Il ruolo delle donne e gli anni rimossi della Repubblica di Salò

Al Teatro Stabile di Catania torna lo spettacolo che mette in scena una drammatica pagina della nostra storia. Ne parla Laura Sicignano

Il ruolo delle donne e gli anni rimossi della Repubblica di Salò
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

1 Ottobre 2021 - 19.53


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di Giuseppe Costigliola

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Dal 28 settembre è in scena al Teatro Stabile di Catania lo spettacolo “Donne in guerra”, diretto da Laura Sicignano, che ne è autrice insieme ad Alessandra Vannucci.
Il lavoro viene riallestito dopo importanti riconoscimenti ottenuti in Italia e all’estero, quali la menzione al Premio Ubu, il Premio Fersen 2015 per la regia, il Premio internazionale Les Eurotopiques 2014. Le repliche si susseguiranno fino al 29 ottobre e vedranno impegnate sul palcoscenico sei attrici giovani ma già affermate nel panorama nazionale: Federica Carruba Toscano, Egle Doria, Isabella Giacobbe, Barbara Giordano, Leda Kreider e Carmen Panarello.

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Si tratta infatti di sei storie tutte al femminile sullo sfondo dell’estate 1944, durante la guerra civile che insanguinò il nostro paese e gran parte della popolazione fu costretta a sfollare in campagna, con gli uomini lontani, in guerra o morti. Ed è sul filo della memoria che si snoda quest’opera corale, accorata testimonianza del sacrificio, del coraggio, dell’eroismo e del martirio di tante donne che, sfidando gli eventi armate della propria dignità, affrontarono circostanze estreme, tra fame, pericoli di vita e barbare violenze. Le vicende delle protagoniste, ispirate ai racconti d’infanzia delle nonne, dimostrano quanto viscerale, arcaico e salvifico sia per l’umanità il ruolo femminile, primordialmente legato alla terra, al corpo, alla vita e alla sua rinascita nella pace riconquistata ad un prezzo durissimo.

Caratteristica dello spettacolo è il coinvolgimento del pubblico, non soltanto emotivo ma anche da un punto di vista fisico: gli spettatori si ritroveranno catapultati in un’epoca, quella del secondo conflitto mondiale, visto non in una dimensione minimalista o privata bensì storica e pubblica, resa solenne proprio per la debolezza della sconfitta e il soccombere delle vittime. Si mettono dunque in scena storie non meramente cronachistiche ma dense di un afflato classico, in cui ogni scelta è pagata a caro prezzo e i destini si compiono tra fucilazioni, stupri, vendette e omicidi, in un viaggio fisico e temporale in un resoconto fedele degli orrori di cui furono testimoni le donne chiamate ad esistere nei terribili anni della Repubblica di Salò e nell’ultimo, tragico scorcio del secondo conflitto mondiale. Che siano partigiane, fasciste, contadine, operaie, borghesi, tutte loro ci consegnano un messaggio da non dimenticare, soprattutto nel difficile momento storico che stiamo vivendo: perché solo la volontà di superare le prove più dure che la vita ci mette di fronte e di costruire un mondo migliore può salvarci dallo sconforto, dalla rinuncia, dall’abbandono.

Ad approfondire le istanze suscitate dallo spettacolo si affiancheranno alle repliche diversi appuntamenti collaterali ancora in fase di programmazione, a cura della professoressa Lina Scalisi, motivo di riflessione sull’impegno femminile nel contesto sociale contemporaneo, in un virtuoso connubio di arte, storia, impegno civile. A tale riguardo è in fase di allestimento anche una mostra curata dalla collettività di artiste Le Maletinte, dopo la collaborazione già avviata la scorsa estate per la realizzazione dell’opera murale oMaggio a Mariella Lo Giudice sulla facciata esterna dello Stabile.

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Per l’occasione abbiamo intervistato Laura Sicignano, direttrice del Teatro Stabile di Catania e co-autrice dello spettacolo Donne in guerra.

