L’uomo dal fiore in bocca fu rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano. E’ un colloquio fra un uomo che si sa condannato a morire fra breve, e per questo medita sulla vita con urgenza appassionata e uno come tanti, che vive un’esistenza convenzionale, senza porsi il problema della morte. Pirandello trasse il testo teatrale da una novella scritta anni prima e intitolata La morte addosso. L’uomo dal fiore in bocca …e non solo è il nuovo spettacolo diretto e interpretato da Gabriele Lavia, con Michele Demaria e Barbara Alesse. Andrà in scena dall’8 al 19 febbraio 2017 al Teatro Franco Parenti di Milano. Una produzione Fondazione Teatro della Toscana e Teatro Stabile di Genova. Abbiamo chiacchierato con il Maestro, sia dello spettacolo che dello stato di salute del Teatro oggi.
La morte addosso potrebbe essere il sottotitolo di tutta l’Opera Letteraria di Pirandello, vero? Sì, fin dalla sua fanciullezza il piccolo Luigi fu come “risucchiato” dall’orrore e dal mistero della Morte. Ricordiamo in fatti l’episodio, famosissimo, del cadavere e dei due amanti, accaduto al giovanissimo Luigi, in quello strano “fondaco” buio, che segnò per sempre lo scrittore e la sua opera.
La morte per Pirandello è donna, perché? La donna da Pirandello è percepita nella sua carnalità e sessualità, sempre nell’episodio del fondaco buio infatti il piccolo Luigi sente gli ansimi della donna che associa subito al cadavere. Per questo nell’immaginario di Pirandello donna e morte restano due concetti molto vicini.
“L’uomo dal fiore in bocca …e non solo” perché questo [i]non solo[/i]? Ci spieghi. Torno al drammaturgo agrigentino che più di ogni altro ha segnato la cultura, e di conseguenza il teatro del nostro tempo, arricchendo il monologo originale con altre novelle che ho interpolato cucendole tutte all’interno de L’uomo dal fiore in bocca. Testi che affrontano anch’essi il tema della donna e della morte, questo perché il monologo originario era troppo breve per metterlo in scena unicamente, durerebbe solo 15 minuti, in realtà quel non solo che è la maggior parte dello spettacolo, dura un’ora e 20.
Perché questo spettacolo? Non c’è un motivo specifico, forse perché conosco molto bene il testo, mia nonna me lo fece conoscere quando ero solo un bambino. Di certo mi piace questo denominatore comune tra paure e il bisogno di esorcizzarle dietro una qualche forma di maschera, imposta dagli altri e infine accettata, per quieto sopravvivere.
Maestro per lei il teatro è moribondo? No, il teatro non morirà mai. Anche se vedo che chi ha il potere ci mette del suo per ammazzarlo, anche inconsciamente… Anche senza volere ci sono delle scelte che vanno in una direzione opposta alla via per salvare il teatro ma per ucciderlo. Il teatro dovrebbero farlo solo quelli che lo fanno che lo dovrebbero fare per tutto l’anno in modo continuativo e pagato adeguatamente per poter vivere in modo dignitoso. Vede io non mi preoccupo per me, ma per le nuove generazioni di attori. Sarebbe saggio quando si regolamenta un settore conoscerlo un minimo. Non ci vuole una grande scienza per comprendere che l’attore non è un impiegato.
C’è qualche autore esordiente che a lei piace? No. Io non ne conosco, però non voglio essere così triste. Perché quando arriverà se ne accorgeranno tutti, quando è arrivato Pirandello se ne sono accorti tutti, quando è arrivato Moliere se ne sono accorti tutti. Dei greci ce ne sono rimasti solo tre, si dice che gli altri testi siano andati perduti. Io credo invece che siano rimasti solo quelli che dovevano rimanere.
Per questa produzione sono stati riaperti gli storici laboratori del Teatro della Pergola di Firenze che hanno realizzato interamente l’imponente scenografia.
Le foto qui sotto danno l’idea della grandiosità della scenografia.