L’ultimo giorno di maggio del 2017, Bernardo Bertolucci ha accettato gentilmente e generosamente di ricevermi nella sua casa romana, nonostante la malattia che lo obbliga su una sedia a rotelle, per parlare di Pier Paolo Pasolini, di cui è stato amico e collaboratore. Un gesto non scontato. Gliene sono molto grata (CB)
Sulla poesia e il cinema
BENEDETTI Pasolini, che era amico di suo padre Attilio, le dedicò una poesia quando lei era ancora giovanissimo. “A un ragazzo”, s’intitola.
BERTOLUCCI Sì, io dovevo avere quindici o sedici anni. E’ lì ci sono due versi dove “giovinetto” fa rima con “non detto”.
“Ah, ciò che tu vuoi sapere, giovinetto,/ finirà non chiesto, si perderà non detto”. Sono i versi finali.
Quando andavo a trovare Pasolini nel suo studio, vidi che aveva un rimario. Ne fui colpito, e pensai: chissà se c’è un rimario anche per il cinema.
Pasolini le ha mai parlato del fratello Guido?
Nella poesia, mai a voce. Forse io gli ho chiesto di parlarmene, perché avevo saputo da mio padre che suo fratello era stato ucciso. Credo di avergli detto: “raccontami”. Per questo alla fine della poesia dice “ciò che tu vuoi sapere … si perderà non detto”
L’uccisione del fratello deve essere stato per lui una ferita tacita, sempre aperta, forse anche per il senso di colpa che a volte ha chi sopravvive. Quando scrive di voler gettare il suo corpo nella lotta c’è forse un’eco di chi davvero si è gettato nella lotta partigiana…
… ed è partito con una rivoltella “dentro a un libro di Montale”.
Lo dice proprio nella poesia dedicata a lei.
Sì, stavo citando quella
Un rimario per il cinema. Che idea interessante! Anche le immagini possono rimare tra loro?
Ma vengono considerate in altro modo, non come rime.
Mi viene in mente il film La rabbia – secondo me un piccolo capolavoro, e sono molto grata a suo fratello …
a Giuseppe…
…sì, per averlo rieditato e ricostruito nella parte mancante. In quel film Pasolini sembra montare le immagini di repertorio in modo da creare come delle rime: fa tornare più volte lo stesso soggetto o persino lo stesso fotogramma in una sequenza, per ritmarla. La parte su Marilyn è aperta e chiusa dal fungo atomico.
Vidi La rabbia per la prima volta all’Istituto Luce, mentre Pasolini stava verificando le copie. E mi aveva folgorato: proprio perché c’erano le immagini e c’era il suo testo. E aveva usato delle voci …
... le voci di Giorgio Bassani e Renato Guttuso ..
… sì, Bassani leggeva in modo lievemente retorico, ma bene, molto bene, in modo alto. E il film mi aveva folgorato perché mi sembrava un film dove la letteratura e il cinema si amalgamavano.
E dei suoi film, quale considera più poetico?
Mah… E’ strano, vede, perché “poetico” è una parola che usavamo tanto in quegli anni e che non viene più usata. E addirittura oggi, se la dici, ti guardano un po’…
… storto.
E’ vero, no?
Sì. Anche della Rabbia hanno detto che è troppo ‘poetico’, in senso negativo. Nel 2008, quando il film è circolato di nuovo grazie a Giuseppe Bertolucci, qualche critico, mi pare Alfonso Berardinelli, ha scritto in una recensione che vi si sentiva troppo l’apparato retorico di Pasolini.
Si riferiva al testo?
Si
Ma come! Quando parla del papa … dal testone di tartaruga. Quando lo vidi ero folgorato. Mi colpì come parlava del papa e di Marilyn. Straordinario!
E’ un film incredibile. Da un lato molto sperimentale – usa la stessa tecnica del collage film che useranno più tardi Guy Debord e Godard. Dall’altro ha questo commento altamente poetico. Secondo me Pasolini è riuscito con i mezzi del cinema a ricreare l’antica tragedia greca, come ho scritto in un saggio. Le voci fuori campo sono come un coro tragico.
