Almodóvar non si piega alle piattaforme: “Il mio prossimo film solo nelle sale” | Giornale dello Spettacolo
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Almodóvar non si piega alle piattaforme: “Il mio prossimo film solo nelle sale”

Il cineasta spagnolo si batte da anni difesa dell’universo cinematografico in tutte le sue forme: la creazione artistica e la fruizione delle pellicole, considerate forma d’arte e non oggetto di commercio.

Almodóvar non si piega alle piattaforme: “Il mio prossimo film solo nelle sale”
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

5 Gennaio 2021 - 17.19


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Vi sono donne e uomini per i quali gli ideali in cui credono sono bussole che orientano le proprie vite. Donne e uomini che non vengono a patti con persone e situazioni che sentono come moralmente indegne, con principi che entrano in conflitto con i propri. Per questo genere di individui, sempre più a rischio d’estinzione, le mode, gli atteggiamenti condivisi dai più, la ricerca del consenso ad ogni costo, il calcolo economico, il riscontro in termini di prestigio o di potere sono aspetti secondari, spesso deleteri, nell’ordine di valori che hanno scelto di seguire. Pedro Almodóvar è tra questi.

Il cineasta spagnolo porta avanti da anni una personale battaglia in difesa dell’universo cinematografico in tutte le sue forme: la creazione artistica, la distribuzione dei film, la fruizione delle pellicole, considerate come forma d’arte e non mero oggetto di commercio. Una lotta impari, poiché le forze del mercato, i trend culturali ed economici, da ultimo l’impatto devastante della pandemia sul mondo dello spettacolo relegano in un soffocante angolino i principi per cui si batte il regista spagnolo.

È di qualche settimana fa l’epocale notizia per cui la storica casa di produzione cinematografica Warner Bros. distribuirà sin dall’uscita i suoi film anche sulla piattaforma in streaming di sua proprietà, la Hbo Max. Probabilmente si tratta di un punto di non ritorno, di una strategia produttiva e distributiva ben definita, che trova spiegazione nella feroce contesa ingaggiata tra i giganti del digitale e che rappresenterà l’inesorabile fine di un’era.

Ovviamente il punto di vista di Almodóvar non è quello di un’impresa economica, ma quello dell’artista, del creatore della magia del cinema. Per lui, la visione dei film sul misero schermo di un computer, di un tablet o di uno smartphone, ma anche su quello più ampio e tecnologicamente evoluto di un televisore 4K, rappresentano una vera e propria mutilazione della dimensione estetica, una drammatica perdita in termini di suggestioni e di qualità onirica. Soprattutto, Almodóvar non vuole arrendersi alle logiche di mercato che impongono questo passaggio.

Anni fa il regista spagnolo aveva espresso con un’immagine icastica questa sua contrarietà: lo schermo non può essere più piccolo di una poltrona. Nel 2017, approfittando del ruolo di presidente della giuria al Festival di Cannes, si era opposto al predominio di Netflix, la più potente piattaforma in streaming del momento, e nel 2019, durante la presentazione del suo film Dolor y gloria, aveva dichiarato: “Il mio film non è soltanto un atto d’amore verso il cinema ma anche verso lo schermo, il grande schermo”. Quindi aveva precisato il suo pensiero: “Le piattaforme digitali in sé sono un principio giusto e positivo ma questo non dovrebbe sostituire la forma esistente come la sala cinematografica e non dovrebbe alterare le abitudini degli spettatori. Credo fermamente che almeno la prima volta che qualcuno vede un film sia necessario che lo schermo sul quale lo vede non sia più piccolo della propria sedia. Sono convinto che noi spettatori dobbiamo essere più piccoli per entrare nell’immagine e nella storia”. Dunque, il suo è un discorso specificamente estetico, ma che non può non avere ricadute sulla politica della distribuzione.

Nel frattempo è intervenuta la pandemia, col relativo lockdown e la chiusura delle sale, a complicare il quadro e a magnificare il potere delle major dello streaming, che nell’ultimo anno hanno aumentato in modo sostanziale i propri fatturati, ma Almodóvar non ha intenzione di venire a patti con loro. Ha completato la stesura della sceneggiatura della sua prossima opera, Madres paralelas, che vedrà come protagonista Penélope Cruz e le cui riprese dovrebbero partire a marzo, un film incentrato sul tema della maternità, argomento già trattato in Tutto su mia madre e in Parla con lei. Racconterà la storia di due donne che partoriscono nello stesso giorno, di cui si seguono le vicende nei primi due anni dei rispettivi figli, mettendo a confronto modelli genitoriali diversi.

Naturalmente don Pedro ha ricevuto numerose offerte dalle varie piattaforme in competizione per distribuire la sua nuova creatura, ma ha risposto picche, come ha rivelato a ScreenDaily Augustin, suo fratello nonché cofondatore della società di produzione El Deseo: “Siamo della vecchia scuola e prevediamo l’uscita del prossimo film di Pedro nelle sale cinematografiche malgrado diverse piattaforme di streaming ci abbiano proposto di farne un loro contenuto originale. È un periodo preoccupante per quelli che amano vedere i film sul grande schermo, dal momento che la possibilità di uscire in sala si sta incrinando sempre più, ma pensiamo che si debba combattere perché i film siano distribuiti al cinema”. Dietro questa sfida alle potenti major digitali si scorge un’orgogliosa rivendicazione di autonomia artistica e un meraviglioso rispetto verso lo spettatore per il quale quell’arte è stata creata e prodotta.

Augustin Almodóvar ha poi dato notizia di altre opere in cantiere: “Abbiamo in programma altri due corti: il primo, Strange Way Of Life, sarà un corto western di 30 minuti che verrà girato dopo Madres paralelas. Il secondo è una storia distopica sulla fine del cinema”.

Be’, sarebbe davvero una crudele ironia se quest’ultimo lavoro apparisse proprio sulle piattaforme in streaming.

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