Le biciclette della compagnia di danza Arearea tornano in scena il 6-7 settembre con lo spettacolo di danza urbana: Ruedis, prima a Tolmezzo e poi per una delle più significative date della tournée, a Canebola sul confine italo-sloveno, lo spettacolo racconta della Grande Guerra e proprio qui ci sono state le più aspre battaglie.
La compagnia friulana, fondata da Roberto Cocconi nel 1992, dopo le sue esperienze nella compagnia del Teatro La Fenice di Venezia con Carolyn Carlson e la fondazione, assieme ad altri coreografi, del gruppo Sosta Palmizi e ora guidata da un nucleo artistico stabile, formato da Marta Bevilacqua, Roberto Cocconi, Valentina Saggin e Luca Zampar, non poteva mancare all’appuntamento con il ricordo della Grande Guerra, e questa volta danza la Storia per le vie di città e paesi attraverso acrobazie, sudore ma soprattutto con una intensità e una poesia rare.
Come racconta la coreografa dello spettacolo Marta Bevilacqua: “Noi abbiamo cominciato a celebrare il centenario nel 2014, per ragioni geografiche e storiche perché proveniamo da una terra che ha fatto quel balzo un anno prima degli altri, quindi siamo al nostro secondo giro di ruote attivo di 27 date”.
Molte le date in Festival importanti come Torino e Brescia ma non solo…Infatti, molte date sono stata fatte i piccoli borghi. La cosa che più mi ha interessato, e arricchito sono proprio quelle realtà che hanno vissuto effettivamente un rapporto stretto con la Guerra, attraverso i racconti dei nonni e dei parenti e ci hanno seguito con occhi veri, puri e anche emozionati. Non posso non ricordare la data di Venzone in Friuli Venezia Giulia e a Bassano del Grappa nelle Grotte di Oliero, luoghi in cui si incontrano le persone anche perché lo spettacolo essendo itinerante favorisce l’incontro con la gente.
Uno dei protagonisti di questo spettacolo, in tal senso, sembra essere il pubblico…Si lo è perché da un lato partecipa, comprende la fatica, la difficoltà, come noi si siede sotto il sole come noi, partecipa con sforza, passeggia, si organizza, educa chi è distratto. Si creano momenti di grande commozione.
Il titolo stesso “Ruedis” e se si pensa alla ruota e alle persone viene in mente il destino… come entra questo nello spettacolo?Entra attraverso due aspetti fondamentali che poi sono i due aspetti sui quali abbiamo lavorato anche per costruire responsabilmente un lavoro di questo genere. Quindi da un lato entra proprio in termini simbolici. La ruota apre lo spettacolo con un presagio nero, funesto. Roberto Cocconi che apre il lavoro nel suo solo iniziale ha una piccola gabbietta di piume nere che si disperdono nell’aria, quindi queste ruote innescano un meccanismo di morte, immagina che cita i grandi principi del futurismo, la ruota come dinamica, di eccesso, esasperazione di un uomo macchina, di un uomo sempre più forte e razionale, quindi la ruota ha questo gancio tematico. Poi all’interno dello spettacolo viene risolta con delle soluzioni coreografiche che la contemplino sempre. Quando noi ci siamo approcciati a questo lavoro e non essendo noi degli artisti di strada, e avendo lo spettacolo delle evoluzioni acrobatiche complesse, abbiamo voluto restare ancorati a questo elemento di rotazione. Le usiamo per compiere le nostre partiture, le usiamo per nasconderci, come bombe, le usiamo in tutti i modi anche per dare questo estremo senso di difficoltà e ci sembrava anche il minimo.
La vostra difficoltà risuona con la difficoltà che uomini e donne hanno dovuto affrontare in quel tragico momento storico. Proprio la bicicletta richiede fatica, ma anche attraverso momenti di difficoltà ti porta altrove verso momenti di libertà, in un altro luogo e tempo. Succede questo nel vostro spettacolo?Si, anche qui per due motivi. Primo perché ognuno di noi nella fase di ricerca ha portato un racconto storico, personale nel quale la bicicletta era assolutamente contemplata. Quindi attraverso la bicicletta abbiamo portato le storie comuni nella grande Storia. Io, per esempio, avevo un nonno gelataio che faceva Maniago-Trieste in bicicletta tutti i giorni, la bicicletta era il mezzo di trasporto di tutti, un tempo era libertà e lavoro e in secondo luogo ci siamo accorti che per noi la bicicletta, grazie ai luoghi dove viviamo è rimasta una presenza costante, tutti l’abbiamo usata molto ma più di tutti noi, soprattutto nell’infanzia l’ha usata il più maturo di noi, Roberto Cocconi, appunto che ci ha insegnato le acrobazie che faceva da ragazzino, quindi la facilità di uno strumento che ormai è un po’ diventato un’icona ecologia ma noi ci abbiamo ritrovato un elemento di divertimento. Ci siamo divertiti ad essere spericolati e a cercare quell’equilibrio che è particolarmente faticoso e precario ma che può dare libertà o meglio possibilità, appunto nonostante le difficoltà.
Le vostre biciclette e i vostri sforzi nell’attraversare la Guerra, nello spettacolo vi porta verso la possibilità della pace?La pace per noi è un momento fondamentale, è molto poetico e quasi nascosto all’interno dello spettacolo perché si chiude con un trio di donne che danzano la loro solitudine, la loro solidarietà e cooperazione, per difendere i propri figli, il proprio territorio, non avendo il sostegno dei compagni che o non ci sono più o sono ancora in guerra e c’è questa femminile che sparge ora piume colorate, di pace e questo effetto scenico che porta il sorriso nel pubblico, che ha un momento di meraviglia, consente ai bambini che sono il vero finale di questo spettacolo, di andare subito lì a raccoglierle. Per me lo spettacolo finisce così, dopo gli applausi.
Dopo le due date Friulane del 5-6 settembre, “Ruedis, Ruote di confine” approderà in Piemonte a fine mese il 26 settembre in province di Varese e il 27 alla Venaria Reale di Torino. Poi verrà il tempo per la compagnia Arearea di parcheggiare le bici fino alla prossima stagione. Nel frattempo niente letargo, tanti i progetti in cantiere a partire dalla proposta formativa che inizia a settembre, una nuova produzione “Da Narciso al selfie” che debutterà il prossimo 22 Novempre, e un progetto di Danza nei Musei.