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"Bismillah" di Alessandro Grande, il corto che ha conquistato i David di Donatello

L'intervista al giovane regista che ha raccontato il dramma dell'immigrazione

"Bismillah" di Alessandro Grande, il corto che ha conquistato i David di Donatello
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23 Febbraio 2018 - 16.53


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La storia della piccola Samira conquista i David di Donatello. “Bismillah”, firmato dal giovane regista calabrese Alessandro Grande, si aggiudica la statuetta per il miglior corto 2018. Grande racconta il dramma dell’emigrazione attraverso lo sguardo di una tunisina di 10 anni che vive illegalmente in Italia con suo padre e suo fratello e che si troverà ad affrontare, da sola, un problema più grande di lei. Una produzione nata a Catanzaro e che vede coinvolto lo stesso regista insieme alla Indaco Film di Luca Marino, con il supporto della Fondazione Calabria Film Commissione del Comune di Catanzaro. Un’edizione dei David che riserva altre grandi sorprese per la Calabria, il pluripremiato “A’Ciambra” di Jonas Carpignano, sostenuto dall’intesa Luca (Calabria film Commission e Lucana Film Commission), è tra i film che conquista il maggior numero di candidature, ben 7. La cerimonia di premiazione si terrà in diretta su Rai1, mercoledì 21 Marzo.
Da dove nasce l’idea di Bismillah?
Non è una semplice storia di immigrazione. E’ una storia autentica, vera, una storia di sentimenti vera, di amore fraterno, una storia di innocenza. E’ una storia che parte dal dramma dell’immigrazione, ne prende spunto, come situazione contemporanea, per raccontare di amore fraterno. Ho scritto di getto la storia di Bismillah che prende spunto dai fatti avvenuti nel 2011 per trattare una tematica legata all’immigrazione. Questa era la mia scommessa: trattare il tema dell’immigrazione andando oltre. Noi non siamo in mare; i protagonisti sono quelli che ce l’hanno fatta, che provano a vivere una vita normale ma devono fare i conti con la realtà.
Come hai iniziato la carriera da regista? 
Nel 2006, studiavo a Roma. Per la mia tesi ho presentato un corto che si intitolava “Fabietto rispondi” e rappresentava una rivisitazione del cortometraggio di Pasolini: “La sequenza del fiore di carta” del 1968. Il corto ha incominciare a girare ed è arrivato anche in alcuni festival. Da lì ho capito che avrei voluto proseguire in questo lavoro. Dopo alcune esperienze sono arrivato a realizzare “In my Prison” nel 2010, due anni lavorazione tra reperimento fondi e riprese. Un lavoro che ha circuitato in 120 Festival, tra cui il TESS presieduto da Clint Eastwood e 40 premi. Qusto  mi ha fatto capire che avrei dovuto ancora  alzare il livello con uno stile ancora più autoriale, quindi ho lavorato su Margerita. La storia di un giovane rom, che ho cercato di raccontare in maniera sincera, una favola vera.
La tua troupe ti segue fin dal tuo primo film
Sicuramente le precedenti esperienze vissute insieme e il fatto che tutti noi portassimo avanti in parallelo altri progetti ha favorito la crescita professionale di ognuno; questo processo si è concretizzato in una maggiore semplicità nel comprendersi sul set. Uno dei maggiori esempi di ciò è la collaborazione con Francesco Di Pierro, un direttore della fotografia estremamente in gamba, con cui abbiamo lavorato insieme da “In My Prison”.
Come è stato lavorare con la Indaco Media e con chi ha sostenuto il tuo cortometraggio?
Bismillah per me è stato un lavoro importante perché è la prima volta che sono riuscito a raccontare una storia della mia terra e nella mia terra. Grazie al sostegno della Indaco Film, alla Calabria Film Commission, al Comune di Catanzaro e all’attore Francesco Colella,
Che consiglio daresti ai giovani che sono impegnati o vorrebbero impegnarsi a far carriera nel cinema?
 Il miglior consiglio che posso dare è quello farsi una domanda: quanto sono disposti a impegnarsi per ottenere ciò che desiderano? Se la risposta è sempre la stessa, ovvero dare il proprio tempo e la propria vita per questo mestiere, possono andare avanti e dimostrarlo in fatti. Se ci si aspetta che le cose vengano da sole, allora meglio lasciar perdere.

 

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