di Alessandro Prato *
Sabato 8 giugno 2024 un articolo del New York Times dedicato al massacro israeliano a Gaza al campo profughi di Nuseirat con un bilancio di 274 morti e 698 feriti è contrassegnato da questo titolo: “Israele salva quattro ostaggi in un’operazione militare; i funzionari di Gaza affermano che decine di persone sono state uccise”.
Da notare la divisione in due parti del titolo: da un lato abbiamo la certezza di un fatto (il salvataggio degli ostaggi), dall’altro solo un’affermazione dei funzionari di Gaza (quindi non un fatto) che oltretutto riguarda “decine” di vittime (proprio per ridurre la percezione della gravità dell’evento) che “sono state uccise”, ma non è dato sapere chi è il responsabile di questa uccisione: una disgrazia? Un evento naturale?
La cosa interessante è che non c’è in questo titolo nulla che tecnicamente costituisca una bugia, tuttavia la scelta delle parole e l’uso della figura retorica della reticenza sono modellati in modo tale da distogliere l’attenzione del lettore dal fatto che Israele ha massacrato centinaia di esseri umani.
Per lo stesso titolo i redattori del New York Times avrebbero potuto scrivere: “Israele uccide centinaia di palestinesi nell’attacco a Gaza: quattro gli ostaggi salvati”, ma in questo modo avrebbe orientato l’attenzione dei lettori in una direzione – la responsabilità di Israele – che è accuratamente evitata da tutto il giornalismo mainstream.
Analogamente le azioni criminali di Israele (come, ad esempio, la tortura dei prigionieri palestinesi, il bombardamento degli ospedali, dei luoghi di culto e delle ambulanze, l’uccisione dei giornalisti e dei funzionari dell’ONU) vengono spesso de-enfatizzate, minimizzando la loro gravità, sia evitando che siano presenti nei titoli per inserirle solo nei testi degli articoli (collocati però nelle pagine interne del giornale), sia riportandole solo una volta prima di lasciarle svanire nel flusso continuo delle notizie; le storie convenienti alla narrazione dominante invece vengono non a caso riprese più e più volte per far sì che rimangano nella memoria dei lettori.
Se poi andiamo a vedere come il massacro di Nuseirat è stato raccontato dai media italiani possiamo constatare che la cifra della propaganda non cambia e che le strategie utilizzate per la manipolazione ingannevole dell’opinione pubblica sono molto simili. L’enfasi della notizia è centrata solo sui quattro ostaggi rapiti il 7 ottobre e in particolare su Noa Argamani: La Stampa pubblica la bella immagine dell’abbraccio della ragazza ricongiunta ai suoi, nel titolo e nell’occhiello non c’è traccia del massacro dei palestinesi che compare sì ma in un articolo interno a p. 14, e solo nel catenaccio.
La stessa scelta è seguita da Repubblica, in questo caso nell’occhiello si dice che sono stati “uccisi oltre 100 ostaggi” (in realtà sono molti di più). Per il Corriere della sera si parla nel titolo in modo molto generico e sfumato di “Fuoco e morti nel centro di Gaza”. Per Libero, La Verità, Il Giornale il massacro è del tutto cancellato. Addirittura su La 7 a Edicola Fratello la conduttrice, Flavia Fratello, riportando l’esempio del Fatto Quotidiano che non segue le regole della propaganda (il suo titolo infatti recita: “Israele uccide 210 persone per liberare 4 ostaggi”) si domanda basita: “Allora non vale la pena perché hai ucciso 210 persone?”, come se questo dato agghiacciante fosse del tutto irrilevante.
Del resto se poi ricostruiamo come la stampa in Italia nella maggior parte dei casi ha raccontato in questi mesi la storia degli ostaggi di Hamas emerge evidente il doppio standard che la contraddistingue: degli ostaggi israeliani conosciamo giustamente tanti elementi: i loro volti, i nomi, le loro storie, i loro affetti familiari, mentre dei palestinesi uccisi dall’esercito israeliano (in massima parte bambini e donne) non sappiamo nulla, non hanno un’identità, sono ombre indistinte che si stagliano nel fondo e che mai emergono nella loro individualità davanti ai nostri occhi.
Per sapere qualcosa di loro e della terribile situazione in cui si trovano dobbiamo cercare in rete o sui social come Instagram o Telegram. L’obiettivo dei propagandisti è sempre lo stesso: distogliere l’attenzione del pubblico dalla criminalità di Israele e dalla responsabilità dell’Occidente che lo appoggia, plasmare la percezione del mondo da parte delle persone senza che esse se ne rendano conto. Ed è un obiettivo che in molti casi viene conseguito.
* Professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi presso il Dipartimento di Scienze Sociali Politiche e Cognitive dell’Università di Siena, dove insegna Teorie semiotiche e linguistiche e Retorica e linguaggi persuasivi.