di Alessia de Antoniis
“Non sono in grado di decifrare quello che le persone pensano. Recitare il ruolo di Susanna Tamaro è stato un calvario. Scoprire di essere malata è stata una liberazione. In alcuni momenti ho creduto di impazzire dal dolore: scrivere è stata la mia salvezza”.
Si racconta così Susanna Tamaro, nel biopic “Inedita” di Katia Bernardi.
Autrice di oltre trenta libri, tra i quali “Va’ dove ti porta il cuore” che ha venduto 18 milioni di copie nel mondo, Susanna tamaro ha presentato “Inedita” alla Festa del Cinema di Roma. Ritiratasi dalla vita pubblica, ha accettato di raccontare alla regista Katia Bernardi i suoi trent’anni di carriera segnati da una sindrome invisibile che non le era mai stata diagnosticata: la sindrome di Asperger.
“Ho deciso di ritirami per mettermi in salvo. Se fossi stata un uomo, probabilmente non mi avrebbero criticata così duramente”, ammette Susanna Tamaro nel nostro incontro alla Festa del Cinema.
Mi guarda con i suoi occhi chiari, vestita in giacca e pantaloni dai colori solari, seduta con le gambe incrociate su una poltroncina. “Le dispiace se resto senza scarpe?” La sua voce è gentile, come i suoi modi.
Non riesco a vedere davanti a me la donna tanto vituperata dalla stampa. Non vedo una diva acculturata, non vedo un’anticonformista, vedo solo un essere umano che cerca timidamente accettazione e rispetto. Peccato che ci sia un problema: non puoi mettere Susanna in una categoria prestabilita. È come chiedere a un vecchio calcolatore di eseguire un’operazione che non conosce: va in tilt. Forse da qui l’ostilità dei media.
“Sono una persona che non si riesce ad etichettare. Lo ripeto spesso nel mio film. Per questo, più che un biopic sulla mia vita, lo considero un film sull’accettazione della diversità. Mi hanno detto di tutto. Se ti tirano la spazzatura addosso, ti puoi solo spostare. Quindi mi sono ritirata. Ho avuto problemi fin dall’asilo. Ho sofferto per questa mia difficoltà. Una vita da dr Jackyll e mr Hyde. Ero una bambina deliziosa e amata. Poi si è manifestata una sindrome di Asperger molto accentuata e sono finita in una casa famiglia. Vedo solo dettagli, mai l’insieme. Anche i miei vestiti hanno uno scopo preciso: uso gli abiti per essere riconosciuta, per inserirmi nel contesto.
Ma perché una persona Asperger si iscrive al Centro sperimentale di cinematografia?
Ero in Friuli. Grazie al terremoto, non ho dovuto dare l’esame di maturità e mi hanno promossa. Non sapevo cosa fare della mia vita. Un giorno, per caso, vedo un film in televisione con mia nonna e dico: io voglio fare cinema. Senza sapere niente di cinema. Ho fatto domanda al Centro sperimentale di cinematografia. Avevano riaperto da poco, dopo anni di chiusura, e c’erano tantissime richieste. Terrorizzata, vado a Roma per sostenere l’esame, sapendo che non ce l’avrei mai fatta. Torno a casa e mi arriva la comunicazione che avevo vinto la borsa di studio. Continuavo a ripetere “io non ci vado”. Mia nonna mi spedì a Roma. Ero terrorizzata, non capivo nulla, ero la più giovane. Roma poi, in quegli anni, era una città difficile. Erano gli anni del terrorismo, del rapimento Moro, anni pesanti. Se mia nonna non mi avesse mandato a calci, non sarei mai venuta, sarei rimasta dentro l’armadio.
