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Luigi Lo Cascio e Marco Baliani trasportano il pubblico nel Verdi popolare

Al festival parmense Lo Cascio ha letto lettere del compositore inframezzate da musiche, Baliani ha trasposto il “Rigoletto” in un circo

Luigi Lo Cascio e Marco Baliani trasportano il pubblico nel Verdi popolare
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12 Ottobre 2020 - 15.49


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di Marco Buttafuoco

Il Festival Verdi di Parma è giunto al traguardo finale di questa travagliata stagione. Averlo messo in piedi è già stato, come per tante altre rassegne ed eventi in tutta Italia, un successo; una testimonianza importante della volontà della cultura di resistere all’ondata distruttrice del Covid. Certo, i teatri hanno regole di sicurezza minuziose e cogenti, e i numeri dicono con chiarezza che sono fra i luoghi dove meno si diffonde il contagio. Certo, manca tantissimo il rito delle chiacchierate fitte prima e dopo lo spettacolo. Certo l’atmosfera creata dalle mascherine e dalle poltrone vuote è straniante, ma l’incanto è quello di sempre, nonostante tutte le difficoltà.

La settimana conclusiva della rassegna verdiana ha visto, in due serate diverse, salire sul palco del Teatro Regio due attori di nome, Luigi Lo Cascio e Marco Baliani, accompagnati rispettivamente da un quartetto d’archi e dal quintetto dei Filarmonici di Busseto.
Lo Cascio ha letto alcune lettere che Verdi scrisse a vari interlocutori (cantanti, impresari, editori, librettisti soprattutto) durante e dopo la composizione delle due edizioni del Macbeth (1847 e 1865). Fra un suo intervento e l’altro il quartetto Leonardo ha proposto brani dell’opera. La serata, davvero molto interessante, ha diffuso una luce insolita sulla fatica della composizione e della messa in scena, sul rapporto fra il compositore e i soggetti che avrebbero lavorato alla rappresentazione, sui dubbi artistici (ed economici) che ogni scelta comportava.

Marco Baliani ha invece proposto una rilettura di Rigoletto trasportandone la fosca vicenda in un circo novecentesco di secondo ordine. Il protagonista è un ex trapezista che gli anni e un grave incidente di scena, nel quale è morta la moglie, hanno ridotto a esibirsi come clown. Porta anche una gobba finta, mutuata dal personaggio dell’opera, perché sa che il suo pubblico ha dentro di sé una memoria vera, per quanto parzialissima, del melodramma. Il suo vero nome non si sa, o non esiste. È sciancato e ogni sera il suo numero consiste nel fingere di cadere rovinosamente, facendo esplodere le risate di tutti. È un mondo chiuso quello del circo, un mondo da cui chi ne fa parte non vuole mai uscire; dove giovani acrobati si trasformano, col tempo, in inservienti, in clown, in patetici indovini. Un mondo freak, pervaso da una sensualità quasi aspra, rapinosa, senza dolcezze. Il protagonista ha una figlia, Giada, che si avvia a diventare una brava trapezista, anche contro la volontà del padre, che vorrebbe tenerla lontana da quel mondo un po’ sordido, senza tuttavia tentare nulla per allontanarsi lui stesso. La ragazza è innamorata del Duca, un giovane trapezista, un vacuo seduttore seriale che nei timori di Rigoletto potrebbe strapparla al padre. Il clown parla di onore, dice di voler difendere la ragazza dalla miseria dell’ambiente del circo, ma forse vuole solo difendere un suo status di patriarca. Il finale ricalca quello del libretto che Francesco Maria Piave scrisse per Verdi, sulla base di un lavoro teatrale di Victor Hugo.

Rigoletto, la notte della maledizione avrà sicuramente un grande successo e girerà per vari teatri. Sono settantacinque minuti di pura emozione, in cui Baliani elabora magistralmente il personaggio e la sordida allegria del suo mondo: un drammone popolare animato da una scrittura raffinatissima. La musica proposta dai Filarmonici di Busseto è l’altra parte, inscindibile, di questa narrazione. Il quintetto (chitarra, fisarmonica, contrabbasso, clarinetto e percussioni) non si è limitato certo a intercalare brani dell’opera alla voce recitante, ma ha proposto anche brani circensi di Nino Rota, e musiche scritte dal fisarmonicista Cesare Chiacchieretta. La formazione è quella tipica di un ensemble di musica da ballo popolare e nella ragione fondativa del gruppo (che ha suonato nei maggiori teatri del pianeta) c’è l’intento di voler riscoprire, attraverso ricerche d’archivio, il Verdi del popolo, la cui musica si ballava anche nelle piazze, nelle balere, nelle feste di paese, il Verdi delle bande musicali: uno dei pochi legami autentici, nel sentire italiano, fra cultura alta e bassa, fra élite e popolo. Nei momenti in cui era necessaria una maggiore tensione drammatica la fisarmonica ( un’orchestra portatile) e le percussioni, rinforzate dai timpani, hanno dato i colori musicali giusti. È un’orchestrina da circo quella che accompagna il cupo dipanarsi delle ossessioni del clown, un’orchestrina che continua a suonare, come quella del Titanic, quando la nave stava già affondando.
Il pubblico ha tributato ai protagonisti un applauso lunghissimo che è parso come un rito per esorcizzare, attraverso tanta bellezza, la paura di questi giorni d’autunno.

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