di Antonio Salvati
Chi ha cuore le sorti del cristianesimo non può tralasciare la lettura dell’ultimo volume di Andrea Riccardi, La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo, (Laterza, pp. 256, € 20) che contiene un’articolata e ricchissima riflessione sulla profonda crisi che sta attraversando il cattolicesimo. Già dal titolo si evince la crisi religiosa che chiama le comunità dei credenti a una condizione “agonica”, di lotta, in primis contro l’indifferenza e l’irrilevanza. Emblematicamente, nella sua analisi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio prende le mosse da una vicenda drammatica ed assai evocativa come l’incendio della Cattedrale parigina di Notre Dame nella notte tra il 15 e il 16 aprile 2019. «È stato un fatto enorme, simbolico – osserva –, che ha spinto credenti e non credenti ad andare al di là dell’evento, a chiedersi cosa sarebbe la Francia, cosa sarebbe l’Europa senza la Chiesa». La sorte di Notre-Dame quasi materializza bruscamente quello che sta accadendo al cattolicesimo in Francia, in varie parti d’Europa, nel mondo intero.
Il cattolicesimo non è tutto della Francia, ma la Francia è impensabile senza il cattolicesimo. Il rapporto singolare che la Francia ha stabilito nel corso dei secoli tra lo spirituale e il temporale è derivato da una cattolicizzazione del potere politico e da una laicizzazione dell’autorità religiosa. Questa è stata l’eccezione francese. Nel 1910, la chiesa di Francia è la prima delle chiese cattoliche nel mondo per numero di fedeli e per potenza intellettuale, ma anche come fonte apostolica, perché la primavera delle missioni, nel Diciannovesimo secolo, è stata anzitutto francese. Dopo un secolo in Francia – e non solo – in tanti si interrogano: la Chiesa c’è ancora? Oppure è destinata a una progressiva scomparsa? Così il cattolicesimo è ritornato, almeno per un momento, al centro del dibattito, però quasi sempre con valutazioni preoccupate sul suo futuro. Preoccupazione che – sottolinea Riccardi – va oltre il recinto cattolico: «fatto rivelatore non solo di un cristianesimo diffuso, ma anche della presenza di una cultura laica sensibile all’esistenza del cristianesimo. Non si possono polarizzare i sentimenti di fronte all’evento in due sole posizioni, quella dei cattolici e quella del mondo laico. Questa bipartizione è stata generalmente vera all’epoca degli scontri frontali tra cattolicesimo e laici o tra cattolicesimo e comunismo, anche se sovrapposizioni, parentele e legami sotterranei ci sono sempre stati. Ma il muro è caduto, e da tempo. Oggi si è meno cristiani, ma forse anche meno anticristiani. Tanti si sono chiesti, magari solo per un momento: che cosa sarà il mondo senza la Chiesa? Poi sono successi tanti altri fatti e l’attenzione si è spostata sulla grande crisi globale del Covid-19. Ma la domanda su un mondo senza Chiesa resta. È anche una delle domande per la ricostruzione dopo la crisi: che cosa sarà un mondo senza Chiesa?».
Gli studi e i saggi sulla crisi cattolica sono stati e continuano essere tanti. Molti della mia generazione ricordano il volume, uscito nel 1977, dello storico francese Jean Delumeau dal titolo emblematico Il Cristianesimo sta per morire? Un libro che tanti trovarono impertinente perché si collocava nel clima caldo del post-Concilio e con una chiesa che si presentava ancora in una situazione rassicurante. Dopo il Vaticano II, ma in particolar modo in questi anni del nuovo secolo il dibattito sulla crisi cattolica ha – precisa Riccardi – «voltato le spalle alle passioni di un tempo e all’ottimismo della volontà riformatrice attraverso cui analizzare la crisi e superare le difficoltà. Ottimismo e passione hanno abitato gli anni dopo il Concilio, quando si è pensato, lavorato, sognato per attuare cambiamenti nella Chiesa. Oggi invece sono carenti le proposte, ma forse anche gli entusiasmi, seppure è difficile misurare obiettivamente la temperatura del dibattito. La crisi cattolica sembra però forte: paragonabile all’incendio di Notre-Dame».
Oggi la crisi viene soprattutto dalla decrescita degli indicatori della vitalità cattolica. Dunque dall’interno e non dall’esterno. I parametri vitali del “corpo ecclesiale” danno segnali preoccupanti ovunque, ma soprattutto in Europa. Evidentemente – spiega l’autore – la fine di un corpo sociale bimillenario come la Chiesa non è simile alla scomparsa di un uomo, perché lascia dietro di sé, per tempi lunghissimi, tracce, eredità, fedeli, istituzioni e tant’altro. «Forse si potrebbe sospettare che la soglia della fine sia già passata e che stiamo operando sui “resti” di un processo ormai avanzato. Capisco che per i credenti non sia facile accettare questa ipotesi, che potrebbe essere tacciata di pessimismo. Ma è onesto intellettualmente e responsabile misurarsi anche con essa».
