Ottavia Piccolo: «Assurdo supermercati aperti e teatri chiusi, sono sicuri»

Le sale chiedono di riaprire, il movimento si allarga. Ne parla l’attrice: «Tantissimi del settore non possono fermarsi così tanto dal lavoro. E andrebbe rivisto anche il Fondo per lo spettacolo» 

Ottavia Piccolo: «Assurdo supermercati aperti e teatri chiusi, sono sicuri»
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Stefano Miliani Modifica articolo

23 Febbraio 2021 - 15.48


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I teatri si mobilitano contro la chiusura, i luoghi della cultura anche, assessori alla cultura di più città chiedono di aprire mostre e musei anche nel week end. Ieri sera l’associazione Unita ha invitato tutti a lasciare testimonianze davanti ai teatri illuminati per qualche ora (clicca qui per la notizia). Con i palcoscenici a luci spente da un anno per molti nel mondo dello spettacolo la situazione è drammatica. «Assurda», la definisce in questa intervista Ottavia Piccolo, con le sale che si erano attrezzate per rispettare tutti i codici di sicurezza anti-contagio. E ricorda: molti non campano, con i ristori. Frattanto lei spera di portare uno spettacolo sul nazista Eichmann in scena già pronto nella prossima stagione. 

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Come vede la situazione dei teatri oggi, chiusi dopo anno?
La ritengo abbastanza assurda. Penso che possiamo permetterci di andare alle terme, al supermercato, sui mezzi pubblici, sui treni, non vedo perché non possiamo andare al teatro e al cinema. Mi sembra il minimo. Non capisco perché non è possibile andare in luoghi controllati dove si lascia il numero di telefono e la mail, misurano la febbre: più di quello che dobbiamo fare? Quando c’è stata la piccola finestra questa estate che ha fatto funzionare un po’ di teatri non si sono verificati assembramenti né un’esplosione dei contagi. 
Alcuni dati riferiti da Assomusica hanno stimato un solo contagio per 600mila spettatori di concerti. 
Sono le cifre venute fuori. Questa estate ho fatto qualche spettacolo, tanto perché era giusto far capire che c’eravamo ancora: il pubblico era tranquillo, con la mascherina, tutti controllati, senza preoccupazione. Non si capisce e spero abbiano capito che si può rifare qualcosa ma non mi sembrano molto attenti, i nostri governanti. 
Un capitolo importante è anche il mondo dei lavoratori, chi non è in prima fila: le maestranze, le maschere …
Le maestranze, i giovani attori e attrici. Tutti quanti. Io faccio parte di una piccola élite e campo lo stesso ma questo dramma riguarda tantissime persone, non solo giovani, anche di una certa età: il nostro mestiere è intermittente, non abbiamo contratti a lunga scadenza, quindi molta gente non ha una situazione per permettersi pause, figuriamoci di un anno.
Cosa si potrebbe fare?
Le poche cose fatte, insufficienti, potevano essere pensate meglio. Molte persone che ho sentito con i 600 euro del primo ristoro hanno potuto comprare le sigarette, non ci campi davvero. Non so tecnicamente cosa di può fare ma si può fare. In altri paesi, ho letto, sono stati più attenti allo spettacolo e alla cultura. 
Forse per lo spettacolo bisogna pensare ad altri criteri, alle piccole istituzioni. 
Infatti. I teatri stabili e gli enti lirici sono cose a parte, nel bene e nel male sono riusciti a tirar su i soldi del Fondo unico per lo spettacolo, il Fus, anche se sono sttai meno soldi sono riusciti a far qualcosa. Mancano gli aiuti alle piccole istituzioni, ai piccoli teatri privati, ai cinema, le piccole compagnie: andrebbe fatto un discorso che era in confusione anche prima del Covid. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le piccole realtà erano messe già male. Magari avessi risposte precise ma sicuramente va ripensato il Fus pensando soprattutto alle piccole realtà che sono le più vivaci. Poi per carità è giusto sostenere le grandi istituzioni ma mi pare caschino abbastanza in piedi o possono riprendersi, mentre se chiude un piccolo teatro o una piccola compagnia difficilmente ne verrà fuori. Speriamo si senta questa necessità del teatro, del cinema, della musica, si capisca che la gente ne ha bisogno. Ieri sera in occasione dell’iniziativa “Facciamo luce” (clicca qui per la notizia) ero al Teatro Goldoni di Venezia e avevano messo fuori un libro dove lasciare messaggi. Dei ragazzi avevano scritto dei pensieri bellissimi: “riaprite il teatro ne abbiamo bisogno, non vogliamo morire da soli, vogliamo la voce della cultura”. Allora qualcosa ci dice che possiamo sperare. Vado per la strada e mi chiedono: “E allora, teatro niente? Che si fa?”. 
In programma?
Abbiamo uno spettacolo su Eichmann: è pronto (clicca qui per la notizia). Siamo andati in scena senza pubblico, davanti a qualche amico e collega, una trentina di persone, poi lo spettacolo non c’è stato. Si prova sapendo che non ci sarà il giusto arrivo con il pubblico era proprio strano, era innaturale. Paolo Pierobon e io moriamo dalla voglia di riprenderlo. Speriamo nella prossima stagione.

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