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Quarant’anni senza Hitchcock, la versione di Caprara

Sir Alfred Hitchcock, congedandosi dal pubblico e dalla critica nel 1976 con “Complotto di famiglia”, si congedò dalla vita quarant’anni fa, il 29 aprile 1980

Quarant’anni senza Hitchcock, la versione di Caprara
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Stefano Pignataro Modifica articolo

6 Luglio 2020 - 15.48


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Quarant’anni senza il Maestro del brivido, quaranta lunghi anni senza un suo nuovo personaggio, senza una nuova atmosfera delle sue o una suggestione, una suspense in lontane e remote periferie americane o in castelli misteriosi. Sir Alfred Hitchcock, congedandosi dal pubblico e dalla critica nel 1976 con “Complotto di famiglia”, si congedò dalla vita quarant’anni fa, il 29 aprile 1980, a Los Angeles consegnando al pubblico, alla settima arte ma anche alla psicanalisi ed all’arte oltre che i suoi capolavori, una nuova strada che sarebbe stata seguita negli anni a venire. Eppure, il Maestro non fu sempre considerato tale. Come perennemente avviene per chi egregiamente si distingue dalla massa, la critica non fu mai concorde né generosa con le sue opere. La rivalutazione avvenne in seguito. Chi invece è sempre stato d’accordo a definire i film di Alfred Hitchcock finissimi capolavori è stato Valerio Caprara, critico cinematografico e saggista, già docente di Storia e critica del cinema presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”. Assieme a Natalino Bruzzone, Valerio Caprara è autore di un libro molto denso dedicato al regista di “L’Altro uomo, “I film di Alfred Hitchcock” (Gremese Editore”).

Professore, lo scorso 29 aprile il mondo del cinema ma oserei affermare anche il mondo della psicanalisi e dell’arte, ha celebrato il quarantennale della morte di Alfred Hitchcock. L’interesse suscitato da pubblico e critica alla sua opera ha prodotto una bibliografia molto vasta; secondo Lei, quale elemento di maggiore interesse anche di studio emerso anche dopo possibili successivi studi, riaffiora maggiormente nei suoi film?

Nella mia lunga carriera accademica, mi sono trovato diverse volte con diversi studenti che, magari, conoscevano tutto dei film di Tarantino ma niente di Hitchcock. La cosa non mi irritava più di tanto perché sono sempre stato molto aperto e contrario alla “ghettizzazione” dei saperi a patto che lo sia anche il cultore di cinema. Ciò, però, fa ben comprendere come una cultura sulla filmografia hitchcockiana ancora non sia diffusa tra i giovani. Anche dopo ver lavorato in Inghilterra ed essersi trasferito negli Stati Uniti, Hitchcock da certa critica era considerato un mero regista di consumo, “Maestro del brivido” (ricordiamo tutti la sua sagoma stilizzata nei suoi telefilm), un regista dalla visione alquanto cinica dell’uomo e mai moralistica o illusoria riguardo il conflitto bene-male nelle società. La vera scoperta, o meglio, riscoperta, si deve a Francois Trauffaut che, con un libro fondamentale per chiunque voglia intraprendere la strada della critica cinematografica, “Il cinema secondo Hitchcock) propose a quei critici che snobbavano il nostro una versione non solo del “Maestro del brivido”, ma anche quella di un cineasta capitale per la stessa filosofia e linguistica del cinema.
Nel Suo libro, Lei riprende le teorie di Truffaut?

Quando, assieme a Natalino Bruzzone, scrivemmo quel volume, anche noi venimmo additati da certa parte della critica, di aver omaggiato ancora un “regista di consumo”.  Ancora molti erano restii a considerare Hitchcock come un vero Maestro che con i suoi film ha dato un contributo fondamentale all’ontologia dell’essere umano, per non parlare dei temi che senza alcuna presunzione e tralasciando ogni accademismo si iscrivevano nelle sue complesse motivazioni. Lo scenario cambiò; i suoi film furono sempre ai primi posti (pensiamo al successo di Vertigo). Egli ha davvero tracciato una strada: la logica dell’inquadratura, la logica della sequenza, il regime diegetico delle sue storie, il voler trarre quasi sempre storie da libri che il più delle volte non ebbero di certo il successo che invece la pellicola ebbe. Nel suo cinema vi è qualcosa di moderno e di stimolante dal punto di vista dell’architettura, su come si costruisce una storia e si da importanza ai dettagli e come le notazioni culturali, psicologiche e storiche di modo di vivere e di pensare e di ragionare siano sempre tradotte in termini cinematografici, mai gettate a mò di didascalia.

…come magari solevano fare altri registi..

Esatto. Certo, tutti i registi hanno la necessità di tradurre in cinema tutto ciò che è idea, ma in Hithcock, come se fosse un grande un grande puzzle, ci troviamo di fronte ad una specie di puzzle di una limpidezza e di una coerenza davvero impressionante.