Lo spettacolo scritto da lei e da Alessandra Vannucci si pone in controtendenza rispetto al minimalismo e alla dimensione privata oggi imperanti nel teatro. Lintento della vostra opera era anche quello di recuperare e riproporre significati e valori di portata universale?

Certamente scegliere di portare in scena uno spettacolo sulle Donne in Guerra in questo momento storico (è, non a caso, lo spettacolo che apre la nostra Stagione, al Teatro Stabile di Catania), vuol dire lasciare che la testimonianza della loro audacia, della loro forza combattiva e della loro dignità attraversi il tempo e giunga fin qui, a parlarci. Donne in Guerra indaga la condizione delle donne nella fase conclusiva della Seconda guerra mondiale, mentre l’Italia era travolta dalla guerra civile, gli uomini erano a combattere o erano già caduti, e loro si sono trovate a guadagnarsi la sopravvivenza con la forza del carattere e l’indipendenza con l’inventiva: in qualche modo, attraverso la guerra, sono riuscite ad emanciparsi, rifondando l’identità delle donne di oggi.

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Così quella guerra diventa tutte le guerre. E questo lavoro, che da una parte è concentrato sull’identità nazionale figlia di quegli anni, diventa un ritratto umano e universale della forza delle donne nelle avversità.

Che messaggio lanciano alla società contemporanea, e in particolare ai giovani, le vicende delle donne che avete messo in scena?
Ultimamente facciamo spesso, forse con un eccesso di superficialità, riferimento al concetto di resilienza. Ma è proprio questa capacità di resistere trasformandosi uno dei messaggi che queste vicende si portano dentro. Queste donne non vogliono arrendersi: è così che comprendono di potere e dovere diventare protagoniste del proprio destino. Con gli uomini lontani, non sono più figlie, né mogli, né amanti: le scelte che hanno da compiere non ruotano più attorno alle figure maschili, devono diventare scelte autonome, decisive, anche se si riveleranno pericolose, anche quando comporteranno un prezzo da pagare. Ecco, le scelte difficili e piene di responsabilità che hanno segnato la loro storia personale, la storia d’Italia, la nostra storia di donne, sembrano volerci insegnare che la storia siamo noi. E ce lo insegnano perché custodiscono una saggezza antica e, ancora una volta, universale: le donne legate alla terra, al corpo, sanno dare un significato anche alla morte, perché sanno che ad ogni morte segue sempre una nascita.

La tragedia greca e le sue grandiose figure femminili sono state in qualche modo fonte di ispirazione per questo lavoro?

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Al contrario, posso dire di aver compiuto in questi anni una ricerca di segno opposto: sono arrivata a studiare le figure femminili della tragedia greca solo dopo aver attraversato la storia delle donne reali. Proprio Donne in Guerra ne è un esempio: è uno spettacolo che nasce dal richiamo dei ricordi d’infanzia, dai racconti che innanzitutto le mie nonne mi ripetevano perché, nonostante fossi solo una bambina, a loro sembravano giusti per spiegare il mondo. Quelle storie hanno contribuito più di ogni mito, più di ogni romanzo a creare il mio universo fantastico e valoriale. Ed è così che sono arrivata alle figure più eversive della tragedia greca. Ho portato in scena Antigone di Sofocle, la donna anarchica per la legge poiché intimamente fedele alla natura e alla giustizia umana, e a gennaio porterò in scena le Baccanti di Euripide: anche loro rappresentano la celebrazione dell’imprevedibile forza femminile, capace di esprimere quel misterioso rito arcaico di smembramento e rigenerazione così profondamente radicato nella nostra cultura.

Quanto è funzionale al recupero della memoria il coinvolgimento del pubblico nella rappresentazione?

La memoria che invitiamo a ritrovare si intreccia alla compresenza attuale tra le attrici e gli spettatori ed è per questo che il coinvolgimento del pubblico diventa fondamentale.

