Si sta perdendo l’arte di raccontare barzellette? Sarebbe un gran dramma. Si mette a raccontarle in scena da oggi 5 fino al 17 novembre al Teatro Vittoria di Roma per Romaeuropa Festival Ascanio Celestini. Lo spettacolo, dal titolo Barzellette, è una prima nazionale, è prodotto da Fabbrica srl con la rassegna capitolina e scaturisce dal libro omonimo firmato di Celestini e pubblicato da Einaudi a marzo (Stile Libero Extra, pp. 304, 18,00 €). Dove l’attore-autore non ha esitato a toccare temi scottanti, per riderne con intelligenza, come naufraghi, politica, preti, suore, ebrei e musulmani, mogli e mariti, “negri”, “froci”, “puttane”.
Le barzellette, ricorda Celestini sono una forma di racconto orale. Quelle che riversa nello spettacolo sono storie riprese da un capostazione che le “cattura” dai viaggiatori della sua stazione ferroviaria, dove “un becchino attende un morto ‘di lusso’, un emigrante che ha fatto fortuna all’estero e che sta tornando al paese per farsi seppellire”. Nel canovaccio l’attore lascia spazio all’improvvisazione,
Nelle note stampa l’attore, nato a Roma nel 1972, afferma : “La storia è quella di un personaggio che racconta e raccoglie barzellette. Volevo condividere l’immaginario delle barzellette. Insomma: scopriamo le carte e giochiamo a qualsiasi gioco. Affrontiamo qualsiasi argomento. Achille Campanile, nel Trattato delle barzellette, raccomanda di fare attenzione al modo di raccontare, e dà consigli anche a chi ascolta: ‘se la conoscete già, ridete lo stesso!”. Allora la barzelletta è il raccontare, è il contesto, è la performance. Con un passo indietro: non è importante chi racconta ma la barzelletta stessa’ ”.
E ad Andrea Porcheddu, in un’intervista nel materiale stampa del festival, all’osservazione sul grande repertorio nella cultura ebraica l’attore risponde: “Sì, basti pensare al lavoro che fa Moni Ovadia nel mantenere viva quella memoria. Ci si chiede, ad esempio, chi può raccontare le barzellette su Hitler e sui campi di stermino? Gli ebrei. Ovvero chi conosce quella storia, chi c’era. Ma allora: per comunicare Auschwitz bisogna esserci stati? Invece sappiamo che le culture vivono di tante sollecitazioni, di tanti punti di vista diversi. Alla base c’è un altro concetto di cultura, una idea di cultura permeabile, aperta. Altrimenti non è. Non esiste una cultura chiusa. È il problema che ci pone Ernesto de Martino: la cultura è una risposta a qualcosa, alla crisi profonda dell’Uomo, alla fine di un mondo”.
Lo spettacolo, di e con Ascanio Celestini, ha musiche di Gianluca Casadei, è distribuito da Mismaonda.