di Margherita Sanna
Ad ottobre c’è molto caldo qui in Sardegna. Un caldo umido, appiccicoso, che ti si incolla sulla pelle esasperandoti, e qualunque passo tu scelga di muovere al di fuori del tuo condizionatore domestico, devi volerlo, sino in fondo. Forse è per questo che ieri al Teatro Massimo di Cagliari, eravamo in pochi ma quei pochi erano partecipi. Sabato sera, alle 18.30, mentre la canicola estiva lambiva ogni abitante della nostra Karalis, è iniziato il Festival Oscena. Primo incontro: la drammaturgia siciliana con Spiro Scimone; Dario Tomasello; Giancarlo Biffi e Gigi Spedale, che hanno declinato questo grande tema drammaturgico secondo le loro esperienze personali di attori, registi, produttori. Esiste una drammaturgia italofona? E che cos’è la drammaturgia siciliana? Quali esperienze vivono i nostri vicini di insularità? E che cosa ci accomuna a parte il seggio condiviso delle Elezioni Europee? Queste sono stata alcune delle grandi domande che i protagonisti di questa “tavola rotonda teatrale” si sono posti nei loro interventi. Apertura di Oscena Festival 2014 – terza edizione – nel segno dello spirito stesso del festival: di incontrare realtà diverse, confrontarsi, lasciarsi stupire, lasciarsi rinnovare perché il teatro sia sempre un “teatro contro la noia” come ha affermato il fondatore di Cada Die teatro Giancarlo Biffi. L’esigenza che si respira per tutta la lunga durata della tavola rotonda è quella di creare un ponte non effimero, concreto, di parole e azioni, fra Sicilia e Sardegna. ed infatti sarà il produttore Gigi Spedale, sollecitato dalle incalzanti provocazioni di uno degli spettatori ad affermare che si sta già lavorando per portare l’esperienza sarda in Sicilia, come una sorta di Festival Oscena andata e ritorno. È questo il clima che alimenta tutto l’incontro: vivo, appassionato e non privo di provocazioni. Sollecitato da più interventi Spiro Scimone racconta la genesi del suo “Nunzio” (1994), un’opera nata dalla necessità di scriverla prima ancora che di farla leggere. Questa passione Scimone la trasmette tutta, nel coraggio di credere nel suo lavoro non vendendolo a terzi mai, tanto da arrivare a interpretarlo e poi anche dirigerne – insieme a Francesco Sframeli- il riadattamento cinematografico “Due Amici” (2002), vincitore del premio migliore opera prima nella 59ª Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Perché Nunzio nasce dall’esigenza di fare teatro, un teatro universale, attivo, che si apra all’altro. E racconta in un fluire rapido e colorito le sue esperienze di vita come drammaturgo, e poi ora anche come insegnante la cui tensione è quella di trasmettere un’idea di teatro necessario, autentico, che non si accontenti mai, come fanno i bambini. Smuove le acque quest’apertura di Festival, trascinando il pubblico per ore, sebbene poi si finirà molto tardi con lo spettacolo di Turi Marionetta della Compagnia Statale 114, ma di certo nessuno dorme qui.
Savi Manna colpisce il pubblico con il suo Turi Marionetta Primo spettacolo del Festival Oscena, che va in scena venerdì 10 ottobre, è un successo conclamato.Se lo scopo del Festival Oscena – prodotto dal Teatro Stabile di Sardegna e Cada die teatro- è quello di far sì che realtà siciliane a noi sconosciute vengano scoperte e apprezzate nella nostra isola, con il primo spettacolo di venerdì il risultato è garantito. Turi Marionetta della Compagnia Statale 114, scritto, diretto e interpretato da un magistrale Savi Manna è stato rappresentato dalle 23 di venerdì 10 Ottobre, prima giornata del Festival, e fine giornata. Sono necessarie queste indicazioni temporali perché non sono ininfluenti a teatro, dove il come e quando conta, perché lo spettacolo non è in differita, è lì e ora e l’attenzione dev’essere lì e ora. Esibirsi alle 23 dopo una calda giornata di Festival iniziata alle 18.30, dopo un’ora di letture poetiche di Luigi Lo Cascio, non è semplice. Il pubblico è stanco, assonnato anche, qualcuno guarda l’orologio, qualcun altro si distende sulle poltroncine, l’attenzione, nel suo senso proprio di ad tendere, tendere verso qualcosa, è scarsa come quella di uno studente alle 14. Per questi motivi pregnanti motivi ambientali ho ancora più apprezzato Turi Marionetta.
Il sipario si apre su un vecchio Savi Manna al centro del palco con la sua giacca troppo larga e la sua marionetta appesa sotto le sue braccia come un doppio io. Suona il violino, la sua Rapsodia di una marionetta creata da lui stesso, mentre Salvo Pappalardo alle luci reitera quel doppio io con un uso essenziale di luci ed ombre, che si fondono nella spartana scenografia creata dallo stesso Pappalardo. La struggente rapsodia dovrebbe essere il preludio del seminario di Turi Marionetta, insigne professore e nipote del vecchio, lui, che ha dedicato tutta la vita a studiare antropologicamente e storicamente le marionette, senza neppure avere tempo e sguardi per le donne, questa volta non verrà. Rimarrà solo sul palco il claudicante vecchio Savi Manna, che in una miscela linguistica di siciliano, italiano popolare e italiano televisivo, racconterà questo seminario. Così il vecchio interpreterà il giovane nipote professore, interrotto dalle esilaranti telefonate di quest’ultimo, la cui voce non si sentirà mai. Se Spiro Scimone nell’incontro sulla drammaturgia siciliana sottolineava l’importanza del corpo in scena che racconta credibilmente una storia, Savi Manna ha di certo questa competenza. Il poliedrico attore catanese sa vestire il suo corpo di diversi personaggi, con un’attenzione al gesto studiata e convincente. Riesce a coinvolgere ed esilarare con gli stessi movimenti interpretativi, tanto che se il pubblico in sala era visibilmente stanco e disattento prima che entrasse in scena, nel momento in cui il claudicante nonnino di Turi Marionetta ha iniziato a raccontarci di questo nipote che cercava e non trovava, il pubblico si è svegliato, anche grazie all’interazione diretta di Savi Manna con esso. “Oh ma ci siete?” ci domanda quando nessuno risponde al suo iniziale chiedere se fosse lì che si dovesse tenere il seminario di Turi Marionetta. Lo spettacolo scorre leggero e veloce, tra duelli di pupi siciliani, telefonate con relative chiusure brusche, e il racconto della storia di un prodotto dell’uomo – le marionette- senza tempo che affonda le sue radici nella cultura siciliana. E mentre Salvo Pappalardo incornicia i vari momenti scenici con le sue luci, straordinario durante il duello dei pupi, Savi Manna ci porta a capire la determinante importanza di conoscere la propria storia sociale, culturale. Uno spettacolo di qualità, a tratti lirico, intenso e struggente come la sua Rapsodia di una marionetta. E così alla fine di una lunga giornata teatrale, nel momento in cui tutto sembra già scritto, i saluti finali dell’attore, l’entrata in scena tre volte per salutare, ecco che qualcosa di inatteso accade. Savi Manna balza giù dal palco e percorre tendendo la mano, salutando e ringraziando tutto il teatro fra lo stupore generale, tanto che chi stava per andare via si ferma, colpito da quel gesto così intriso di dignità e rispetto, che lascia un segno indelebile in una giornata già intensa.