di Antonio Cipriani
La storia di Vera la figlia di Vittorio Casamonica seduta sui divani comodi di Bruno Vespa, sulla rete ammiraglia della Rai, non mi fa né caldo né freddo. Ritengo giusto che ci sia chi si indigna, chi protesta, chi denuncia il giornalismo accomodante di potere del pensionato Vespa. Ma ritengo ancora più giusto che chi lo fa, eserciti una coerenza che talvolta mi sembra perduta.
Porta a Porta da sempre è una pessima sagra nazional-popolare che mescola politica, Cogne, Meredith a suon di plastici, eccessi raccapriccianti, analisi da politologia d’accatto e stupidaggini dei soliti noti del circo mediatico, comodamente stravaccati sui divani vespici. Si tratta di un pessimo servizio al pubblico, da anni e anni. Al servizio di poteri che esercitano una certa influenza visto che Vespa – un personaggio giornalisticamente non certo indimenticabile – è fisso lì da sempre. Passano gli anni, cambiano i governi, e lui è sempre lì, arroccato a difesa del modo di pensare che un tempo avremmo definito clerico-borghese-fascista. Non è un caso, infatti che in sua difesa, e del diritto dei Casamonica ad avere una scena mediatica così comoda, si sia sollevato l’intero apparato politico-culturale di quella destra egemone che da anni si batte con successo per sdoganare e far passare come assolutamente normali ingiustizie sociali, arroganza dei potenti, un certo sistema mafioso applicato a ogni aspetto della vita politica ed economica.
Quindi: Vespa è Vespa. E fa la sua Porta a Porta indiscutibile. Potevate accorgervene prima, evitando di andarci cari politici, magari facendo in modo che ci fosse una sorta di ricambio generazionale e culturale anche nell’informazione paludatissima della Rai. Non volevate cambiare verso? Invece no. Tutti con la chiappa calda sul divano a partecipare all’epopea del giornalismo di chiacchiera, plastico a effetto e potere. Tutti felici che con i soldi della collettività fossero creati mostri a comando, non solo da cronaca nera, ma anche giornalistici. E che questa deformazione della professione – in mano a cantori del peggio, a marchettari e scrivani del niente – diventasse la regola, creasse un proprio sistema di riferimento in grado di garantire una meritocrazia senza alcun rapporto con la professione. Figlia del salotto giusto.
Poi i Casamonica. Il sogno di Vittorio è stato esaudito, con i soldi della collettività e il boom di audience. Ma è solo quello il problema? Veramente il problema è il giochetto della Rai oppure quello che rappresentano quotidianamente i Casamonica nella Capitale? Di quello ne vogliamo discutere o no? Di che cosa rappresentano nel tessuto sociale e politico, di quello che muovono o che impediscono. E ancora, tante volte se ne discutesse: sono solo loro il problema di Roma? O sono solo un pezzetto di un sistema che sta divorando il bene comune, sociale e politico, non sempre illegalmente, spesso a suon di decisioni assurde ma legali. Illegittime perché contrarie a ogni aspetto della giustizia sociale e umana, ma legali.
Penso stia vincendo una cultura fascista, imprenditoriale, arraffona, volgare, ma in doppiopetto. Capace di pagare campagne elettorali e di orientare scelte; con capacità di muoversi trasversalmente, ma sempre con il suo portato reazionario e becero. E penso che i Casamonica in Rai, il funerale maestoso, Mafia Capitale, siano solamente dettagli di contorno di un sistema che è più profondo e violento. Elegante, ricco, brutale e feroce, allenato a gestire i media e, da decenni ormai, le forme peggiori della criminalità a proprio uso e consumo. E contro ogni attività sociale, di giustizia e di dignità umana.
Per questo ritengo che la Tv vada spenta. Ritrovata la strada, il quartiere, l’azione reale. E che questo sistema vada combattuto. Rovesciando un modo di pensare, non limitandosi a indignarsi a comando di fronte a un aspetto troppo evidente (Casamonica in Rai, funerali, Mafia Capitale) che spesso cela un sistema più radicato e meno impresentabile. Non meno pericoloso. Come? Prendendo parte. Non rassegnandoci a veder crollare ogni ipotesi di bene comune. Io penso, e sono d’accordo con don Ciotti, che non possa esistere legalità senza giustizia sociale.