Sicuramente in questo film c’è tutto il cinema di Pasolini. In tutto il suo cinema c’è questa dimensione tragica, ma tragica anche [nel senso] della tragedia greca – mai però rivelata, la cosa.
E nel suo cinema, in che modo è entrata la poesia, la letteratura?
Non c’è un modo. E’ avvenuto molto naturalmente. Il desiderio di fare cinema era in me presente già dai quattordici, quindici anni. Poi feci i miei primi filmini a 16 mm. Poi abbandonai quello che avevo fatto, come se non fosse esistito. Ho buttato via tutto. E verso i diciannove anni scrissi un po’ di una sceneggiatura che si svolgeva dalle mie parti, sul Po. Non se ne fece nulla. Era anche, me ne resi conto, imbarazzantemente autobiografica. Buttai anche quella. Poi venne Pier Paolo, venne La comare secca… La letteratura c’è sempre stata. Il fatto di vivere in una casa con tanti libri, dove i libri facevano parte della decorazione, ci ha sempre dato una familiarità… Però la conoscenza non è la familiarità. C’era da lavorare un po’. In questo era molto più bravo mio fratello Giuseppe, che era un vero pensatore. Andavo sempre da lui quando avevo bisogno di capire, anche politicamente. Lo chiamavo “il mio commissario politico”. E lui mi aiutava, mi chiariva. Non sono mai stato un campione del capire certe cose. Spesso mi sono affidato all’intuizione.
Lei ha tratto film da romanzi, da Dostoevskij a Ammaniti. Come li sceglie?
Leggo tante cose perché ho tempo. Ma mi devo innamorare della storia. Il libro di Ammaniti, l’ultimo film che ho fatto, l’ho letto di corsa – perché si legge in un attimo – e mi sono innamorato della storia.
Ha qualche altro progetto in mente?
Ci penserò. Adesso ho avuto un problema fisico grosso. Una cosa in fondo alla lingua, un tumore, ho fatto trentacinque radiazioni ed è sparito. Però è stato un altro momento … E’ successo altre volte. Devo dire che non ho nessun tipo di emozioni quando mi dicono: ”guardi che lei ha… ma con le radiazioni quasi sicuramente sparirà”. E infatti è andato via. Ecco, per dirle che anche la possibilità di restare secco è prevista. E non mi dà emozione. Strano. Forse sono riuscito a rimuovere tutto… Non so perché le ho detto questo.
Perché io le ho chiesto dei suoi progetti.
Il mio progetto è stato di guarire da questa cosa. Avevo paura di non poter parlare.
La morte di Pasolini
[Bertolucci prende in mano il libro di Giovanni Giovannetti e mio, Frocio e basta. Pasolini, Cefis, Petrolio, che gli ho portato]
Ma guarda! Chi è Giovannetti?
E’ un fotografo e un giornalista d’inchiesta. Ha fotografato anche lei. E suo padre Attilio. C’è una foto dove si vedono le mani di Attilio che reggono un libro aperto sulla poesia “Verso Casarola”…
Ah, l’aveva fatta lui?
Sì. Io invece non faccio inchieste. Mi interesso di letteratura e insegno letteratura…
A Pisa.
Sì. E se sono arrivata a occuparmi della morte di Pasolini è perché non ne ho potuto fare a meno. Ci sono incappata studiando Petrolio, l’opera che lui non ha fatto in tempo a pubblicare perché lo hanno fermato prima. Un romanzo sul potere, dove compare anche Eugenio Cefis, indicato come responsabile dell’omicidio di Enrico Mattei. E dove c’è un capitolo, “Lampi sull’Eni”, di cui resta solo il titolo e una pagina bianca… Nel 2011 Dell’Utri disse di averlo ritrovato, promise di esporlo alla fiera del libro antico di Milano, ma così non fu.
Dell’Utri, era una sòla, come dicono a Roma.
[ridono]
Vorrei chiederle se ha mai sentito parlare di questo capitolo di Petrolio, da suo padre.
No, Attilio non me ne ha mai parlato… Il libro lo avevano Vincenzo [Cerami] e Graziella [Chiarcossi]?
