di Luisa Marini
Marco*, oggi finalmente arriva nelle sale il tuo nuovo film: emozionato?
Non direi, non c’è più l’attesa del risultato del box office da tempo, ormai con le uscite sulle piattaforme la sala cinematografica non è più l’unico luogo preposto alla visione. La realtà è cambiata, abbiamo ormai proprio un coacervo di prodotti differenti, informazioni che si accavallano, e noto che a volte la gente non ci capisce più niente; io stesso a volte scopro che film di autori che seguo sono già usciti. Io però considero la sala il luogo preposto a un film come il mio, molto complesso come scrittura. Per ora l’unica proiezione in sala è stata alla scorsa Festa del Cinema di Roma.
Nasci come sceneggiatore, e questa è la tua terza regia: come è stato il lavoro di scrittura rispetto al testo teatrale originario?
Massimiliano Bruno ha scritto e portato sulle scene “Zero” nel 2004, dunque sono passati 20 anni da allora. Il testo ha avuto molto successo, e lui è molto legato a questo lavoro, in cui ha trasferito qualcosa di personale, tra l’altro suo padre è calabrese. Ma mi ha lasciato libero di operare le mie scelte. A teatro il testo era giocato tutto sulla sua interpretazione – era lui a dare voce ai diversi personaggi, anche a quello femminile – ed era molto forte emotivamente. L’obiettivo è stato di mantenere questo livello, ma con una formula più moderna e adatta al cinema. La mia idea è stata quella di giocare su tre piani temporali, superando il concetto stesso di flashback. Le tre linee narrative sono intrecciate, e con il procedere della storia entrano a far parte di un unico piano narrativo. Come in un puzzle emotivo e temporale, abbiamo dato vita ad una vicenda di comune brutalità, aspra e improvvisa, come solo la vita autentica sa essere. È stato un lavoro di scrittura, e poi di montaggio, molto complesso e stimolante per me. Mi annoio a fare le stesse cose e mi piacciono le sfide, dunque, sono andato alla ricerca di una forma inedita. Non sono il tipo di regista che fa film ogni 6 mesi, quindi mi sono dedicato alla narrazione non lineare, che ha bisogno di tempo, che un po’ è anche di moda, vedi Nolan o lo sceneggiatore di Cuarón, o film come “21 grammi”. All’inizio del film i collegamenti non hanno precisione, e volutamente lo spettatore si trova spiazzato, ma alla fine tutto torna. Credo sia un’operazione coraggiosa rispetto ai tempi odierni, dove esiste un mezzo come Tik Tok.
Parliamo del tuo lavoro con gli attori, tutte giovani leve, affiancati dal grande Massimo Popolizio...
Si è trattato di un’operazione corale: i personaggi sono sei, e tutti protagonisti. La ricerca degli attori che sostengono la storia è stata complessa. Si tratta di una generazione a mio avviso sfortunata, che non ha avuto ancora la possibilità di emergere come quella precedente. Avevo notato Alessio Lapice, Lorenzo Richelmy, Giancarlo Commare, Lucrezia Guidone, Francesco Russo e Romano Reggiani nelle partecipazioni a film o serie precedenti, e quindi li ho scelti consapevolmente. Tutti hanno reso con sensibilità molte differenti sfaccettature della storia nelle loro interpretazioni.
Massimo Popolizio non ha bisogno di presentazioni: è un attore di grande carattere, viene dal teatro ed è insito in lui l’approfondimento della ricerca sul personaggio. Ha fatto ad esempio un lavoro interessante sul dialetto calabrese per renderlo credibile.
Penso che questo film sia prima di tutto un film di attori, dove è la “recitazione” che fa il personaggio, piuttosto che la semplice osservazione naturalistica dell’interprete. La scelta di tutti gli interpreti, anche dei bambini e dei loro genitori, è stata fatta pensando alla coerenza di ogni ruolo, donando all’intero cast una luce di talento e di credibilità.
Questo film richiama il tuo primo, “Cemento armato”, del 2007, dove recitava anche Giorgio Faletti. Ti ritrovi più a tuo agio con il noir, come regista, piuttosto che con la commedia?
(Martani è co-sceneggiatore di tutte le commedie di successo di Fausto Brizzi, n.d.r.)
Non ne farei una questione di genere, piuttosto di modalità per tirare fuori l’emotività. Questo tipo di storia per me è più coinvolgente, e cerco di fare in modo che tutto nel film, anche tecnicamente – dalla musica, alla fotografia, al montaggio – sia al suo servizio. Con il direttore della fotografia, ad esempio, abbiamo deciso di dare ad ogni linea temporale un mood cromatico diverso.
Nel 2019 hai scritto anche un romanzo: “Come un padre”, anch’esso basato su un meccanismo noir, che coinvolge molto il lettore a livello emotivo
Sì, e ho avuto la soddisfazione che i diritti sono stati acquistati dagli americani, e ci stanno effettivamente lavorando, ma ovviamente non ne posso ancora parlare.
*Marco Martani è co-fondatore della società di produzione cinematografica e televisiva Wildside, leader del settore. Ha scritto oltre 50 sceneggiature per il cinema vincendo diversi premi internazionali e 10 Biglietti d’oro per il miglior incasso dell’anno. Tre dei suoi film da sceneggiatore hanno vinto il David di Donatello come opera prima: Notte prima degli esami, La mafia uccide solo d’estate e Se Dio vuole. La mafia uccide solo d’estate gli fa ottenereanche il Globo d’oro per la sceneggiatura e il Nastro d’argento come miglior soggetto, oltre al prestigioso EFA 2014, l’Oscar Europeo nella categoria Miglior commedia dell’anno. Ha anche vinto il Nastro d’argento per la sceneggiatura del film Ex di Fausto Brizzi.
La sua opera prima, il noir metropolitano Cemento Armato (2007), riceve la nomination al David di Donatello come regista esordiente e vince tra gli altri l’International film festival di Braunschweig ed il Miami film festival.