Sono veri e propri fiumi di parole quelli che, in queste ultime settimane, giornalisti di ogni fronte stanno scrivendo sul caso Boccia – Sangiuliano. Un’attenzione quasi spasmodica, anche dopo le dimissioni dell’ex ministro, che gli stessi operatori della comunicazione, quantomeno i più ravveduti, hanno evidenziato. Inutile nonché quasi noioso, dunque, spendere altre parole sugli eventi in sé. C’è però un aspetto, di contesto più che di sostanza, non ancora evidenziato e da cui è possibile muovere una (si spera) interessante riflessione.
Il ciclone smosso da Maria Rosaria Boccia dimostra come a infiammare l’opinione pubblica e attirare maggiormente i riflettori siano, sempre più, figure emerse “dal basso” capaci di nuove forme comunicative a metà tra l’istituzionale e il popolare. Quella che abbiamo visto sui giornali di tuta Italia e che, con le sue affermazioni, ha riempito ininterrottamente le prime pagine non è una comunicatrice di professione e neppure una politica, anzi sui social si presenta come tutt’altro. Ciononostante, a leggere i suoi post e a sentirla parlare, è innegabile un savoir faire quasi da giornalista d’inchiesta, tipico di chi è abituato a solcare i salotti televisivi e stare nell’occhio del ciclone.
Che alle sue spalle ci sia o meno qualcuno, aspetto trascurabile per quanto si sta discorrendo, i suoi modi sono quelli di chi è perfettamente consapevole di come proporsi (o vendersi, laddove il termine piaccia di più) al pubblico. Sguardo risoluto ma parole mai caustiche, mento altro e portamento fiero contornato dalla giusta dose di vittimismo, la Boccia sembra aver colto perfettamente la ricetta per bucare ogni tipo di schermo. Mettendo addirittura in crisi chi, della comunicazione, ha fatto il proprio lavoro.
Propensione naturale, per così dire, o dietro c’è un attento studio per cui nulla è stato lasciato al caso? È questo il nodo principale sui cui è possibile interrogarsi e che rimanda ad altri interessanti quesiti. Se al giorno d’oggi per “bucare” i media c’è bisogno di una comunicazione veloce, svincolata da un’eccessiva formalità che la renderebbe noiosa per i più, ma al contempo capace di mantenere una certa autorevolezza, la Boccia sembra aver completamente colto nel segno. Uno stile comunicativo completamente differente, di fatto antitetico, a quello di Sangiuliano. Basta vedere come quest’ultimo sia stato schernito sui social, soprattutto in riferimento alla fantomatica intervista rilasciata al Tg1, per capire come per riscuotere il consenso dell’opinione pubblica i modi comunicativi più “istituzionali” possano addirittura rappresentare una minaccia.
Al di là di ogni giudizio sui fatti, dunque, Boccia si è dimostrata perfettamente capace di adottare le modalità e le strategie più congeniali a difendere la sua posizione e mitigare quanto più possibile le inevitabili critiche. Da dove derivano tali competenze, che chi aspira a diventare un comunicatore di professione cerca di apprendere in anni di studio? La pasta, insomma, c’è tutta, arrogante provare a negarlo.
Uno dei commenti più frequenti è che ci siamo trovati di fronte a un magistrale esempio della cosiddetta “cazzimma” napoletana. Disquisire su cosa quest’ultima, di nuovo, non è ovviamente il fine di quest’articolo, avrei finanche difficoltà a spiegarlo. A ogni modo è una la domanda che mi sono posto durante la sua stesura: è forse proprio la fantomatica cazzimma che accomuna la Boccia a tutti gli altri influencer e affini capaci di spuntare come funghi e imporsi all’agenda dei media?