Sì, gli eredi.
E il capitolo “Lampi sull’Eni” è stato sottratto prima della morte di Pier Paolo o dopo?
Probabilmente dopo, ma non ci sono prove. C’è anche chi sostiene che Pasolini non lo ha mai scritto
Ma hanno trovato appunti o tracce di questo capitolo?
In Petrolio, a un certo punto, Pasolini si rivolge al lettore dicendo che se vuole rinfrescarsi la memoria sul periodo partigiano di Cefis vada a rileggere il capitolo “Lampi sull’ENI”…. Però questa è solo una delle cose strane. Nell’edizione a stampa di Petrolio manca un altro pezzo importante. Giovannetti e io lo abbiamo pubblicato – lo trova in questo libro che le ho portato- perché questo non è andato perso come l’altro. Sta tra le carte di Petrolio, al Gabinetto Vieusseux. Sono tre discorsi di Eugenio Cefis. Pasolini li aveva raccolti per inserirli a metà di Petrolio, nel centro esatto, perché secondo lui raccontavano in modo chiaro quel che stava accadendo in Italia. Ma gli editori non li hanno inseriti. Perché? …. Nel 2003 lessi l’inchiesta sul caso Mattei svolta dal procuratore Vincenzo Calia. Oggi è pubblicata da Chiare lettere, ma allora la ebbi da Calia stesso, incontrato a un convegno. Secondo il magistrato, Pasolini aveva visto giusto: Cefis reggeva le fila dell’attentato a Mattei – e probabilmente anche dell’omicidio di Pasolini. Da allora tante domande hanno cominciato a girarmi in testa. Perché quel libro è stato tenuto nei cassetti per ben diciassette anni? E perché se viene ucciso un giornalista o un magistrato si va subito a vedere cosa stesse facendo la vittima –un’ inchiesta o un’indagine – ma nessun inquirente andò a cercare in Petrolio?
Già, Petrolio… Io temevo che mi facesse piangere e per molto tempo non lo lessi. Poi ne ho letto un po’. E’ un libro che ho tenuto sempre lì, ma ho paura di leggerlo.
Non è un libro facile. Per di più quando finalmente fu pubblicato, nel ’92, ebbe una ricezione piuttosto ostile. Molti dissero che non lo si doveva pubblicare, perché era informe e pieno di sconcezze. Lo fecero passare per un libro quasi pornografico, di violenza e di sesso. Incredibile! Eppure molti sapevano di che materia era fatto. Qualche giorno fa “Repubblica” ha riportato le parole del proprietario del ristorante Pommidoro, frequentato da Pasolini. Gli diceva: “Pier Paolo, lascia perdere il petrolio che quelli ti fanno fuori”. E Laura Betti – come racconta David Grieco – era preoccupata per la vita di Pasolini proprio perché in Petrolio prendeva di mira Cefis.
Io ricordo che in quel momento, quando arrivò mio fratello una domenica mattina – era il 2 novembre, io avevo dormito fino a tardi e andai ad aprire mezzo addormentato – e mi disse “sembra che abbiano trovato Pier Paolo morto a Fiumicino”, io pensai che era stato un gruppo di fascisti, o di papponi, oppure anche di papponi fascisti, che comunque erano stati guidati in qualche modo. Non pensai né a Petrolio né a Cefis… Non sapevo nulla di Petrolio, perché allora non frequentavo Pier Paolo. Erano anni in cui ci eravamo un po’ staccati. Io ero andato a fare il film, Novecento… E avevo pensato, appunto, a un delitto di stato, come lo erano stati altri delitti, negli anni dopo Piazza Fontana. Chi l’aveva ucciso era stato guidato in qualche modo anche dalla persecuzione che Pier Paolo aveva subito per anni e anni. Non so se si ricorda, ogni anno aveva un processo. C’era persino un ragazzo che lo accusò di averlo minacciato con una pistola, con le pallottole d’oro.
Sì, era il 1962. Lo accusarono di rapina a mano armata a un distributore di benzina. Il tentativo di delegittimarlo era già iniziato allora.
