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In sala il film di Polanski su Dreyfus, vittima dell’antisemitismo

L’ufficiale e la spia racconta della condanna ingiusta all’ufficiale francese e della riabilitazione

In sala il film di Polanski su Dreyfus, vittima dell’antisemitismo
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23 Novembre 2019 - 16.45


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È nelle sale da qualche giorno L’ufficiale e la spia di Roman Polanski sull’affare Dreyfus: l’ufficiale ebreo nell’esercito francese di fine’800 accusato ingiustamente di aver passato informazioni al nemico tedesco. Accusato perché l’antisemitismo era merce corrente e il militare era ebreo. Nel 1894 Dreyfus fu condannato. Da l’articolo di Zola J’accuse sul giornale “L’Aurore” del 13 gennaio 1898 scaturì una polemica, uno scandalo, una revisione dei fatti fino alla riabilitazione completa di Dreyfus. Polanski, ebreo, ne ha tratto il film dal titolo originale J’accuse. I giudizi sono stati pressoché unanimi: una delle migliori opere del regista, per qualcuno forse la più bella, un film riuscito ottimamente.

Jean Dujardin recita nel ruolo del colonnello Picquart che, benché non sopporti gli ebrei, capisce che il processo intentato a Dreyfus è basato su falsità ed errori, e con Louis Garrel nella parte dell’ufficiale degradato e umiliato sulla pubblica piazza; vi recita anche Emmanuelle Seigner, moglie del regista. In Italia lo distribuisce la 01.

Alla Mostra del cinema scorsa il film ha vinto il Gran premio della giuria. Non poteva vincere il Leone d’oro perché la presidente di giuria, l’argentina Lucrecia Martel, aveva dichiarato pubblicamente che non lo avrebbe graditoper le accuse di stupro a Polanski. “Il film è bellissimo, anche se non vincerà il Leone d’oro – ha scritto un critico di vaglia come Alberto Crespi – Se fossimo in un tempo normale J’accuse sarebbe un ovvio candidato al Leone d’oro. Ma viviamo in un tempo nevrotico e paradossale, pieno di razzismi che agiscono apparentemente per sradicare altri razzismi”. E prima ancora il giornalista aveva detto perché apprezza costì tanto il lungometraggio: “è un continuo andirivieni nel tempo che riesce nel miracolo di essere limpido, comprensibile e costantemente emozionante. La ricostruzione storica è mirabile, la fotografia di Pawel Edelman è da Oscar, il film è uno dei migliori nella pur mirabolante carriera di Polanski”.

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