, in qualità di professionisti, la loro opera nella tutela, spazzando via le prospettive occupazionali di una intera generazione di professionisti impegnata nell’archeologia preventiva e conseguentemente assestando un colpo formidabile alla formazione e alla ricerca. Infatti proprio per casi come questi è stata pensata la normativa sull’archeologia preventiva, impedendo il danno economico proveniente da un fermo dei lavori con l’indagine preventiva sul territorio, proprio per snellire le procedure, come si fa ormai da un decennio.

Consulte universitarie e associazioni protestano
Né si può auspicare un più frequente ricorso a strumenti vincolistici di tutela in un Paese ad alta densità di beni archeologici e paesaggistici, che provocherebbe, questo sì, una forte limitazione dello sviluppo dei territori. Dunque bene fanno le associazioni di categoria e le consulte universitarie che operano nel settore dell’archeologia ad attirare l’attenzione su questo provvedimento ed è assolutamente auspicabile che il ministro della Cultura Dario Franceschini si adoperi in ogni modo per contrastare delle norme in contrasto con la Costituzione, con il Codice dei Beni Culturali e con la normativa sull’archeologia preventiva, in linea con la normativa europea.

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