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Il web Fest, un polpettone di idee decrepite

In un festival con pretese di promuovere nuovi modelli, nuovi autori, nuovi produttori, si sono viste solo proposte vecchissime presentate alla buona.

Il web Fest, un polpettone di idee decrepite
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6 Ottobre 2014 - 11.14


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di Stefano Torossi

Loro ci provano a uscire dall’ombra, strizzati come sono, qui a Roma, fra il Fiction Fest e la Festa del Cinema, ma secondo noi hanno ancora parecchia strada da fare. E soprattutto una strada diversa.
Parliamo di quella che vorrebbe essere la vetrina dell’ultimo territorio ancora poco esplorato dello spettacolo in Italia. Basta con le sale cinematografiche, basta con gli schermi TV! Qui siamo nel modernissimo: il web, la rete, la comunicazione universale e gratuita.

Sottotitolo dell’evento: “Il cinema al tempo del web”.

Nel pieghevole l’organizzazione si presenta così: “Il Roma Web Fest promuove un nuovo modello di raccordo tra mercato cinematografico tradizionale da un lato, nuovi autori e giovani produzioni che utilizzano il web come canale produttivo e distributivo, dall’altro”.
Una premessa che è una promessa. Però poi bisogna essere capaci di mantenerle, le promesse.

Maxxi, domenica 28. Un tiepido pomeriggio. All’ingresso, fighetti con cappellucci striminziti, pantaloncini striminziti, giacchette striminzite; e ragazze con ampie scollature e protervi sederoni. Una situazione pittoresca. Fuori in giardino, famigliole con tanti bambini, monopattini, biciclettine. Insomma, un tranquillo week end di fine estate in città.
Poi tutto precipita con l’ingresso in auditorium per la visione dell’ultima produzione in concorso, una serie di sketch destinati, appunto, al pubblico del web. Titolo: “SOS Sesso”.

Come spiegare il nostro disagio?
Abbiamo subito una mezz’ora di diffusa volgarità, di recitazione approssimativa, di una sceneggiatura perfino peggiore di quelle di Alvaro Vitali, di un’animazione miseranda e troppo ripetuta, e infine di una colonna sonora (ci fa male lo stomaco a chiamarla così) fatta di fischi, botti e pernacchie che neanche a Paperissima.

E in più, davvero imperdonabile in un festival con pretese di promuovere (come da presentazione) nuovi modelli, nuovi autori, nuovi produttori, ci è stato servito un polpettone di idee vecchie, vecchissime, condite in modo altrettanto decrepito da battute consunte e con un andazzo spiacevolmente casereccio.
Sul programma stampato si affolla, forse inconsapevole, una schiera di rispettabili sponsor: Mibac, Regione Lazio, Roma Capitale insieme ad Anica, Agis, Rai Fiction. Mah.
Evitiamo di fare i nomi dei responsabili e ci auguriamo che gli altri progetti siano stati, anche se di poco, migliori. Non lo sapremo mai. Quanto a noi, una delle peggiori esperienze degli ultimi anni.

Reliquie

Facciamo un salto da un orrore profano a uno sacro. Siamo abituati da tempo al teschio di Santagnese, al cuore disseccato di Sancarlo, all’ampolla di sangue di Sangennaro. Ma il sontuoso reliquiario che recentemente ci siamo trovati di fronte nella chiesa della Maddalena, supera tutto.

Si tratta di una teca a due livelli, sapientemente progettata, che ospita al piano di sopra, in penombra, la perfetta figura in cera, di sicuro somigliantissima, di San Camillo de’ Lellis. La testa appoggiata su due candidi cuscini, il corpo avvolto in un sontuoso mantello, i piedi calzati in scarpe lucide, dall’aspetto forse un po’ troppo moderno (sembrano proprio un paio di mocassini inglesi).

Fin qui, tutto bene. La sorpresa è al piano di sotto: brillantemente illuminato, ecco lo scheletro completo, ben composto e lucido, del suddetto San Camillo; per lo meno a dar retta al cartiglio di spiegazione.
Qui, con tutto il rispetto dovuto al personaggio, ci sarebbe da chiedersi se la venerazione vada tributata alla forma umana artificialmente riprodotta di sopra, certo più tranquillizzante, oppure all’indiscutibilmente autentica intelaiatura del corpo mortale, che sta di sotto.
E come hanno fatto a procurarsi quello scheletro completo e in così buone condizioni?

Probabilmente seguendo la ricetta in uso a quei tempi per ricavare preziosi, incorruttibili frammenti di santi o imperatori. Pare che non esitassero a buttarne il corpo (dopo morti, speriamo) in un pentolone e a farlo bollire finché tutta la carne si staccava lasciando l’osso spolpato, presentabile e venerabile.

Proprio come un pollo lesso.

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