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Lo è per le storie che lo spettacolo contiene e per la sua stessa struttura. Gli spettatori che verranno a vederlo, troveranno un binario ferroviario al centro della sala e si sentiranno immediatamente spinti dentro la scena, trasportati nell’estate del 1944, a compiere un viaggio fisico ed emotivo insieme alle sei donne protagoniste. Ma lo è anche per le storie del presente. Nel momento della riapertura avevo bisogno di parlare al pubblico con questa intensità per riportarlo al teatro: volevo dare agli spettatori la possibilità nella dimensione concreta, viva e fisica del teatro, che ne costituisce la necessità.

Il monito a non dimenticare non dovrebbe permeare maggiormente le opere letterarie e teatrali in questa fase di profonda crisi politica ed esistenziale?

Il teatro ha sempre svolto questo compito e continuerà a svolgerlo. È sempre stato un’arena in cui la polis si è guardata allo specchio, per riflettere e dibattere sui propri conflitti e le proprie ferite e per cercare nuovi modi di leggere il mondo e l’individuo. Credo che il dibattito di questi mesi continui a dimostrarlo: con le sale teatrali improvvisamente chiuse, inaccessibili, abbiamo sentito un compito ancor più delicato nei confronti della comunità in cui il nostro Teatro vive e opera e non abbiamo potuto far altro che cercare soluzioni affinché potesse continuare a svolgere il suo ruolo. Un ruolo di coesione sociale, capace di continuare a dare ai cittadini gli strumenti per riflettere sulla storia e sulle relazioni, sul presente e sul futuro.

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Come ha vissuto, da artista e da direttrice di unistituzione artistica e culturale di rilievo come il Teatro Stabile di Catania, lesperienza della pandemia?

Proprio in questo modo: con un grande senso di responsabilità verso gli spettatori e anche verso i lavoratori, artisti e maestranze, a cui abbiamo garantito sicurezza e continuità. Con creatività abbiamo lavorato sempre, investendo sul digitale e impegnandoci a inventare tutte le opportunità per trasformare un’assenza in presenza. Ma con ostinazione abbiamo anche riprogrammato di continuo gli spettacoli dal vivo, per poter essere subito pronti alla riapertura delle sale. È andata così, siamo stati pronti: già quest’estate abbiamo proposto cinque produzioni all’aperto e adesso abbiamo una Stagione di venti spettacoli fino a luglio 2022. Ho detto tante volte che il teatro non esiste senza il pubblico: adesso lo vediamo tornare con entusiasmo, lo ritroviamo con aspettative più alte.

La situazione determinata dallemergenza Covid ha inferto un durissimo colpo al mondo dellarte e dello spettacolo. Qual è la situazione dello Stabile di Catania e con quali progetti intende ripartire?

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Il Teatro Stabile di Catania veniva già da una situazione difficile: nel 2016 era stato commissariato a causa del sovraindebitamento che la gestione precedente aveva maturato, rischiando il fallimento. Dal 2017 una nuova governance ha avviato il risanamento e in questo quadro abbiamo avviato anche un forte progetto di rinnovamento artistico. L’emergenza Covid 19 ha fortemente minacciato e oscurato i risultati di questo lavoro, ma alla fine non lo ha rallentato. Ce lo conferma il trend della campagna abbonamenti in corso, fortemente in ascesa non solo rispetto allo scorso anno, ma soprattutto rispetto al precedente, l’ultimo prima della pandemia. E ci incoraggiano a pensarlo i nuovi progetti: oltre alla Stagione principale nella Sala Verga, che stiamo anche sottoponendo a una profonda ristrutturazione, e alla tournée nazionale di “Baccanti” in programma da gennaio, stiamo ad esempio per inaugurare una seconda sala dedicata a produzioni più piccole e stiamo riallestendo il laboratorio di scenografia, che opera abitualmente anche al servizio di altri Teatri. Stiamo lavorando affinché il Teatro Stabile di Catania torni ad essere un teatro d’eccellenza, capace di dialogare con le forze migliori della città e del Paese.

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