Le 'Mutazioni' del Teatro della Toscana, Giorgetti: "il teatro ai giovani, come strumento per capire noi stessi" | Giornale dello Spettacolo
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Le 'Mutazioni' del Teatro della Toscana, Giorgetti: "il teatro ai giovani, come strumento per capire noi stessi"

La nuova stagione del Teatro della Toscana è rivolta ai giovani e alla collaborazione con tante realtà europee

Le 'Mutazioni' del Teatro della Toscana, Giorgetti: "il teatro ai giovani, come strumento per capire noi stessi"
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8 Agosto 2019 - 17.35


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di Giuseppe Cassarà

È il 2015 quando la Fondazione del Teatro della Pergola si dà un nome e un’organizzazione nuovi, Teatro della Toscana, e diventa Teatro Nazionale, con Marco Giorgetti confermato come Direttore generale. Carica che Giorgetti ricopre ancora, con il Teatro che è l’unico premiato con un incremento di contributo da parte del Mibac e con una costante crescita nella classifica di merito. Un risultato ottenuto grazie anche al lavoro di Giorgetti, che quest’anno, per la stagione 2019/2020, ha presentato il progetto ‘Mutazioni’, descritto come un percorso per riportare il teatro verso i giovani come spazio in cui confrontarsi, comunicare e comprendere meglio sé stessi e i tempi in cui viviamo.

‘Mutazioni’ nasce anche per portare il teatro a chi ‘non ne sa nulla, lo ha incontrato e rifiutato’. Come agirà per raggiungere l’obiettivo?

 Prima di tutto occorre dire, con gratitudine da parte mia, che il percorso avviato è reso possibile dalla speciale sensibilità dei Soci della nostra Fondazione  (Comune di Firenze e di Pontedera, Fondazione Cassa di Risparmio, Regione Toscana) sui temi forti dei giovani, dell’Europa e della ricerca autentica del ‘nuovo’, e dall’attenzione costante e qualificata del Mibac, che ha saputo leggere nella complessità del progetto le componenti dello sviluppo e dell’innovazione accompagnandone negli anni la realizzazione e verificandone i passaggi.

La vera chiave poi è la spinta internazionale: abbiamo lavorato molto per stabilire delle relazioni autentiche e concrete con altri teatri europei, con Parigi soprattutto con un vero e proprio asse Italia – Francia con il Théatre de La Ville, poi con Barcellona, Atene e Lisbona, con strutture equivalenti.

Ed è stato proprio nell’incontro con queste altre realtà che ci siamo accorti della necessità di uscire dagli schemi, per fondare il rapporto di giovani attraverso il modo in cui si comunica il luogo teatro. Non sto parlando esclusivamente dei social network, ma di altre vie attraverso le quali riportare il teatro a ciò che era all’inizio, ossia un luogo di incontro, un punto di riferimento, dove ci si incontrava anche senza fare teatro. La liquidità della nostra società moderna impone questo cambiamento: il teatro deve essere aperto al cambiamento, affinché sia il punto di arrivo di un’esigenza, quella di comprendere, di capire questo mondo moderno. È una sfida difficile ma non siamo soli: questa è la direzione in cui si muove il teatro moderno, rinnovando anche il rapporto con il pubblico che già esiste.

È in questo senso che lei ha definito questa partnership con altre realtà europee come un gesto ‘fortemente politico’?

Politico e sociale: ripeto, il teatro è uno strumento, uno “straordinario strumento di comprensione tra gli uomini” . È sempre stato questo, non è solo un discorso di assistere o recitare in uno spettacolo. Ed è questo che chiediamo ai giovani: non di comprare un biglietto, ma di considerare il teatro in una luce nuova, una piazza protetta, un luogo in cui ripartire dalla conoscenza del proprio corpo, della propria voce, delle relazioni con gli altri. Cerchiamo di coinvolgere chi non hai mai vissuto l’esperienza del teatro.

Per chi invece del teatro ha fatto il proprio mestiere?

Per riuscire in questo progetto abbiamo bisogno di attori ‘totali’: volendo creare un parallelismo, penso agli attori della commedia dell’arte, che erano tutto: scrittori, scenografi, costumisti, addetti al botteghino. Un attore deve sapere tutto su come funziona il teatro, deve viverlo in ogni sua forma. Per questo siamo passati dal modello produttivo della bottega a quello dei giovani/maestri.

“Il teatro deve essere quello che il teatro non è”. Lo diceva Pasolini e lei stesso ha scelto questa frase per descrivere ‘Mutazioni’: cosa deve essere, quindi, il teatro?

Il teatro è un luogo. Ci devi stare, lo devi vivere, con il corpo, con la voce, con i rapporti con gli altri. Non è il cinema, non è solamente tecnica, ma è la condivisione di uno spazio tra chi fa teatro e chi vi assiste. Lo stare insieme porta alla comprensione dell’altro, alla generazione di energie che sono possibili solo a teatro. Magari anche nel silenzio, nello ‘stare in silenzio insieme’. Questo è il suo grande potere, che ricolloca il teatro in una dimensione mitica che ha fin dall’inizio della storia dell’uomo. Quindi, con ‘Mutazioni’, stiamo guardando al futuro ma tornando alle origini del teatro, per recuperare il suo valore in quanto luogo dove stare, vivere e comprendere l’altro, insieme all’altro.

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