Il Roth politico riconquista la scena | Giornale dello Spettacolo
Top

Il Roth politico riconquista la scena

La regista Laura Angiulli spiega i profondi motivi di questa scelta. "Lucy e le altre" in scena al teatro Galleria di Toledo

Il Roth politico riconquista la scena
Preroll

redazione Modifica articolo

29 Settembre 2021 - 14.56


ATF

di Alessia de Antoniis

 

Lucy e le altre, da Philip Roth, ha debuttato all’interno del Campania Teatro Festival.

Al teatro Galleria Toledo, nel cuore dei Quartieri Spagnoli, un palcoscenico, tre set in contemporanea, dodici attori, per raccontare le donne di tre opere del drammaturgo newyorkese di origini europee: ‘Quando lei era buona’, ‘Inganno’ e il suo capolavoro ‘Pastorale Americana’.

 

Autrice del progetto, la regista napoletana Laura Angiulli. A creare la congiunzione tra tre aspetti di una medesima realtà, una potente drammaturgia della luce firmata da Cesare Accetta. Lucy e le altre sarà ancora a Napoli dal 21 al 31 ottobre.

Ho scelto Philip Roth perché è un autore fortemente politico – racconta la regista Laura Angiulli – e io mi occupo solo di teatro politico.

 

Ma perché farlo attraverso tre figure femminili? In Roth le donne restano sempre ai margini della storia…
È vero, nella maggior parte dei romanzi emerge una figura paterna preponderante, con la quale lui vive un conflitto dichiarato. Le donne in generale, ma anche la madre, sono figure sottotono. Ma le donne sono presenti nella fortissima sessualità che lui utilizza come elemento importante all’interno delle sue opere. In “Teatro di Shabat”, ad esempio, che è un’opera insostenibile, fastidiosa e, al contempo, geniale e straordinaria, un meraviglioso delirio, che si lascia vivere in maniera terrificante, il rapporto con la donna è molto forte. Roth è un autore straordinario, le cui opere non sono semplici racconti, ma contengono mille sfaccettature problematiche e contraddittorie.

 

Quest’anno Galleria Toledo festeggia i suoi trent’anni. Quanto ha inciso la sua presenza nel cambiamento dei Quartieri Spagnoli?
Molto, perché è un teatro che si apre alla città e grazie al quale la cittadinanza entra in un quartiere nel quale non verrebbe mai. Io ho un rapporto molto forte con le persone che vivono qui. Nel tempo ho fatto molti progetti urbani, anche se il nostro non è un teatro che può richiamare direttamente questo pubblico. Ma la porta di Galleria Toledo è sempre aperta.

Quando iniziai le prove di Tatuaggi, che nel 1977 divenne anche un film, e che narra la storia di tre detenuti che convivono nella stessa cella, era una realtà che loro conoscevano. In quell’occasione loro entravano e condividevano le loro esperienze.
Galleria Toledo è da sempre un opportunità di contatto con la cultura e i nostri rapporti con la comunità sono basati su un profondo rispetto reciproco. Nessuno ci ha mai chiesto niente e Galleria Toledo è percepita come un elemento positivo del territorio.

Noi auspichiamo che il nuovo sindaco collabori con noi per contribuire alla riqualificazione di un territorio abbandonato. È una zona dove ci sono diversi teatri e per questo auspichiamo un’attenzione in più.

Arrivammo qui per scelta. Avevamo bisogno di un luogo stabile, necessario per chi fa teatro di ricerca, e ristrutturammo un luogo abbandonato. Se fossimo in via dei Mille, sarebbe forse più semplice, ma da noi viene comunque un pubblico che vuole vedere questo tipo di teatro. Ovunque sia.

 

Lavorate molto con i giovani…
Lavoriamo a stretto contatto anche con le università di Napoli.
Noi abbiamo tenuto a battesimo Filippo Scotti, vincitore del Premio Marcello Mastroianni a Venezia78.

Facciamo molto lavoro di ricerca e sperimentazione. Certo, sappiamo che realizzare un film come “Il re muore”, tratto dal Riccardo II di Shakespeare, presentato lo scorso anno al 66° Taormina Film Fest, non vuol dire avere successo al botteghino, ma questo è il nostro modo di lavorare.

 

A diciannove anni aveva già tre figlie. Era giovanissima, e appena divorziata, quando è iniziata l’esperienza di Galleria Toledo. Qui sono passati grandi del teatro italiano e internazionale: da Toni Servillo a Mario Martone, da Alejandro Jodorowski a Eugenio Barba a Peter Brook e tantissimi altri. Si aspettava, in quanto donna, di riuscire a farcela?
Non mi stancherò mai di ripetere che io non ho mai avuto problemi dove mi trovo. Ho sempre stabilito un rapporto, mai confidenziale, ma di grande attenzione e interesse nei confronti delle persone dei Quartieri. C’è un rapporto di correttezza reciproco. Ho avuto problemi come donna in generale perché lo spazio che viene lasciato a noi donne è sempre molto marginale. È stata una strada faticosa e non è ancora finita. Mi aspetto un riconoscimento come teatro stabile di innovazione, perché noi facciamo un lavoro di ricerca, formazione e ospitalità. Creare attori è un lavoro lungo e complesso: non basta fare quattro mosse su un palcoscenico.


Nel sito del suo teatro ho letto una frase di Edoardo De Filippo “Se volete vivere, fuitevenne a’ Napule”. È contenta di non averlo ascoltato?
Sì. Non ho mai condiviso quella frase, anche se aveva tutte le ragioni. Se fossi andata altrove, avrei fatto molto di più, avrei avuto altre possibilità, però Napoli è la mia città. Qui ho radici forti, le mie figlie e due nipoti. Sento di far parte di questa città e ho la stessa rabbia di Roth, perché so che è una città che potrebbe fare e dare molto di più. Napoli è una città ricca di storia, ma è stata a lungo abbandonata. Grazie a Bassolino abbiamo un’ottima legge per il teatro a livello regionale. Ma a Napoli serve un progetto a livello cittadino e persone con le competenze per realizzarlo. Speriamo nella prossima amministrazione.

Native

Articoli correlati