I sintomi della crisi sono molti. Da un lato gli scandali legati alla pedofilia del clero e dei religiosi, che hanno fatto perdere prestigio al clero. Dall’altro, la curva statistica che indica il calo della pratica religiosa dei fedeli nei principali paesi europei. E il calo delle vocazioni, che hanno portato alla significativa riduzione del clero, dei religiosi e delle religiose. La storia dell’ultimo mezzo secolo ha nel suo complesso travolto attese ed entusiasmi, malgrado la lunga parentesi del pontificato di Giovanni Paolo II per il quale andrebbe fatto un discorso a parte. Infatti, Wojtyła lottò, con il suo carisma, contro uno stato d’animo depresso diffuso nel cattolicesimo di fine anni Settanta. Per il papa, «lo “spirito di crisi” era generatore di crisi. Ma, per taluni, il carisma di Wojtyła ha “coperto”, più che risolto, la situazione. L’interpretazione degli anni di papa Wojtyła resta da affrontare: parentesi o cambiamento incompiuto?». In realtà, tutto è molto complesso. Le Chiese possono anche finire. La storia ricorda che in passato sono drammaticamente scomparse alcune grandi Chiese, come quelle latine dell’Africa del Nord, di Agostino d’Ippona e di Cipriano di Cartagine, che tanto hanno dato al cristianesimo con lo sviluppo del pensiero, con vicende di santità e di martirio. Pochi anni fa lo storico americano Philip Jenkins, in un interessantissimo volume, ha indagato sul millennio d’oro della Chiesa tra il Medio Oriente delle origini e la grande espansione missionaria in Asia, sino alla Cina. Un cristianesimo glorioso di cui restano solo alcune reliquie nelle Chiese d’Oriente, in particolare quelle assira e caldea, oggi presenti soprattutto in Iraq.
Occorre chiedersi cosa significa vivere in un’età secolare? Il posto occupato dalla religione è profondamente cambiato in Occidente nell’arco di pochi secoli. Lo storico Charles Taylor alcuni anni fa, indagando le conseguenze di questo sommovimento culturale, si è chiesto che cosa accade nella vita delle persone quando una società in cui era praticamente impossibile non credere in Dio diventa una società in cui la fede, anche per il più convinto dei credenti, è solo un’opzione tra le tante. Per Taylor viviamo in un mondo caratterizzato non tanto dall’assenza di religione quanto dal moltiplicarsi delle opzioni religiose e dalla comparsa di nuove forme di spiritualità e irreligiosità cui i singoli gruppi o individui si aggrappano per dare un senso alle proprie vite e forma alle proprie aspirazioni. In questo orizzonto fratturato, secolarizzazione diventa sinonimo più di frammentazione delle identità che non di nascita di una singola e coesa identità secolare. Solo così diventa possibile comprendere i paradossi, le contraddizioni, le incertezze del periodo che stiamo vivendo.
In questo quadro, la riflessione di Riccardi è preziosa ed urgente. Anche per la realtà italiana caratterizzata dalla riduzione della pratica religiosa, calo delle vocazioni, scarsa incidenza nella vita nazionale (mentre in passato aveva avuto una posizione centrale). Giuseppe De Rita, attento osservatore delle vicende del cattolicesimo italiano da parecchi decenni, ha osservato la forte riduzione di vicinanza tra la Chiesa e il ceto medio (ora impaurito e impoverito). D’altra parte oggi – sostengono i politici più accorti – la Chiesa non sposta i voti, mentre in passato era stata considerata un ricco bacino di consenso elettorale. Sette italiani su dieci hanno un’immagine della Chiesa rarefatta e poco incisiva.
Tante altre analisi e riflessioni suggestive sono presenti nel volume. Conviene ricordare alcune considerazioni decisamente fondamentali. Niente è assicurato nella storia. Anche per la Chiesa. I fedeli credono nell’istituzione divina del fondatore, «ma vivono la fragilità e la precarietà della storia. Parlare di “stato terminale” o di forte crisi non è segno d’incredulità o di pessimismo, ma equivale a prendere in considerazione un’ipotesi interpretativa della realtà: un’analisi lucida non contrasta con un atteggiamento di fede». Affermava il card. Martini, ricordando le antiche Chiese cristiane oggi scomparse: «La perennità è assicurata alla Chiesa, non alle Chiese; le singole Chiese sono corresponsabili del loro futuro, la loro sopravvivenza è legata alla loro risposta». E concludeva: «Dunque la storia è seria ed è affidata a noi». Nuovi scenari si aprono con Papa Francesco con la sua proposta che passa attraverso la scelta convinta per l’evangelizzazione che intende coinvolgere il “popolo” e a mettere in movimento coscienze e strutture della chiesa. E’ una via di rinascita, anche se per il momento poco recepita.