Todi Festival, con 'Era un fantasma' Lorenzo Lavia porta in scena il dramma di una scelta

Questo testo è un mosaico di problemi esistenziali che affollano la vita quotidiana di milioni di italiani: il rapporto tra normalità e anormalità

Todi Festival, con 'Era un fantasma' Lorenzo Lavia porta in scena il dramma di una scelta
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4 Settembre 2020 - 15.27


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di Manuela Ballo 

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Bisogna arrivare alla fine della storia per capire la vera portata del dramma che alimenta la messa in scena di “Era un fantasma”. Quella madre così evocata, così assente, così cercata vive la vita di chi è attaccato alle macchine e la cui sopravvivenza è legata solo alla decisione che i quattro personaggi devono prendere: staccarla o no dalla macchina. Continuare a tenerla in vita, facendo così’ vivere il suo fantasma, o darle il definitivo addio? Per quanto assente sulla scena, la madre, rappresenta il filo conduttore dell’intero dramma. E’ questa figura di donna, per quanto assente dalla scena, a essere la vera protagonista del dramma scritto da Arianna Mattioli nello spettacolo teatrale, diretto da Lorenzo Lavia, con il quale si è aperta la trentaquattresima edizione del festival di Todi. La stabilità della famiglia viene meno dopo il tragico evento, e tutti i protagonisti vivono sospesi e in perenne attesa tra vita e morte.
La già complicata vita familiare che vede, fin dall’inizio, in perenne lotta Tommaso e Romano, è poi stravolta con l’arrivo di Arturo, l’ultimo dei tre figli di Claudio, il padre padrone.
Arturo appare, nel suo entrare in scena, una figura enigmatica che poi col dispiegarsi del dramma si scoprirà esser l’artefice dell’incidente stradale che ha causato le condizioni gravi della madre. Per questo la sua follia è tale da costringerlo in clinica mentre gli altri continuano ad abitare la casa della famiglia. Gli altri due figli sono, in realtà, i pilastri che reggono la gestione della casa. Dai dialoghi emerge il profondo legame e il profondo contrasto caratteriale: l’uno, Romano, il visionario che dialoga con il fantasma della madre e che rappresenta l’artista incompiuto che ha in mente un libro che mai scriverà e l’altro, Tommaso, che ha, nel lungo periodo, accumulato un sapere enciclopedico frutto di letture stravaganti che pure si riconciliano nel suo esser giovane capace di giocare con i trenini e di sciorinare massime tratte da manuali di psicologia.
Il regista, Lorenzo Lavia, ha scelto una scena fissa ed essenziale: un grande tavolo che evoca la stagione in cui la famiglia era unita e al completo; un salotto che ricorda i tinelli di un tempo con poltrone dove i protagonisti dialogano; un trenino le cui rotaie occupano l’intero quadrato della scena e i cui vagoni colorati rimembrano i bei tempi della fanciullezza; un giradischi illuminato in fondo alla sala, usato dagli stessi protagonisti che scelgono la musica in base al loro stato d’animo, passando da quartetti schubertiani a musichette da jukebox degli anni Sessanta. Solo in rare occasioni, come in quelle del dialogo con il fantasma della madre, un fascio di luce illumina il centro della scena. In un lavoro che è dominato dalle parole, il regista ha scelto di contrapporvi l’essenzialità della scena, dove solo a tratti, memore degli insegnamenti delle grandi regie, i protagonisti accentuano la loro fisicità.

Il testo esplicita con i dialoghi il tentativo che tutti i protagonisti attuano per non affrontare – come dice la nota di regia – l’unico argomento che dovrebbero affrontare e che puntualmente rimandano. Il clima di sospensione è scandito da parole ripetute in maniera ossessiva finché non diventano una sorta di slang dell’opera: caldo, fame, bere, ora, vita, morte.
Anche i dialoghi ricalcano lo schema di quello che potremmo definire come un passaggio dal “teatro di parola” al “teatro delle parole”. Due esempi: “M’inquieta saperti inquieto” oppure “quando parli di morte mi fai venir voglia di morire”. Una sorta di dialogo che ironicamente si basa su massime che troviamo nel linguaggio abituale dei mass media.
Questo testo è un mosaico di problemi esistenziali che affollano la vita quotidiana di milioni di italiani: il rapporto tra normalità e anormalità, conformismo e anticonformismo, tra poteri all’interno delle famiglie e soprattutto la grande questione, quanto mai all’ordine del giorno, del rapporto tra vita e morte assistita, cioè dell’abuso dell’accanimento terapeutico.
Memore della sua formazione, la drammaturga alterna temi che derivano dalla classicità- come quello tra la vita e la morte- con argomenti del nostro attuale vivere sociale.
Un’ultima notazione su questa prima teatrale che ha aperto il festival. Detto del testo e della regia, una citazione particolare meritano i quattro protagonisti perché sono stati capaci, pur recitando un testo di non facile e immediata comprensione, di rendere bene la suspense e mostrare i peculiari tratti di ogni singolo personaggio. I grandi applausi finali testimoniano la buona riuscita dello spettacolo.

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