Io lo vedevo come un linciaggio, proprio come un linciaggio, ormai regolare. Poi Pasolini cominciò a essere così ammirato per le cose belle che faceva al cinema, che un pochino si placò quel tipo di [linciaggio], che era di livello un po’ basso. Poi vennero altre cose … Lei suggerisce, appunto, che in qualche modo Cefis o l’Eni…
Non abbiamo prove. Sappiamo però con certezza, che la versione ufficiale, la rissa omosessuale, fu una sceneggiata messa su per coprire un altro tipo di delitto.
Sì, la storia di Pelosi…
E anche la storia che Pasolini lo abbia rimorchiato quella sera, per caso, alla stazione Termini … I due si frequentavano da mesi.
Sì, certo. Pelosi lo conosceva già. E anche quello che dice Pommidoro lo sapevo già, perché a volte sono andato a cena lì, e ogni volta Pommidoro mi raccontava.
Eppure tanti ci hanno creduto. Si è persino parlato della bella morte omosessuale di Pasolini. Quale bella morte! Una morte infamante. Non solo massacrato in quel modo atroce – e già questo è da piangere – ma fatto passare per uno che tenta di sodomizzare un minorenne …
… che si difende e lo uccide. Era chiaro che non poteva essere. Io lo dissi alla televisione, non so se lei l’ha visto.
Sì. Ho visto il Tg di allora, dove lei viene intervistato subito dopo l’omicidio, è molto scosso e parla di un delitto di stato.
Dissi che Pier Paolo non era stato ammazzato da quel ragazzo, ma da un gruppo di persone che in quel modo volevano come ripulire l’Italia, spinti da motivazioni di tipo fascista. Non sopportavano più che esistesse questa persona. E dissi che era chiaro che non poteva essere stato un ragazzotto a massacrarlo. Pier Paolo era forte, faceva la lotta. Non esiste che un ragazzo l’abbia ammazzato a quel modo. Era un gruppo di gente.
Oggi è accertato.
Ah!
C’erano almeno altre cinque persone oltre a Pelosi e Pasolini, come ha rilevato l’ultima perizia sulle tracce di DNA presenti sui loro abiti….
Io dissi quella cosa, che era un delitto di stato. Tre giorni dopo Enzo Biagi, sulla “Stampa” credo, in una rubrica, mi attaccò dicendo: “Bertolucci va a tirare fuori i crimini di stato! Questa è una storia di froci.” Enzo Biagi!
Sì. E’ incredibile. Gran parte dell’intellighenzia del paese accreditò la sceneggiata, persino attaccando quei pochi che, come lei, osarono metterla in dubbio. E altri tacquero. Lo stesso Nico Naldini… Si dice che fu lui a presentare Pelosi a Pasolini. Questo dettaglio, se rivelato allora, avrebbe potuto gettare dei dubbi sulla versione ufficiale.
E’ lui che ha presentato Pelosi a Pier Paolo?
Così sostiene Dario Bellezza, e mi pare anche qualcun altro
Non ho letto il suo libro. Ma forse al povero Nico è successo quello che successe a me. Io abito qui da allora, dal 1973, e mi ricordo che per qualche mese quando tornavo a casa la notte uscivo di macchina e mi guardavo intorno.
Sì, forse avevano paura. O sono stati minacciati.
Non credo. Io dico che avevo paura e non so perché. Avevo paura che mi ammazzassero, a me che non c’entravo nulla. Ma erano i sensi di colpa. In quei giorni i sensi di colpa mi divoravano.
Perché si sentiva in colpa, se posso chiederglielo?
Perché non ero vicino a lui. Gli ero stato così vicino in un certo punto della vita. E poi dopo sono venute quelle cose che ti fanno diventare adulto, ma che ti allontanano molto… da quel periodo eroico, quando feci il suo assistente, quando facevamo i sopralluoghi…
Lei portò la bara
Sì. Ma ebbi per mesi dolore a questa spalla. Pesava, la bara. C’erano i fratelli Citti e altri, ma erano tutti più bassi di me. Chi è più alto…
[ridono]
Il primo film
La cosa commovente è che quando lei ha fatto da aiuto regista a Pasolini, per Accattone, tutti e due eravate al primo film.