Che importanza dà, secondo la vostra visione, Hitchcock al senso del tempo e della caducità dell’inesorabile? E, similmente, che rapporto instaura il regista tra follia e sogno? (Mirabile è l’esempio in Io ti salverò)

Anche quando uscì Io ti salverò, parte della critica definì la psicologia descritta e trattata come “secondaria, non scientifica, di quarta categoria. Le scene del sogno, l’oniricità dei disegni di Dalì non convinsero del tutto. Oggi, bisogna dire che, nel corso degli anni, il cinema ha dimostrato che quell’intuizione di Hitchcocok di lavorare proprio sulla pellicola per la prossimità tra esperienza cinematografica era un’esperienza assimilabile al sogno ed all’onirismo. Egli aveva anticipato ciò che tutte le ricerche più moderne hanno effettivamente dimostrato e che molti cineasti (oggi tecnicamente molto più apprezzati) hanno effettuato.

Alcuni film di Hitchcock , ugualmente mirabili, non hanno avuto successo commerciale o fama pari ai suoi più grandi successi. E’ il caso di Prigionieri dell’Oceano, una metafora di sopravvivenza girato interamente su una scialuppa nel corso del secondo conflitto mondiale. Cosa ci insegnano questi piccoli capolavori sconosciuti ai più?

Pensando a questo film, mi torna in mente un film di Roman Polanski, “Il coltello sull’acqua”. La metafora della barca che viene abitata da uno spirito distruttivo ed autodistruttivo (cito anche Ore 10, Calma piatta diretto da Philip Noyce). Da tutte le interviste del nostro regista (interessantissime, non parlava molto di se stesso) si evince un elemento importante: la sua preoccupazione primaria è risolvere ogni problema cinematografico; la seconda è di non accarezzare, blandire il pubblico rassicurandolo sul bene che trionfa sul male: Senza essere un catastrofista o un nichilista come Allen (ancora più radicale), Hithcock, mantenendo l’aspetto di uomo appartenente alla classe benpensante del paese, non illude sulla risoluzione positiva dei sentimenti primari che sono in noi e che non cambieranno mai con tutte le rivoluzioni del costume e posizioni sociali e di classe come la gelosia, la paura di invecchiare, il possesso..

Il suo ultimo film , “Complotto di famiglia”, fu accolto molto freddamente..

Posso confermarlo. Ricordo che molti ritennero Hitchcock invecchiato. Oggi, quel film, è considerato, come lo è, un film-testamento. La rivalutazione è parte integrante del linguaggio cinematografico. Tutto ciò che prima era snobbato, oggi si lotta per inserire ciò che effettivamente vale nel nostro patrimonio cinematografico.

Anticonformiste, possessive, , ingegnose, doppiogiochiste, le protagoniste dei film di Hitchcock sono diverse le une dalle altre. Ma che rapporto aveva Hitchcock, secondo Lei, con le donne?

Non era di certo un femminista. Sembra che sia stato molto inibito con il gentil sesso ma, grazie al suo acume, ha tratteggiato straordinari caratteri. Il rapporto di dipendenza psicologica ed esistenziale che vi è in Marnie è unico.

Anche se appartengono a due filoni completamente diversi se non opposti, fà specie che due cineasti come Mario Bava ed Alfred Hitchcock siano scomparsi a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. Considerando che cronologicamente i due registi lavoravano negli stessi anni e considerando che molte opere di Bava vertono su un senso di smarrimento esistenziale del protagonista (anche dovuti a fatti paranormali , possiamo trovare un elemento comune che unisce il genere horror di Mario Bava ed il thriller del regista de “Gli Uccelli?

Un rapporto stretto cinematografico non ce lo vedo, in realtà. Certo, tutti coloro che hanno perseguito la via dell’ “Horror dell’italiana” come Bava, Fulci ed Argento hanno avuto Alfred Hitchcock come modello sia per le modalità di girare le sequenze o le inqudrature, sia per l’idea stessa della personificazione del male, che sia qualcosa di tangibile, come un orrido mostro o qualcosa di oscuro che è dentro di noi. Di cosa abbiamo paura?

Tra i tanti film del “Maestro del brivido”, vi è un’attrice che L’ha particolarmente colpita ed un film che Le è particolarmente e da sempre piaciuto?

Il fascino sinistro di Psycho non lo dimentico, anche perché ricordo terrorizzava la mia povera madre grazie alla quale sono divenuto cinefilo. Adoro La Donna che visse due volte e la Finestra sul cortile. Come vede, Le ho riferito nomi di film celeberrimi. Un errore capillare (salvo che piacciano veramente) di molti critici oggi è studiare maggiormente film minori per timore di apparire troppo scontati. Allora Dante e Skakespeare non dovremmo studiarli perché sono troppo comuni? Su La Finestra sul cortile vi è un aneddoto simpatico che sottolinea ancora una volta lo snobismo imperante. Quando a Trauffaut, invitato a New York invitato ad un party di presentazione de La finestra sul cortile, fu chiesto se davvero apprezzasse un film così “da incasso”, rispose positivamente. All’insistenza di alcuni suoi colleghi amanti solo di un cinema “laureato” che gli risposero che molto probabilmente lui non sapeva dove era Greenwich Village in cui la vicenda si svolge, lui rispose lapidario “La Finestra sul cortile non è un film su Greenwich Village. E’ un film sul cinema ed io conosco il cinema”.

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