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Il dopo-Shoah nel libro di Goldkorn

C'è una generazione, la prima del dopo-Apocalisse che vive tra la memoria e quel dopo in cui ci si chiede cosa sia il passato, cosa resta di chi ci ha preceduto.

Il dopo-Shoah nel libro di Goldkorn
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31 Maggio 2016 - 10.27


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Le vittime della Shoah non sono solo i morti nelle camere a gas: c’è una generazione, la prima del dopo-Apocalisse che vive tra la memoria e quel dopo in cui ci si chiede cosa sia il passato, cosa resta delle vite e delle morti di chi ci ha preceduto. Wlodek Goldkorn, prima corrispondente dall’estero e poi a lungo capo della cultura dell’Espresso, fiorentino di adozione, è anche un ebreo, polacco e comunista, cresciuto nel dopoguerra in una patria che l’ha poi rinnegato. Da queste radici nasce “Il bambino nella neve” (Feltrinelli, 208 pagine, 16 euro). Goldkorn ha intervistato artisti, scrittori, premi Nobel e raccontato molte storie, ma mai finora la sua personale. Quella di un bambino nato da genitori scampati agli orrori della guerra, che abitava in una casa abbandonata dai tedeschi in fuga, ancora piena di piatti e mobili provvisti di svastica, che crebbe nel vuoto di una memoria familiare impossibile da raccontare e impossibile da dimenticare. “Poi, capita che nascano i nipotini. E arriva il momento in cui ci si pone la domanda: come dire loro l’indicibile? Come trasmettere la memoria?”. Ecco allora un viaggio di ritorno: a Cracovia, a Varsavia, ad Auschwitz, a Sobibór, a Treblinka. E un viaggio nella memoria, da ricostruire, da inventare, da proiettare nel futuro: i genitori, gli amici, gli eroi e le vittime, il ragazzino che gioca con i compagni nel cortile fingendo di essere ad Auschwitz, l’uomo che sceglie Marek Edelman come maestro di vita, il nonno che deve raccontare ai nipoti la storia. Un viaggio che non ha paura di spingersi nel buio più profondo del Novecento, senza perdere la chiarezza dello sguardo, il disincanto di chi sa che ogni ricordo è anche fantasia, che essere figlio dell’Olocausto non significa immedesimarsi nelle vittime ma deve portare alla rivolta. Senza perdere la forza morale di chi pensa che “la venuta del Messia sarà irrilevante. E per questo dobbiamo fare come se lo aspettassimo”. “Ma poi, cosa è Auschwitz? Cosa ne rimane? E cosa deve rimanere? Per me, prima di tutto Auschwitz è un cimitero.
Il mio cimitero di famiglia”.

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