Lo incontro sulla porta un giorno – abitavamo nella stessa casa, in via Carini – e mi dice: “Ah, tu vuoi fare il cinema? Sarai il mio aiuto regista”. “Perché? Vuoi fare un film?” “Sì, faccio un film”. E allora io gli ho detto: “ Ma Pier Paolo, io non ho mai fatto un film, non sono capace”. “Neanch’io ho mai fatto un film”, disse.
E fu una grande esperienza?
Ma sì, perché ebbi modo di assistere al momento in cui Pier Paolo imparava a fare i film, o inventava una sua scrittura cinematografica, che era l’opposto di quella che avrei usata io se avessi fatto il film. Infatti, anche nella Comare secca si vede, non ho questi primi piani tragici… di quei papponi – come diceva lui, “primi piani di papponi veri” – che io come aiuto dovevo tenere, soprattutto la notte. E poi, alle tre del mattino [mi dicevano]: “famme annà! Devo andare a casa prima io, se no quella mi fa nero se non le preparo la pasta”. E’ quello che chiamo il periodo eroico dell’amicizia. Era bellissimo, vedevo che Pier Paolo inventava una scrittura che non c’era mai stata, ed era la sua scrittura. E di quello non gli sarò mai abbastanza grato.
Perché scelse lei? Se ne è fatto un’idea?
Lui mi aveva fatto pubblicare le poesie. Io gliele facevo vedere. Scrivevo e andavo da lui – stavo al quinto piano e lui al primo – a fargliele leggere. “Ah, le faccio pubblicare”- disse. E fu la fine del mio essere poeta, perché io volevo fare il cinema. Fu una decisione infantile ma decisiva. Non ho mai scritto più una poesia.
Pasolini non ha fatto in tempo a vedere il suo film Novecento. Probabilmente gli sarebbe piaciuto…
Ultimo tango non gli piacque. “E poi – mi disse – quell’attore! Super-virile!”. Si riferiva a Marlon a Brando. Poi prima di fare Salò, mi telefonò. Mi chiese se ero ancor in contatto con Marlon Brando. Io gli ho detto di no. “Peccato!”. Voleva fare San Paolo…
Con Marlon Brando?
Sì. Dopo avermi detto quello. Cambiava. E questo è bello. Ma Ultimo tango non gli piacque per niente. Io c’ero rimasto male. E infatti questa storia ci aveva un po’ allontanati.
Fu anche una crisi di crescita, come tra padri e figli?
Sì. Lo capisco più desso che allora… Mentre lui girava Salò e io Novecento – eravamo io a Parma e lui a Mantova – il giorno del mio compleanno, nel ’75, venne a Parma, perché ci fu la partita di calcio. Pier Paolo uscì dal campo mezzora prima della fine, dicendo alla sua squadra “Siete tutti dei narcisetti, non mi passate mai la palla”. E stavamo lì, seduti, a vedere la fine della partita. Ed era anche venuto a trovarmi, a un certo punto, perché giravo anche nel mantovano. “So che stai preparando Novecento, lì ci sono i tuoi contadini, sono sicuro che mi piacerà”.
Qual è il film di Pasolini che le piace di più oltre alla Rabbia ?
Accattone e Medea. Medea mi sembra sublime: questo girare l’angolo e trovarsi là, a Pisa. Dalle rovine in Medio Oriente al campo dei miracoli. Giasone.
Petrolio e i film su Pasolini
Lei ha girato un documentario sulla via del petrolio, quando era molto giovane.
La via del petrolio, sì. E’ un documentario girato nel ’66 …Era molto prima di Cefis. Mio padre era direttore del giornale aziendale dell’Eni – si chiamava “Il gatto selvatico” – e mi portava qualche volta con sé. Io avevo sedici o diciassette anni. E lì incontrai Enrico Mattei, che mi disse: “So che tu ami pescare la trota con la mosca come me, e ti porterò in Scozia con il mio aereo”. Io da allora ho sognato questa cosa, mai successa. Anni dopo, mio padre non era più lì, mi chiamarono all’Eni per fare un film sul petrolio, da passare alla Tv. Nove anni fa, Marco Müller, che era direttore della mostra del cinema, mi invitò a Venezia e fece tutta una cosa, durante la mostra, attorno a questo film.
