Sono stati in pochi a rendere omaggio oggi a Roma all’attrice Silvana Pampanini. L’artista era scomparsa il giorno dell’Epifania. Stella del cinema popolare italiano degli anni 50, la sua bellezza fece innamorare l’Italia intera. A dare l’addio alla Pampanini alla camera ardente allestita in Campidoglio, solo i famigliari e pochi fan.
La cerimonia. I funerali dell’attrice si svolgeranno domani alle 11 nella basilica di Santa Croce al Flaminio, in via Guido Reni. Lo ha reso noto la sorella Maria Teresa pubblicando il necrologio dell’attrice.
Prima di Gina Lollobrigida, prima di Sophia Loren, al tempo dei concorsi di bellezza e di un’Italia che la guerra non aveva piegata, l’astro di Silvana Pampanini – morta al Policlinico Gemelli di Roma dove era ricoverata da metà ottobre – cominciò a risplendere e non fu una stella cometa, ma una stella luminosa che attirò registi famosi, attori di grido, principi e magnati in una ridda di successi commerciali, applausi internazionali, flirt sempre annunciati e sempre smentiti, compreso quello romantico di Totò, che per la bellissima attrice provò un sentimento profondo e mai veramente ricambiato.
La vita dell’attrice Silvana Pampanini.Nata a Roma il 25 settembre del 1925, romana ma di famiglia veneta, Silvana Pampanini doveva essere cantante nel segno di una zia celebre, la soprano Rosetta. Diplomata all’istituto magistrale e al Conservatorio di Santa Cecilia la ragazza aveva una vera propensione al canto, tanto da aver tenacemente conservato la sua voce in tutti i film in cui i suoi personaggi cantavano, mentre tante brave doppiatrici si sostituirono sempre a lei per darle voce nei film più celebri. Invece le cose cambiarono in una sola notte quando la sua maestra di canto la iscrisse a sua insaputa al primo concorso di Miss Italia, a Stresa nel 1946.
Sconfitta dalla giuria fu recuperata a furor di popolo dal pubblico, tanto da obbligare gli organizzatori del premio ad attribuirle un “ex aequo” che ne fece subito una ragazza-copertina sui rotocalchi. Il passo verso il mondo dorato della celluloide, amplificato dai fotoromanzi e dalle prime indiscrezioni sentimentali fu brevissimo tanto che nello stesso 1946 Silvana otteneva il primo ruolo a Cinecittà: “L’apocalisse” di Giuseppe Scotese anche se furono veterani della regia come Giacomo Gentilomo, Camillo Mastrocinque, Guido Brignone a insegnarle le tecniche della recitazione in un apprendistato rapidissimo e capace di portarla al successo già due anni dopo. Il 1949 è l’anno de “I pompieri di Viggiù” di Mario Mattoli in cui interpretava Fiamma, figlia del capo dei pompieri Carlo Campanini.
In un set di “tutte stelle” in cui appariva anche la “regina” Wanda Osiris, la bellezza prorompente dell’ex Miss Italia, dotata di una verve e una naturalezza contagiosa (sposata al fisico mozzafiato), fece subito la differenza. Sullo stesso set, in un diverso episodio, c’è anche Totò che la vorrà con sé in “47 morto che parla” di Bragaglia l’anno dopo. Ma nel frattempo i binari del successo della nuova “divina” di un cinema popolare fatto di sorrisi, sketch da rivista, parodie bonarie e sapori da neorealismo rosa, sono già ben delineati ai suoi piedi. E’ dello stesso anno “Bellezze in bicicletta” di Carlo Campogalliani che la vede al fianco di una scatenata Delia Scala nel ruolo di un’aspirante ballerina che vorrebbe entrare nella compagnia di Totò. La coppia composta dalla biondina-tutto-pepe e dalla mora con pose da “femme fatale” funziona anche perché le due attrici rivelano presto le loro anime candide anche nella ricerca della fama ed il pubblico si commuove mentre il motivetto del titolo diventa un tormentone in tutte le piazze d’Italia. Un passo ancora e la sua popolarità varca i confini nazionali. Diretta da Mario Soldati in una scatenata parodia dell’hollywoodiano “Quo Vadis”, la Pampanini veste la stola di Poppea duettando con Gino Cerci in “O.K. Nerone” che si afferma su tutti i maggiori esteri, e specie in Francia. Così diventa “Nini Pampan” e riceve le prime proposte di coproduzioni fra Parigi, l’America del Sud, perfino l’Egitto. Grazie all’abile guida del padre che ha lasciato il lavoro per farle da agente, l’attrice non abbandona però Cinecittà e anzi si afferma in un cinema più “serio” grazie ad autori come Luigi Zampa (“Processo alla città”), Luigi Comencini (“La tratta delle bianche”), Pietro Germi (“La Presidentessa”), tutti del 1952. Un anno dopo è il maestro del melodramma neorealista, Giuseppe De Santis a incoronarla come icona del miglior cinema popolare in “Un marito per Anna Zaccheo” e la rivorrà nel 1958 per “Una strada lunga un anno”. In mezzo c’è spazio per grandi trionfi come “Un giorno in pretura” di Steno, “La bella di Roma” di Comencini, “Racconti romani” di Gianni Franciolini.
Lavora moltissimo all’estero anche se molti dei suoi titoli del periodo di maggior fulgore risultano oggi dispersi o dimenticati. Con il nuovo decennio è invece fin troppo frettolosamente archiviata dal nostro cinema a favore di nuove bellezze e di un cinema più smaliziato e adatto ai tempi del boom. Sarà Dino Risi a tributarle un affettuoso omaggio nel “Gaucho” del 1964 in cui le affida però il ruolo di una diva sul viale del tramonto in un memorabile confronto con Vittorio Gassman, affiancato da Amedeo Nazzari e Nino Manfredi. L’attrice ha intanto trovato un nuovo pubblico alla tv, mezzo in cui crede fin dalla nascita e che la vede protagonista fino alla conduzione di “Mare contro mare” nel’65. Poco dopo però la Gran Dama si ritira di fatto, vedendosi come una nostrana Greta Garbo che Cinecittà non merita più. Per due volte è stata regista (due corti del 1958), ha dato alle stampa un’autobiografia piena di verve fin dal titolo “Scandalosamente perbene”, ha sempre mantenuto uno stretto riserbo sulle sue vicende private celando perfino il nome del grande amore che non avrebbe potuto sposarla a pochi mesi dal fatidico “sì” perché stroncato da una grave malattia. Dotata di una allegra autoironia come si vede bene nel “cammeo” regalato ad Alberto Sordi ne “Il tassinaro” (1983) è sempre stata anche una spiritosa polemista come quando si scagliò contro la “presunta erede” Gina Lollobrigida, rea di essersi sposata con un uomo molto più giovane, o come quando attaccò il sindaco di Roma, Walter Veltroni per averla ignorata al tempo della Festa del Cinema. Occhi da tigre, bocca di fragola, curve “pericolose” e allegra sfrontatezza ne fecero un’icona: oggi diventa un ricordo per un’Italia che non esiste più da tempo.