Leo Gullotta: "Il Covid? Manca una politica verso il teatro, meno male arriva il vaccino" | Giornale dello Spettacolo
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Leo Gullotta: "Il Covid? Manca una politica verso il teatro, meno male arriva il vaccino"

Il grande attore festeggia 75 anni : "Si deve studiare per fare questo mestiere". E sull'assalto di Washington: "Sì, il pericolo potrebbe riguardare anche l'Italia"

Leo Gullotta: "Il Covid? Manca una politica verso il teatro, meno male arriva il vaccino"
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9 Gennaio 2021 - 17.34


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di Linda Salvetti 

Leo Gullotta compie 75 anni (clicca qui per la notizia). Ecco cosa dice sul suo mestiere, sul teatro e lo spettacolo al tempo del Covid, come ripartire e sull’assalto degli estremisti di destra a Washington e della reazione della destra.

Come sta vivendo questo momento così incerto che stiamo attraversando? 

L’età e il diabete mi costringono ad essere ancora più responsabile. Sono a casa da febbraio. Il lavoro l’ho sospeso ad Asti durante una turné con “Bartleby lo scrivano” ispirato al romanzo di Melville, ed è stato un momento terribile. Come trovarsi nella nebbia, non vedi, non capisci, ti senti completamente isolato. E questo mi ha fatto nascere la paura. La paura non deve essere passiva, ma motivo di riflessione ed energia diversificata; così domani festeggio con grande piacere il miei 75 anni.

Il Covid ha cambiato quasi tutti i paradigmi e le modalità di fruizione dell’arte e dello spettacolo. Riuscirà lo spettacolo ad adeguarsi a questo cambiamento?

Manca una politica verso il mondo dello spettacolo e del soprattutto del teatro. È un momento dell’orrore per le compagnie private. Bisogna pensare in un modo diverso. Meno male è arrivata questa luce del vaccino. Ma bisogna aspettare prima che tutto ritorni “normale”, ma non sarà più come prima. Certo, è che il teatro si deve vedere a teatro. Il cinema al cinema. Lo streaming c’entra pochissimo, anche se purtroppo tutti i film stanno andando verso questa direzione. Tuttavia, vedere un film nella sala è completamente diverso. Ti siedi su una poltrona e quando si spengono le luci viene fuori questa meravigliosa coperta dalla schermo che ti copre tutto ed entri in un mondo di sogno. Quest’estate sono stato direttore per la prima volta del Festival del Cinema di Taormina, con lo spiraglio di luce di aprile e maggio, dopo il blocco, ho combattuto affinché lo spettacolo ci fosse. È un importante momento di comunità; ed al pubblico mancava molto, perciò era contento ed è arrivato.

Nella sua carriera ha interpretato ruoli comici fino al grande teatro, dal film “Testa o Croce” al programma tv “Il Bagaglino”, fino a “Nuovo Cinema Paradiso”. Come ha tenuto insieme questi due registri? Possiede una chiave naturale oppure è stato necessario un maggiore studio? 

Si deve studiare per fare questo mestiere. Un medico per poter adoperare il bisturi, sicuramente ha studiato. Bisogna conoscere beni i linguaggi e saperli adoperare. Sapere che la tua voce e le tue battute devono arrivare fino all’ultima poltrona del teatro. Cosa molto diversa nel cinema, dove il tuo viso, ripreso in uno schermo, diventa un faccione;  e tutta la recitazione deve essere interiorizzata e asciugata. L’uso del microfono, della voce, il corpo, il movimento. Conoscere il rapporto con la macchina da presa, con il pubblico, il palcoscenico. Oggi, tutto è diventato superficialità. Hanno trasformato il mio mestiere in un passatempo. Qualcuno ha anche detto “lo spettacolo non è proprio essenziale”. Sono ovviamente arrivati anche dei talenti straordinari come Germano, Favino, Giallini e altri giovani. Così come molti registi teatrali o cinematografici d’eccezione. Tuttavia, è come se il teatro venisse trascurato, insieme all’intero settore di lavoro dietro le quinte, che spesso non si conosce. Perché mai ci siamo interrogati sulla “macchina dello spettacolo”. Essere interprete ha il suo valore. E la mania di definire un attore comico o drammatico è tutta italiana.

Dopo che ha lavorato con i grandi maestri come Salvo Randone, Turi Ferro e Ave Ninchi, con quale grande del teatro italiano vorrebbe risalire sul palcoscenico di nuovo o per la prima volta, se potesse?

Molti non ci sono più. Molti rimangono nel mio cuore. Mi sento fortunato per le cose che mi sono trovato. Aver incontrato autori come Sciascia; Mi ricordo la turné “Il Giorno della Civetta” con Ferro. Interpretavo un piccolo ruolo. Ma allora, avere in un piccolo ruolo era una preziosità. Ci si sentiva importanti. Oggi c’è questa nuova moda di fare tutto subito. Ma ci sono lavori come il mio, che hanno bisogno di tempo, di attenzione, di riflessione e di studio. E in un paese dove si è inventata la bellezza, il teatro, la pittura, la scultura, la musica, se lo sono dimenticati. Negli ultimi 30 anni, lo spettacolo, per bassezza politica nella costruzione di questo paese, lo hanno fatto diventare “facendo finta di essersi dimenticati la memoria”, un passatempo. Ma ci sono 80.000 persone dietro le quinte e sul palcoscenico, ferme, da quasi un anno.

Data la sua sensibilità democratica da grande osservatore, cosa ne pensa di Capitol Hill? Potrebbe riguardare anche l’Italia?

Il pericolo c’è. Nei messaggi di vicinanza dati a Biden al momento di questa mazzata alla democrazia, sono state quasi silenziose le risposte italiane da parte della destra. Lo stesso Johnson si dice, pendeva dalle labbra di Trump. Quindi una figura molto pericolosa. C’è una specie di risveglio di bisogno di qualcuno al comando. E questi non sono principi democratici. Quindi bisogna stare molti attenti, soprattutto come cittadini, lasciando da parte l’istinto, e cercando, invece di porsi delle domande. C’è questa abitudine un po’ anarchica, che è negativa nella crescita del nostro futuro, in particolare. I nazionalismi, i sovranisti, sono pericolosi, non c’è nulla nei discorsi di costruzione sociale. Sono fasulli. Dovremmo risvegliare quel senso di indignazione in noi cittadini. Dovremmo ragionare in un altro modo. Avere memoria e curiosità per costruire in una maniera diversa la realtà in cui stiamo vivendo e in questo la politica, insieme alla cultura e allo spettacolo fanno tanto.

Quale consiglio-pratico vorrebbe lasciare alle nuove generazioni, in un mondo dove sono comparsi nuovi confini e dove lo smarrimento e la stessa frequentazione della solitudine aumentano? 

Noto che negli ultimi 30 anni è arrivato galoppando il villaggio globale, la finanza internazionale e si è perso il senso dell’umano. L’umanità si è lentamente spenta. È venuto fuori un cinismo pesante, allontanando sempre l’uomo dal vero senso della vita. Dobbiamo rinnovare il nostro pensiero e per farlo bisogna guardare, osservare e partecipare. Essere pensanti, non istintivi. La parola chiave è “stare insieme”. Perché da soli non si va da nessuna parte.

 

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