«In “Un posto al sole” intrecciamo attualità e sentimenti, ma ora è sospesa per il Covid19»

In onda da 23 anni su Rai3, “Upas” da oggi va in replica per l’emergenza. La sceneggiatrice Kirsi Viglione: «Napoli mostra un forte senso civico e non ti lascia mai solo»

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6 Aprile 2020 - 11.29


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di Chiara Zanini

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Da 23 anni l’ora della cena per gli italiani di tutte le età significa UPAS: Un posto al sole, sui Rai3. Dal 1996 la serialità televisiva è molto cambiata, ma nemmeno chi ricorre allo streaming ha lasciato la serie che mantiene un primato unico nella storia della nostra televisione. Ora le restrizioni dovute al Coronavirus hanno fermato le riprese: da oggi 6 aprile vedremo solo repliche, mentre i protagonisti incontreranno virtualmente il pubblico con delle dirette su Instagram.
Tra gli sceneggiatori c’è Kirsi Viglione. L’abbiamo intervistata.

Come nasce una puntata di Un posto al sole? Lavorate in squadra o individualmente? E come avete fatto in queste ultime settimane?
Il nostro è un lavoro prevalentemente di squadra, basato su un meccanismo cosiddetto “a cascata”: ogni fase del processo viene arricchita da quella successiva. C’è una prima fase, quella più creativa, in cui si elaborano le storie che copriranno tutto l’arco della settimana. Subito dopo si passa a dettagliare le singole puntate, con lo sviluppo dei trattamenti che gli storyliner scrivono individualmente a casa. Il trattamento passa poi nelle mani dei dialoghisti che lavorano da casa e che traducono il tutto in una sceneggiatura completa. Gli story editor e gli script editor assicurano la continuità tra le varie puntate garantendo che non ci siano incongruenze nelle maglie della catena di montaggio. Siamo una fabbrica a tutti gli effetti. Ogni anello è indispensabile alla buona riuscita del prodotto finale. Da quando è iniziata l’emergenza Covid-19 noi che lavoriamo alle prime fasi del processo abbiamo attivato subito la modalità di smart working, alternando le fasi di scrittura individuale a momenti di riunione via Skype, e così abbiamo fatto fino all’interruzione della produzione, avvenuta il 14 marzo. Scriviamo con tre mesi di anticipo rispetto alla messa in onda, quindi le puntate andate in onda fino a venerdì scorso erano state pensate in tempi in cui non c’era ancora l’epidemia.

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L’attualità, anche nei suoi aspetti drammatici, è sempre entrata nelle storie di UPAS, dando ispirazione a vicende interne. Violenza, immigrazione, Aids, usura, droga, criminalità, omosessualità, transessualità, prostituzione minorile, camorra, disoccupazione, gioco d’azzardo sono solo alcuni dei temi che avete trattato, eppure chi vi segue apprezza la componente leggera, il fatto che si adottino più registri. Come riuscite a mantenere questo equilibrio?
L’intreccio e l’alternanza di generi diversi all’interno della stessa puntata è sempre stata una caratteristica di UPAS. Da un lato c’è un forte radicamento alla realtà, con un rigoroso rispetto delle date e delle ricorrenze, e la trattazione di temi di attualità o – come li definiamo noi – social issues, tematiche sociali. Dall’altro ci sono le storie sentimentali, quelle che “fanno sognare”, o le storie comiche light che aiutano il pubblico a sorridere e a distrarsi per trascorrere una mezz’ora in spensieratezza. In questo l’ambientazione napoletana aiuta molto: sono tutti registri quotidianamente presenti nell’ “humus” napoletano, dove anche nelle situazioni più drammatiche non manca mai l’ironia e il senso dell’umorismo.

Da dove riprenderanno le storie di UPAS quando potrete ricominciare a scriverle e a girarle?
Le storie riprenderanno da dove le abbiamo lasciate, molto è stato già scritto e verrà girato appena l’emergenza sarà passata. Poi passeremo a scrivere le nuove puntate, ma è ancora presto per fare ipotesi sul futuro.

Anche L’amica geniale e I bastardi di Pizzofalcone sono ambientati a Napoli e, prima della pandemia, c’era un turismo interessato a scoprire i luoghi delle fiction. È anche la città di Gomorra, La paranza dei bambini, Martin Eden, Napoli velata, dei film di Mario Martone e molti altri. Com’è la sua città in questi giorni, con le restrizioni che impongono di rimanere in casa?
Sì, ultimamente c’è stata una grande riscoperta di Napoli e dei suoi luoghi, sia a livello turistico che cinematografico. A guardarla adesso, deserta per le restrizioni da Covid-19 eppure bellissima, silenziosa e assolata, sembra ancora l’ambientazione ideale per un set a cielo aperto. Il mare è limpido e cristallino come non mai, è una sofferenza guardarlo da lontano, magari attraverso uno schermo. Anche i miei concittadini stanno mostrando un forte e sorprendente senso civico: strade vuote, file ordinate fuori ai supermercati. Certo, ci sono le eccezioni, come in tutte le città, ma credo che la maggior parte dei napoletani abbia capito ormai l’importanza di rispettare le regole per poter uscire al più presto da questa emergenza. E poi ci sono tante iniziative improvvisate per aiutare i più deboli, come quella del “panaro solidale”, apprezzato perfino da Madonna che ne ha postato un video su Instagram. Insomma anche in tempi di Coronavirus, Napoli non si smentisce e resta una città originale e attenta al prossimo.

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Perché Napoli è così amata dal cinema, come lo è in tutto il mondo, ma dimenticata dalla politica?
È una città che ha mille problemi, ma oltre alle bellezze naturali, artistiche e architettoniche è una città che, nonostante tutto, non ti fa mai sentire solo. Ha un’anima ed è per tutti. E forse è quest’anima che ti “acchiappa” subito quando sei qui, soprattutto se sei in vacanza. Viverci è un’altra storia: spesso è una lotta perché è una città complessa, piena di contraddizioni. Mancano tanti servizi, per non parlare di problemi più grandi come l’occupazione. Credo che Napoli, come tutto il Mezzogiorno, risenta ancora di un pregiudizio molto forte a livello nazionale, e paghi il prezzo di una politica che non ha saputo dare le risposte giuste a tanti bisogni.

Tra le parodie di Boris c’è Gli occhi del cuore, che sembra parlare direttamente al pubblico di Un posto al sole. L’ha vista? Cosa ne pensa?
Sì, è divertente, ne abbiamo riso spesso, anche se lì sono raccontate situazioni un po’ paradossali. Anche noi scrittori abbiamo i nostri piccoli “tormentoni”. Se non avessimo un po’ di autoironia, non saremmo stati capaci di sfornare e scrivere storie per più di vent’anni!

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