Entrare in contatto col teatro di Tindaro Granata significa toccare con mente e cuore prima ancora che vedere con occhi e coscienza; significa ricevere un flusso costante d’umanità, di sensibilità rispettosa e penetrante, di una capacità d’ascolto e comprensione per il pensiero, la presenza, la parola dell’altro, che sono (sulla scena e fuori) rarità a dir poco encomiabili. Come encomiabile è “Geppetto e Geppetto”, lavoro che l’autore, attore e regista siculo ha proposto con la sua compagnia Proxima Res al Teatro Astra di Torino (il 5 e 6 giugno), in prima nazionale per il Festival delle Colline Torinesi, che ne è co-produttore insieme alla stessa Proxima Res e allo Stabile di Genova.
Dopo una prima fase di studio/lettura vista alla XXII edizione del romano Garofano Verde, questo spettacolo scritto, diretto e co-intepretato da Tindaro Granata intorno al diritto alla genitorialità di una coppia gay (recentemente presentato in anteprima nazionale alla Primavera dei Teatri XVII di Castrovillari), ha maturato una forma estetica, linguistica ed espressiva che provoca recidiva commozione. Merito di un feeling attoriale che unisce i sette interpreti (Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, lo stesso Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea e Roberta Rosignoli) e che la regia dirige con una carezza ferma, dolcemente severa, attraverso l’incontro narrativo tra ironia sincera, scaturita da attimi (preziosi) di quotidianità, e un dramma privato, individuale, che cresce in una pur serena normalità familiare, nell’affetto di due padri che ci sono, ci sono sempre, anche quando la vita se ne porta via uno, anche quando la rabbia allontana da chi resta e trasforma l’intesa in un’intolleranza inquieta prima repressa, poi gridata, rinfacciata.
Attorno a un tavolo – perno di confronti personali, relazionali, educativi – si spogliano le tappe esistenziali dei personaggi (con nome stampato addosso) uniti per legami di sangue o d’amicizia a Tony e Luca (Li Volsi e Granata), innamorati e desiderosi di paternità. Perché quel figlio Matteo (Di Genio) l’hanno avuto superando le restrizioni legislative statali, i costi materiali, e un’opinione pubblica partorita da antichi moralismi ipocriti, che però (re)esiste nella contestualità parentale e sociale odierna (a cominciare dalla nonna/Rosignoli, dall’amica Franca/Bellotto, fino al rapporto coetaneo con Lucia/Rea e Walter/Guasconi) in cui quel bambino/ragazzo/uomo dovrà comunque vivere e affrontare.
Perché Matteo è stato amato, certo, ma anche voluto, vagliato, “comprato” mezzo utero in affitto: creato da due amorevoli papà-falegnami collodiani. Ed è questa una ruvida consapevolezza oggettiva e realista che l’intreccio drammaturgico lascia mirabilmente trasparire senza pregiudizi, forzature d’idea, patetismi o falsi buonismi, senza pretese di connivenza né di consensi, ma che pone come verità che diventano il germe di un duello padre-figlio, di un conflitto d’intimità senza filtri liberato nell’accusa – priva però di ripudio – di libertà precluse, di una predeterminata mancanza materna, di cautelative, benevole scelte dettate dall’amore genitoriale, ma pur sempre altrui. Una riflessione (molto attuale) che va di pari passo con l’emozione. Perché entrare in contatto col teatro di Tindaro Granata, dicevamo, significa anche questo. Perciò, chi non avesse visto “Geppetto e Geppetto”, può recuperare al Duse di Genova dall’8 al 18 giugno.
GEPPETTO E GEPPETTO
di Tindaro Granata
regia Tindaro Granata
con (in ordine alfabetico) Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea, Roberta Rosignoli
regista assistente Francesca Porrini
allestimento Margherita Baldoni
luci e suoni Cristiano Cramerotti
assistente ai movimenti di scena Micaela Sapienza
organizzazione Paola A. Binetti
coproduzione Teatro Stabile di Genova, Festival delle Colline Torinesi, Proxima Res