Toni Servillo ha reso omaggio al nostro celebre scrittore novecentino, riconfermandone il legame con la Germania a 150 anni dalla sua nascita.
Ma anche la relazione personale con Berlino, dove, dopo diversi lavori teatrali, arrivano anche i suoi film, in un omaggio resogli dall’Italian film festival, che dall’11 novembre proietta 7 delle sue pellicole. Toni Servillo racconta tutto questo, e spiega, con ironia, di fare “immodestamente da ambasciatore della cultura italiana in Germania”.
Il 12 novembre ha letto infatti “La carriola” di Pirandello all’ambasciata di Italia, “schietto monologo interiore” e novella che “si presta bene” alla lettura ad alta voce. Ma parla anche del rapporto fra tedeschi e italiani, e svela quel che particolarmente ammira in questo Paese: “Ci sono due cose che invidio molto a questo popolo, e che noi italiani non abbiamo: l’amore per la natura, che è un amore anche intellettuale, un viaggio spirituale. E poi, la straordinaria capacità di fare autocritica. Cioè, penso sia il popolo, che è stato più capace di saper riflettere sulle proprie tragedie e di farne anche tesoro. Noi invece siamo un popolo che si assolve con molta facilità e dimentica”. A partire da stasera, per l’Italian Film Festival, i tedeschi vedranno film come “Lasciati andare”, “Viva la libertà”, “La grande bellezza”.
E tornando al lavoro che ha vinto l’Oscar, Servillo si presta a una riflessione sul fatto che proprio la “bellezza”, in cui sono immersi gli italiani, possa divenire una trappola: “io direi un invito all’inerzia, ad accontentarsi e fare in modo che il resto della propria esistenza sia soltanto una lunga scia di occasioni, perdute e mancate, come nel caso di Jep Gambardella. Non si riesce a vedere, nella bellezza che viene dal passato, i fantasmi che ci parlano una lingua che ci rende ancora vivi oggi, e ci proietta verso il futuro”. Una bellezza che i tedeschi ammirano e frequentano, ma da cui non sono ossessionati poi nella vita quotidiana, che in Germania è più libera, ad esempio, dalle esigenze dell’apparire: “Penso che gli italiani avrebbero bisogno di imparare dai tedeschi un po’ di disinvoltura, di naturalezza, di sottrarre un po’ di sofisticazione. Poi probabilmente i tedeschi amano esattamente il contrario, l’eleganza”, afferma, se gli si chiede cosa pensi, ad esempio, dell’ingenuità estetica di chi mette i sandali col calzino e difficilmente rinuncia alle comode scarpe da trekking.
“Compenetrarsi non fa male. La diversità delle culture consiste proprio nell’imparare qualcosa dagli altri”, aggiunge. La missione berlinese prevede, domani, nella sede diplomatica italiana, la lettura di Pirandello. Che per lui rappresenta “un’officina permanente di tecniche e strategie teatrali nella relazione fantasmatica che vi è fra il personaggio consegnato alla letteratura e il personaggio in carne ed ossa sul palcoscenico. È come se fosse un eterno teatro, che fa dialogare la vita del palcoscenico con la morte della letteratura, o la vita della letteratura con il fantasma del palcoscenico”. Il Nobel della letteratura italiana “ha fatto la sua prima tesi universitaria a Bonn – spiega poi – ha vissuto per oltre due mesi a Berlino. Qui ha trovato i documenti per fare la sua tesi sui dialetti di Agrigento, non in Italia”. “Le relazioni fra Berlino e Pirandello sono molto feconde, la prima volta che ha fatto teatro di rilievo internazionale è stato compreso prima dai tedeschi e poi dagli italiani, prima dai francesi e poi dagli italiani”, aggiunge. Ecco spiegato perché Pirandello arriva a Berlino a 150 anni dalla nascita. Letto da Servillo: “essendo io un uomo di teatro, vengo qui a fare molto immodestamente l’ambasciatore della cultura Italia”.