Ogni anno la giornata della memoria rievoca le immagini di uno dei più importanti e commoventi capolavori della storia del cinema: “Schindler’s List”, capolavoro del 1993 firmato da Steven Spielberg, vincitore di 7 Oscar (tra i quali miglior film, miglior regia, migliore fotografia e migliore colonna sonora) a fronte di 12 nomination, e ispirato alla storia vera di Oskar Schindler, l’imprenditore tedesco che salvò 1.100 ebrei dai campi di sterminio. Il film che più di tutti, eguagliato forse solo dal nostro “La vita è bella”, nell’immaginario comune racconta perfettamente il dramma della Shoah.
E se c’è un’immagine de’ “La lista di Schindler” (così è stato declinato in italiano il titolo) che è rimasta impressa nella mente degli spettatori per sempre è quella della bambina con il cappottino rosso, quella bambina che illuminerà il protagonista, interpretato da Liam Neeson, sugli orrori in atto e lo “costringerà” a organizzare il suo piano di salvataggio. Un’immagine impossibile da cancellare non solo perché unica nota di colore in un film proposto interamente in bianco e nero, ma perché negli anni sono diverse le teorie sul perché Spielberg avesse voluto evidenziare proprio quella bambina, proprio quel dettaglio e proprio col colore rosso.
C’è chi lo ha semplicemente archiviato come un omaggio ad Akira Kurosawa che aveva già usato questo espediente in Anatomia di un rapimento, film uscito esattamente trent’anni prima, ma fu lo stesso Spielberg anni dopo a spiegare che quello fu il messaggio di denuncia nei confronti di tutti quelli che si erano resi perfettamente conto di ciò che stesse accadendo agli ebrei europei ma decisero di non intervenire. Così la piccola bimba, che ai tempi aveva appena quattro anni, entra nella galleria dei bambini resi immortali da Steven Spielberg e simbolo di uno dei più terrificanti drammi della storia dell’umanità. Anche per questo lo stesso Spielberg, quando la congedò dalle riprese, le chiese espressamente di non guardare mai il film fino alla maggiore età.
Ma Oliwia Dabrowska, polacca e oggi 28enne, non mantenne la promessa e intorno agli 11 anni guardò la pellicola restandone comprensibilmente “traumatizzata”, come ha rivelato per la prima volta anni fa al Times. Giurò di non guardarlo mai più, “Tutto era troppo orribile”, tentò anche di nascondere il fatto di essere proprio lei quella bambina, ma non era evidentemente un segreto destinato a restare a lungo tale: “Mi vergognavo ed ero arrabbiata con mia madre e mio padre quando hanno detto a tutti che avevo interpretato quel ruolo.
A scuola mi dicevano: “È stata un’esperienza importante per te, ora devi conoscere moltissime cose sull’Olocausto. Ma quel genere di commenti era davvero frustrante per me”. Una vergogna che scompare, proprio come aveva predetto Spielberg, intorno ai 18 anni, quando facendosi forza e riguardando il film si rende conto della realtà: “Sono stata parte di qualcosa della quale essere orgogliosa”. La carriera di attrice poi, come testimonia anche la sua scheda sul sito Imdb.com, a parte una partecipazione al film polacco Gry uliczne, si interruppe lì; dedicherà poi la sua vita agli studi universitari diventando poi bibliotecaria a Cracovia. Ma Oliwia resterà per sempre nella storia non solo del cinema, come la bambina col cappottino rosso, una delle immagini più dolorose del secolo scorso.