La Nuova Colonia di Pirandello, Simone Luglio: “I miei naufraghi come i lavoratori abbandonati dalla società”.

A Catania va in scena fino al 20 luglio l’opera pirandelliana per la regia di Simone Luglio

La Nuova Colonia di Pirandello, Simone Luglio: “I miei naufraghi come i lavoratori abbandonati dalla società”.
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

16 Giugno 2021 - 10.21


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In tutto il corpus di opere pirandelliane, La Nuova Colonia è uno dei più ‘estranei’ allo stile del poeta siciliano: parte dell’era mitica, l’ultima della vita di Pirandello, forse la più amara, La Nuova Colonia fonda il suo meccanismo narrativo sulla delusione. Delusione nei confronti di una società irrecuperabile, da cui un gruppo di coloni sceglie di fuggire per vivere su un’isola, che sanno però un giorno scomparirà nell’oceano.

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La scelta di quest’opera per Simone Luglio, che porta in scena La Nuova Colonia, prodotto dal Teatro Stabile di Catania, fino al 20 giugno, nasce – inevitabilmente – dall’osservazione del mondo moderno e da come la pandemia abbia enfatizzato il cinismo, la cattiveria e l’indifferenza  della società nei confronti di alcune categorie, come ad esempio i lavoratori dello spettacolo, primi a dover chiudere e ultimissimi a poter riaprire, sempre perché viviamo in un paese cui piace riempirsi la bocca con la cultura ma dove chi la cultura la crea è considerato l’ultima ruota del carro.

Questa versione della Nuova colonia pirandelliana risente fortemente del tragico periodo che ha attraversato il mondo. In che modo?

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La pandemia è dentro di noi, specie dopo questo anno e mezzo di isolamento. Abbiamo tutti sperimentato cosa vuol dire isolarsi, ma per alcuni è stato ancora peggiore. Penso ai lavoratori della categoria cui appartengo, abbandonati da uno stato totalmente indifferente. Ho immaginato che i coloni pirandelliani dovessero sentirsi esattamente così. Gli attori con cui ho lavorato, una meravigliosa compagnia di under 35, avevano veramente sperimentato questa rabbia, questo senso di ingiustizia derivato dall’abbandono.

Come scrive lei stesso, Pirandello è sempre difficile da trattare. Può parlarmi del lavoro che è stato fatto, anche in questi mesi di chiusura, con il gruppo di giovani attori protagonisti?

Gli attori sono tutti molto giovani, ma non certo di esperienza. Hanno tutti lavorato tantissimo ed è stato importante che fossero dei grandi professionisti, perché preparare uno spettacolo durante una pandemia non è certo facile. Prima cosa, non ci si può toccare. Capisce che per il nostro mestiere il contatto fisico è qualcosa cui difficilmente si può rinunciare, ma siamo stati costretti. Ne è nato uno studio importante su come cercare di sopperire alla mancanza di contatto attraverso il linguaggio, abbiamo imparato a giocare sulla prossemica e sul dialogo.

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La scelta dei coloni è folle e coraggiosa insieme e lei vuole vederla come un esempio positivo. Qual è, secondo lei, il senso profondo di questa scelta, opposta come al gattopardiano ‘cambiare tutto per non cambiare nulla?’

I coloni scelgono attivamente di fare qualcosa. Non si limitano a promettere a parole, che era poi il senso ‘politico’ del motto del Gattopardo. I coloni agiscono, pur consapevoli che si tratta di una speranza fugace, fragile. Ed è per questo che ho deciso di non seguire il finale originale dell’opera. Pirandello, che si trovava nell’ultimo, amaro periodo della sua vita, con un’azione da onnipotente autore-Dio fa inghiottire l’isola dal mare, uccidendo tutti i protagonisti tranne La Spera e il figlio, con un messaggio di speranza che ho voluto conservare ma spogliato da ogni giudizio morale. L’isola di questa versione non sprofonda e tutto si riduce a due scelte contrapposte, quella tra chi decide di rientrare nella società degli uomini e quella de La Spera, che sceglie di rimanere sull’isola. Nessun cataclisma, ammetto di non aver voluto essere così spietato nei confronti dei protagonisti. Un finale, penso, più vicino a un Pirandello della prima ora, dove non c’è mai una chiusura definitiva ma si dà sempre la possibilità allo spettatore di decidere come prosegue la storia. In questo caso, di scegliere tra la società degli uomini e l’utopia della Nuova Colonia.

 

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