Scrive libri per bambini. Sa cosa vuol dire andare in una scuola che non accoglie i bambini con delle difficoltà, che considera un bambino nello spettro autistico un disabile, mentre non lo è…
No, non lo è! Ho un diploma da maestra elementare. Un bambino nello spettro autistico ha solo un’intelligenza diversa dagli altri, non è un portatore di handicap. È una battaglia che porto avanti da anni. Mi sono spesso interrogata se avere una certificazione sia positivo. Per me, sarebbe stato meglio essere certificata come Asperger? Ho fatto una fatica pazzesca, non capivo niente, la mia testa funziona in un altro modo. Ma se mi avessero detto “tu sei diversa” e se mi avessero fatto fare un percorso semplificato, forse non mi sarei sforzata, non avrei lavorato così tanto per colmare la diversità. Me lo chiedo sempre. Ora siamo all’eccesso di certificazione nel sistema scolastico italiano. Oggi un bambino discolo ha un deficit di qualche tipo. Lo trovo assurdo. In prima elementare ho avuto una maestra degna di questo nome, che non mi metteva in situazioni di stress. Un bambino Asperger va solo trattato con dolcezza e con pazienza. Gli vanno spiegate le cose in modo diverso. Ha un altro canale di comprensione. Se iniziano a deriderti, è la fine. Hai la paralisi totale. Non capisci nulla.
Andrebbero inseriti in un contesto diverso o avere un vero sostegno che li aiuti in classi miste?
Devono avere un sostegno adeguato, persone che siano in grado di formularti le domande in modo comprensibile. Tu non capisci la domanda: per questo non sai rispondere. Hai paura anche dello sguardo di chi ti interroga: io ero terrorizzata dagli sguardi fin dall’asilo. Mettevo un’asticella negli occhiali per non vedere la maestra. Ero terrorizzata dal guardare negli occhi le altre persone. Ho sofferto tantissimo per tutto il periodo scolastico. Per questo ho voluto studiare per diventare una maestra, perché ho detto: magari un giorno non farò soffrire così altri bambini.
La scelta di non mettere molto della sua vita da bambina, in famiglia, è registica o è stata una sua richiesta?
Registica. Un giorno mi piacerebbe scrivere un libro sui miei primi anni, perché in realtà una persona come me, un Asperger grave, che ce l’ha fatta, può spiegare tante cose alle mamme che vivono questa realtà. Mi sono salvata con le arti marziali. Ho iniziato questo percorso ai tempi in cui lavoravo alla Rai. Fu un periodo infernale: essendo autistica, per me era un ambiente di lavoro profondamente respingente. In quegli anni ho incontrato uno psichiatra che mi ha suggerito di fare arti marziali. È stata la mia salvezza.
È una donna trasversale, a favore delle unioni civili, delle adozioni gay, che ha lottato per essere accettata. non pensa che una donna dovrebbe essere libera anche di decidere se interrompere una gravidanza?
Sì, una donna deve essere libera, ma se mia madre avesse abortito io non sarei qui. Ogni volta che ho potuto, ho aiutato le donne che ho incontrato a fare una scelta diversa. Poi ognuno è libero di fare quello che vuole. C’è nella vita qualcosa di misterioso: quando tu accogli la vita, la vita ti porta avanti. Poi può essere una triste necessità…
Però la legge sull’interruzione di gravidanza non va toccata. Spetta ad ogni donna la scelta se usarla o meno. È importante sostenere le donne, non tornare al ferro da calza…
Sì certo, è ovvio. Ho letto un libro di una donna nigeriana vittima di tratta. Arriva a Napoli e la fanno prostituire. Quando poi la costringono ad abortire, si dispera rimpiangendo questo figlio che non ha potuto avere. Non possiamo giudicare nessuno. Né chi abortisce, né chi non lo fa.
Nel biopic racconta come è stata accettata dalla comunità dei letterati di Trieste e rifiutata dalle grandi case editrici. Quindi non è il mondo della cultura che l’ha rifiutata, ma quello dell’industria editoriale?
È allucinante ma è così. E sono due mondi completamente diversi.