Alessandro Agostinelli
“La realtà è dappertutto ma non è tutto”. Comincia così la prima nazionale dello spettacolo “Leonardo da Vinci – L’opera nascosta”, scritto diretto e interpretato da Michele Santeramo, in scena fino al 6 dicembre al Teatro Era di Pontedera e poi in replica dal 14 al 17 dicembre al Teatro Studio di Scandicci (Firenze).
In scena l’autore-attore che legge il suo testo su una storia parallela, una specie di narrazione distopica su amore e morte, sentimenti e immortalità. Alle sue spalle una scena nuda, composta soltanto di un grande schermo verticale dove passano, a commento e a contrappunto del testo, i disegni originalissimi e colorati della disegnatrice Cristina Gardumi, che donano allo spettacolo una cifra di pianezza, sontuosità e delizia.
Il testo parla di una vita parallela, come una vita interiore inventata, ma perciò stesso vera, del genio, del grande inventore Leonardo da Vinci. Parla del rapporto tra lui e la Monna Lisa, e del suo rapporto con Gesù. Con questi due personaggi lui dialoga, intesse un rapporto di affetti e scabre accettazioni. E poi il tema dell’immortalità e la scelta di costruire un utopico villaggio dove le persone che accettano di non provare più sentimenti, di non far più l’amore e di sottomettersi ad altre regole potranno vivere – se questo è ancora vivere – per sempre.
Tuttavia il “persempre” non è cosa degli uomini e gli uomini, che pur abbiano accettato di vendere l’anima a un’idea di immortalità, alla lunga si stancano di frizzare le loro emozioni in cambio della vita eterna. Perché, come scrive e dice Santeramo: “La felicità è una promessa dentro un limite”.
In questo spettacolo anche la Gioconda invecchia, nascondendo i capelli bianchi dietro alla sua stessa tela sulla quale è stata dipinta. Lo fa per amore di Leonardo, ma poi l’artista le spiega che lei sì potrà essere immortale, perché è un’opera, un quadro che non può provare sentimenti, ma può far provare agli altri, agli uomini emozioni inaudite.
Santeramo porge il testo con un tono gentile e acuto, giocando con qualche intonazione sulla cantilena propria del veneto che parla italiano e con le brusche frenate del pugliese.
Un lavoro di grande emotività che restituisce in sala, al pubblico, una sensazione di benessere, di gioia di vivere, di scioglimento delle emozioni nella commozione e che sarebbe senza dubbio un bel libro, una favola per adulti ottimamente commentata dai disegni di Gardumi.
Quello che sembra un po’ mancare allo spettacolo è proprio il senso del teatro, il corpo del teatro, poiché alla fine gli spettatori sono presi dalla lettura e dai colori dei disegni, ma avrebbero potuto vedere questo lavoro anche su uno schermo diverso dalla quinta teatrale. Sembra proprio manchi soltanto la drammatizzazione, pur minima di ciò che si definisce spettacolo e non soltanto favola, racconto. Pur arrivando dritto al cuore dello spettatore anche in questa misura minimale.