Fu nel 2007, quando ricevette il Leone d’oro
Sì. E Feltrinelli pubblicò il film. Sono tre episodi. Le origini, che si svolge tutto in un Iran ancora medievale; poi Il viaggio, dal golfo Persico fino a Genova, passando per il canale di Suez e poi sul Mediterraneo, stando su una grande petroliera. Il terzo , Attraverso l’Europa, è un oleodotto che parte da Genova e va verso la Germania. Il film è questo. Abbastanza divertente. Non lo avevo rivisto per 50 anni. Lo rividi allora.
Che impressione le fece più tardi sapere che Pasolini stava scrivendo un romanzo intitolato Petrolio?
Non lo sapevo, lo seppi solo dopo la sua morte.
Non pensò di averlo suggestionato in qualche modo, con il suo documentario?
No.
Anche in Petrolio c’è un viaggio in oriente. Il protagonista, che lavora all’ENI, va in Irak, e Pasolini lo narra sullo sfondo mitico del viaggio degli argonauti.
[A questo punto è Bertolucci a farmi domande]
Dei film che hanno dato intorno a Pier Paolo, nessuno mi sembra brutto. Lei li ha visti tutti?
Sì
Ha visto anche La macchinazione di David Grieco? E’ molto interessante.
Sì, è un bel film. Ed è anche un’ottima e documentata ricostruzione dell’omicidio.
Lui me l’ha mandato. Conosco benissimo David, ma poi per anni sparisce. Mi ha mandato La macchinazione attraverso un’amica comune, ma non l’ho mai più sentito. Non so dove sia. Si farà vivo, a un certo punto… Film molto interessante. Lo hanno distribuito?
In Italia mi pare che lo abbiano un po’ boicottato. A Milano, dove i film stanno in programmazione per mesi, è rimasto meno di una settimana. Però ha avuto molto successo, soprattutto all’estero. Lo invitano spesso.
Ha visto anche il film di Abel Ferrara?
Sì, ma l’ho apprezzato di meno. Gli attori però sono bravi.
Sì, lui ha cercato di fare un film un po’ in poesia, senza dargli una struttura, un’ossatura vera. Forse la cosa più pensata è quella di David.
I tempi del cinema
Pasolini disse che facendo il cinema era uscito dall’Italia. Con l’ambiente italiano, anche intellettuale – a parte quelli che gli erano vicini – ha avuto spesso rapporti difficili. Forse questo ambiente, molto ambivalente verso di lui, lo avrebbe stritolato se non avesse fatto film.
Il cinema lo ha fatto respirare, sì.
E lei?
Io me ne andai proprio. Quando andai a fare L’ultimo imperatore mi sembrava che qui proprio non sarei riuscito a fare più nulla. Era il momento di Craxi, c’era odore di corruzione. Ebbi questa chance di poter andare in Cina. Meraviglioso, prima di tutto perché era come andare su un tappeto volante via dall’Italia. E poi perché mi sono talmente innamorato del Paese, della sua cultura, della gente.
So che lei ama le serie televisive
Molto. Hanno un fascino, sono il vero feuilleton dei nostri giorni.
C’è in effetti una temporalità diversa, che permette di seguire il personaggio…
C’è proprio il ritorno al cinema, il ritorno del cinema. I tempi che rendono le serie sono i tempi che aveva il cinema fino a quando, dopo la guerra, negli anni ‘50 e di più nei ‘60, è cominciato questo montaggio tac- tac- tac, che è diventato una specie di must. Devo dire, anch’io forse mi sono trovato in certi momenti a farlo, per conformismo… Nelle serie invece, se un personaggio si innamora di quello che vede davanti a sé, che sia un paesaggio o un interno, può restare a lungo a guardare. E tu capisci quello che si vuole raccontare con questo guardare. Capisci tanto il personaggio. Le serie sono piene di tutto ciò che era il grande cinema del passato.