Sono passati quattro anni dal 23 luglio 2011, giorno in cui fu trovata morta nella sua casa londinese la cantante Amy Winehouse. Stroncata dall’alcol – l’autopsia accertò che nel corpo della star ce n’erano 416 milligrammi ogni cento millilitri di sangue -, Amy Winehouse è entrata a far parte di quello che è conosciuto come il club dei 27, insieme a Jimi Hendrix, Jim Morrison e Janis Joplin, anche loro morti a 27 anni.
Cantautrice, stilista e produttrice discografica britannica di origine ebraica, figlia di un bassista e una farmacista, Amy Winehouse si era avvicinata al mondo della musica già 10 anni, fondando un gruppo rap. Nel 2003, appena ventenne, il suo talento era esploso con la pubblicazione dell’album “Frank”, apprezzato da pubblico e critica, soprattutto per la sonorità così particolare della sua voce, abbinata ad un look eccentrico dal gusto retrò.
Nel 2007, Amy Winehouse è consacrata definitivamente nell’olimpo della musica con il suo secondo album “Back to Black”: fu proprio questo l’anno in cui si verificò la repentina discesa agli inferi dell’artista. L’album ebbe un successo planetario, tanto da vincere ben cinque Grammy Awards. Problemi di salute, legati ai disturbi alimentati, abuso di droga e alcol: cominciò così il declino dell’artista. I problemi della vita privata dell’artista non influenzano la sua musica, nel 2011 uscì il suo terzo album: un altro trionfo.
Nell’ultimo periodo della sua tormentata vita, Amy Winehouse alterò performance live eccezionali a disastrosi show, come la sua ultima apparizione pubblica a Belgrado, dove, palesemente ubriaca, non era riuscita a cantare nemmeno una canzone.
E proprio a quattro anni dalla morte è arrivato sul grande schermo il primo documentario dedicato a Amy Winehouse, diretto da Asif Kapadia. Attraverso interviste, video privati e concerti, “Amy” ripercorre la sua rapida ascesa in paradiso e l’altrettanto rapida caduta agli inferi.
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