Teatro Valle, Tony Allotta: non siamo una casta

L'attore racconta a Roma Post gli anni di lotta in difesa del centro occupato e di un progetto apprezzato all'estero. Con una confessione: "Ho votato Sandro Medici".

Teatro Valle, Tony Allotta: non siamo una casta
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15 Luglio 2014 - 15.16


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di Claudio Bellumori

E’ entrato nel Teatro Valle e dopo un anno di occupazione aveva solo 20 euro ‘in saccoccia’. Eppure il cordone ombelicale ancora non si è staccato. L’attore Tony Allotta racconta la sua esperienza, analizzando le ultime vicende e le recenti parole del sindaco Ignazio Marino.
“Vogliamo cambiare le regole per le piccole produzioni indipendenti, i piccoli teatri che spesso hanno animato questa città rischiano di scomparire. Addirittura anche i grandi teatri spariscono e con le privatizzazioni diventano dei fast food di lusso, come lo Smeraldo a Milano”.

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“Restituire il teatro ai romani”. Quanto ‘ha fatto male’ la dichiarazione del sindaco Ignazio Marino?

Quest’affermazione del sindaco è stata ribattuta da molti che non sono in prima linea nella difesa dell’occupazione. A me non fa male, è un’affermazione miope e d’effetto, come sono spesso le dichiarazioni dei politici di professione. Ne abbiamo lette tante in questi anni. Conferma le aspettative deluse da Marino, che comunque al primo turno non avevo votato, ho votato Sandro Medici. Perché non ha detto agli italiani il Valle non è mica un teatrino di provincia? O al mondo? Questa seconda non l’ha detta perché all’estero, il nostro esperimento, che non è l’illegalità ma un nuovo modello di gestione e progettualità artistica e di relazione con la città, è stato compreso e supportato. I romani di cui parla Marino sono forse i teatranti romani? Grande rispetto per i colleghi ma stiamo parlando ancora di più di una minoranza rispetto alla possibilità di fruizioni che il Valle con la sua storia e la sua ubicazione può avere.

Marino, dopo mesi, sulla questione Valle ha preso una decisione netta. La vostra ‘provocazione’ – l’occupazione dell’assessorato alla Cultura – può aver influito?

Bisognerebbe chiederlo a lui, ma sono mesi che chiediamo un confronto con le Istituzioni, per arrivare a voltare pagina e cominciare forse una nuova era, poi credo che le pressioni su Marino sul Valle siano continue da molti fronti. La nostra è stata una provocazione, eravamo stati già in assessorato, ben vestiti, convocati lì dalla Barca (ex assessore alla Cultura, ndr) più di un mese fa, altri attori della “tenzone Valle” si erano complimentati per la preparazione e la serietà con la quale avevamo risposto. Non siamo migliori di questo, abbiamo intrapreso un cammino insieme fatto di scontri e confronto serrato, tra noi e l’esterno. Non siamo una casta ma una comunità eterogenea di cittadini che andrebbero considerati non come malfattori da punire senza essere prima ascoltati. Esiste un dossier su questo studio fatto dall’ex assessore, quando verrà considerato?

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Da tempo attendevate un incontro con il Comune e la risposta ricevuta è stata quella che dovrete farvi da parte. Perché gli eventi hanno preso questa piega?

Le pressioni su Marino sono tante, altrimenti se fosse stato un suo pensiero libero non avrebbe detto la cosa più facile e che in passato ha reso privati in maniera gratuita dei luoghi pubblici, ossia il famigerato bando. Dopo un anno dall’insediamento della nuova Amministrazione e dopo tre anni di occupazione che da subito si è messa a studiare una nuova forma di gestione, forse la controproposta poteva essere più creativa, più elaborata.

Sei stato uno dei primi a muoverti per il Teatro Valle. In questi anni molti professionisti dello spettacolo – e non – hanno aderito al movimento. Ciò nonostante, il Comune sembra voglia proseguire un altro percorso. Ci sono i presupposti, a tuo avviso, per ricucire lo strappo?

Il dialogo reale e il confronto tra tutte le parti sarebbe una ricchezza che farebbe qualcosa di nuovo e innovativo. Ma questo comporta lavoro, confronto serrato, tempo e messa da parte dei propri interessi, per fare diventare un’occasione la vicenda del Valle. Noi un lavoro lo abbiamo fatto e non è stato segreto, lo statuto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune, proposto dopo una settimana dall’inizio dell’occupazione. E’ stato scritto in assemblee pubbliche, messo on line con possibilità di emendarlo e poi ridiscusso pubblicamente. Esiste questo strumento, come anche il Dossier dell’ex assessorato alla Cultura e anche studi fatti da altri, quelli che considerano la tesi e l’antitesi, non le gratuite diffamazioni. Perché questi documenti non diventano oggetto di studio e di discussione? E’ un grande lavoro ma che varrebbe la pena di fare se non si è paladini del Valle e della giustizia solo a parole. Noi abbiamo passato molte estati a discutere, confrontarci ed elaborare qualcosa che rispondesse al tempo e al luogo in cui viviamo e siamo ancora disponibili a farlo, ma non perché miriamo alla gestione del Valle bensì perché da anni lottiamo per cambiare il sistema culturale attraverso le pratiche, il confronto senza temere mai gli scontri, che in teatro sono importanti per mandare avanti le storie.

Al momento a cosa stai lavorando? In questo periodo come riesci a tenere separata la tua attività dalla preoccupazione per il futuro del Valle?

Dopo un anno di occupazione avevo 20 euro sul mio conto in banca, sono un figlio di papà e mamma solo a livello affettivo, nel senso che i miei hanno una pensione minima che permette a loro due d’invecchiare dignitosamente. Da subito come molti di noi, ho dovuto alternare l’attività professionale fuori da Valle con l’attività gratuita all’interno del Teatro. La nostra è un occupazione di quelle: non siamo soli, in cui ognuno partecipa con il tempo e le modalità che il proprio privato e la propria storia consentono. Ci sono madri padri e professionisti che lavorano in molti settori della cultura e dell’arte e non, perché l’arte e la cultura non possono essere appannaggio solo di chi le fa, riguardano tutti. L’anno scorso mi sono auto prodotto un monologo, fuori dal Valle col sistema delle percentuali, e dell’autosfruttamento e ho pagato tutto, come fanno in molti. E’ andata bene perché ero solo in scena e ho anche guadagnato, ma la drammaturgia contemporanea si fermerà ai monologhi o vogliamo fare entrare in scena altri personaggi? Vogliamo cambiare le regole per le piccole produzioni indipendenti e i piccoli teatri che spesso hanno animato questa città e che rischiano di scomparire, anzi in questo momento anche i grandi teatri spariscono e grazie alle privatizzazioni diventano dei fast food di lusso, vedi lo Smeraldo a Milano. Chi è il nemico, la Fondazione Teatro Valle Bene Comune, di cui l’occupazione è creatrice, oppure va stanato altrove?

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Foto di Azzurra Primavera
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