Maria Paiato: la poesia è una via per sfuggire all’orrore

La Paiato in scena con un nuovo monologo, l'Amuleto, questa sera al Teatro Villa dei Leoni di Mira, ore 21.

Maria Paiato: la poesia è una via per sfuggire all’orrore
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17 Gennaio 2015 - 18.09


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di Chiara D’Ambros

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Maria Paiato in scena con un nuovo monologo Amuleto, fresco di debutto, questa sera al Teatro Villa dei Leoni di Mira, ore 21. Tratto dal testo di Roberto Bolano. Regia di Riccardo Massai, prodotto da Aechètipo, in collaborazione con il Teatro Metastasio Stabile della Toscana.
Per la prima volta Maria Paiato abbatte la quarta parente e si rivolge al pubblico in forma diretta, cosa che non aveva mai fatto nei numerosi precedenti monologhi che le hanno meritatamente portato premi e riconoscimenti (ricordiamo la Maria Zanella, con la quale ha vinto il della Critica 2005, la Maschera d’Oro 2005 e il Premio Ubu 2005, Non ho imparato nulla in cui è stata regista oltre che protagonista, Un cuore semplice per il quale le è stato assegnato il Premio Olimpici del Teatro e nel 2009 ottiene il Premio Eleonora Duse e Anna cappelli che nel 2013 ha rapito intere platee).

Come spesso accade, ha raccontato l’attrice, il caso l’ha portata a un incontro-scontro-innamoramento di questo romanzo scritto da Roberto Bolano. Ha quindi accettato la sfida di portarlo a teatro, affrontando tutte le difficoltà presentate dalla differenza oggettiva tra la scrittura di un romanzo e la drammaturgia teatrale, soprattutto perché la prima “ha tutto il tempo che vuole” ha detto la Paiato, si può permettere una complessità che il teatro non si può permettere. Uno spettatore “non può tornare indietro e rileggere, n’è stare a teatro 10 ore, non oggi”. Da cui la selezione, la scelta di privilegiare la presenza di tre temi principali: la poesia, l’amore, il messaggio politico. Il lavoro è stato tutto in togliere, nella ricerca dell’essenziale, sia nel testo che poi nella messa in scena, in particolare nella scenografia, tanto che alla fine è rimasta solo la parola, un bicchiere e un fiore nel bicchiere, e la protagonista, l’essere umano.

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Protagonista è una donna, Auxilio Lacouture realmente esistita, il suo sguardo candido e un po’ naif ma intenso sul Messico del ’68, la sua parola pregna di poesia, forma espressiva che lei ama e attraverso la quale parla del suo tempo, del contesto atroce in cui vive. Non usa mai un linguaggio nudo e crudo, usa sempre una forma evocativa per parlare all’inizio del fermento e della rivoluzione culturale di quegli anni, poi l’arrivo della crudeltà e della dittatura. Chiusa in un manicomio ricorda e racconta il delirio dei 12 giorni che lei ha passato chiusa nel bagno della facoltà di Lettere e Filosofia di città del Messico unica persona sopravissuta dopo l’irruzione dell’esercito nel campus, il 18 settembre 1968 in compagnia di un libro di poesie di Pedro Garfias. Ha raccontato la Paiato che la protagonista ricorda di essersi trovata giorno e notte, notte e giorno immersa in queste piastrelle bianche senza cibo e si narra: “io ero presente a me stessa a malapena nello spazio e nel tempo. […] Il tempo si piegò e dispiegò quasi come in un sogno.” Auxilio vaga avanti e indietro nel tempo, nei ricordi fino a catapultarsi in un tempo futuro in cui vede il ritorno di grandi della poesia, Majakovskij, Joyce in una sorta di metempsicosi e ricorda: “Grazie alla poesia di Garcìa e grazie al mio vizio di leggere ero entrata in quel bagno e unica mi sono salvata dai reparti antisommossa che hanno portato via tutti gli altri…”. La Paiato spiega che a partire dalla realtà queste visioni della protagonista si trasfigurano, come spesso accade nella letteratura sudamericana, assumono toni magico-onirici. Auxilio “vede il destino dei poeti sud americani inghiottiti dall’abisso, mentre da una valle, ma la loro canzone – che sarebbe la poesia – rimane nell’aria e questo sarà il nostro amuleto, questo ci salverà”.

L’orrore della realtà rimane sullo sfondo, non dirompe mai in scena, ma è continuamente sforato dalle parole che – ha osservato la Paiato – portano il pubblico a una sorta di stato di sospensione, di precarietà. Viene evocata l’ansia e la paura di quei terribili contesti che hanno insanguinato l’America Latina negli anni ’70. Ha spiegato l’attrice: “L’orrore, così “solo” sforato chiama il pubblico a cercare di capire, si sente qualcosa di tremendo e questo può portare ognuno a fare i conti con il proprio tremendo. In questo testo si incontrano il registro delicato e quello feroce, da questo può derivare un certo turbamento che può portare a riflettere”.

Maria Paiato andando in scena oggi con questo spettacolo, che ha nel suo essere il battito del cuore dei tanti desaparecidos, riflette sul nostro oggi in cui la ferocia non manca di manifestarsi quotidianamente, in cui “tre bambine – ha detto – sono state fatte esplodere e io non riesco a riavermi dal vedere con quanta facilità viene sposato il male. Costa sta succedendo? Perché un giovane è così attratto dal male? Quale disegno politico e di potere c’è dietro che istiga la volontà di annientare l’altro? Io credo che lo scopo del raccontare, del cercare di tenere le persone con me mentre porto in scena una storia, dia la possibilità di affrontare un piccolo cammino in un certo momento storico, questo credo sia il compito del teatro e poi si spera che ognuno si porti a casa qualcosa. Con questo testo siamo partiti da un testo bello, con la voglia di omaggiare un autore, e subito abbiamo capito però che è roba che ci riguarda tanto. Spero che questo al pubblico arrivi, che arrivi la potenza della poesia. Come dice nella sua visione la protagonista Auxilio: la poesia tornerà con il suo non potere”. Battuta che la Paiato dice potrebbe esprimere quanto la poesia faccia leva sulla libertà, e sia una forma di espressione esemplare perché non prevedere la prevaricazione.

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