I racconti di Joyce tornano in scena: alla Pergola "The Dubliners" di Giancarlo Sepe | Giornale dello Spettacolo
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I racconti di Joyce tornano in scena: alla Pergola "The Dubliners" di Giancarlo Sepe

In una sala ridisegnata per gli effetti del Covid vanno in scena l’ultimo dei racconti del capolavoro dello scrittore irlandese, "The Dead" (I Morti), e il dodicesimo, "Ivy Day" (Il giorno dell’edera)

I racconti di Joyce tornano in scena: alla Pergola "The Dubliners" di Giancarlo Sepe
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23 Ottobre 2020 - 15.48


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Dal 27 ottobre al 15 novembre riapre il Teatro della Pergola di Firenze con la prima nazionale di “The Dubliners”, messo in scena dalla Compagnia Teatro La Comunità e i Nuovi riuniti da un maestro della contaminazione dei generi di Giancarlo Sepe.
In una Pergola ridisegnata per l’occasione a causa delle restrizioni del Covid, vanno in scena l’ultimo dei racconti del capolavoro d James Joyce, The Dead (I Morti), e il dodicesimo, Ivy Day (Il giorno dell’edera).

Spariscono le quinte e lo spettatore è immerso nella atmosfera grigia e fumosa di una Dublino in cui personaggi stanchi e sfiniti si trascinano nella vana speranza di trovare uno slancio, un sussulto di vita. È una collezione di epifanie, con una città che Joyce trasfigura in rivelazione di carattere religioso, per rendere manifesto ai suoi concittadini che essi si trovano al centro di una paralisi spirituale, corrotti e oppressi da regole inutili quanto crudeli.

Lo spettacolo, nelle precedenti edizioni del 2014 e 2015, ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico, in virtù dell’originale e potente rilettura di Joyce da parte di Sepe, la cui messinscena, ai confini tra il linguaggio teatrale e quello filmico, si compone attraverso immagini di intensa suggestione visiva.

“The Dubliners è una sorta di itinerario virtuoso” afferma Sepe, “che farà incontrare tutti i personaggi di Joyce come in una lunga panoramica, dove conosceremo le famose Epifanie dell’autore, che nella mestizia delle piccole storie di piccoli uomini, caverà dall’apatia e dalla immobilità del quotidiano quella luce poetica che alimenta un popolo privo di qualunque stimolo e qualunque proiezione. Joyce fugge da quella paralisi emotiva dei suoi concittadini, che nella serata dell’Epifania si celebra intorno ad un’enorme tavola per festeggiarsi, ipocritamente, tra canti e balli. Qui i morti, dice l’autore, sono più vivi dei vivi, loro hanno lottato fino all’ultimo…”

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