“Stranieri”, queer, popoli “indigeni”, Buddha e polemiche su Israele: la Biennale d’arte 2024 avrà temi “caldi”

La mostra curata dal brasiliano Pedrosa si preannuncia vivace e farà discutere. Il Padiglione Italia con Bartolini si baserà sull’ascolto. Migliaia di firme per boicottare il padiglione di Tel Aviv: invece perché non ospitare anche artisti palestinesi?

Violeta Quispe (Sarhua, Perù), Ekeke (2021), particolare. Courtesy of Vigil Gonzales. Nella sezione Nucleo contemporaneo della Biennale arte 2024
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Stefano Miliani Modifica articolo

27 Febbraio 2024 - 22.37


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La mostra principale curata dal brasiliano Pedrosa si preannuncia molto vivace e farà discutere. Il Padiglione Italia con l’artista Bartolini si baserà più sull’ascolto che lo sguardo. Migliaia di firme contro il padiglione di Tel Aviv, Sangiuliano ribatte

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La Biennale d’arte di Venezia fa sempre da termometro del proprio tempo e prefigura spesso quanto accadrà anche al di là delle arti visive e l’edizione 2024, la sessantesima che si terrà dal 20 aprile al 24 novembre, pare avere le premesse per confermarlo.
Sintetizzando in modo brusco e improprio, nella mostra principale curata dal brasiliano Adriano Perosa i fili conduttori saranno il sentirsi ed essere stranieri, il dare valore ad artisti “indigeni” ovvero di popolazioni emarginate e bistrattate, la presenza di chi è e si sente “queer”, la critica a vecchi colonialismi e neocolonialismi, alla xenofobia, un mondo dove ognuno ha pari riconoscimenti, almeno in teoria. Il Padiglione Italia avrà richiami agli alberi, a Buddha, a una ricerca del silenzio. Ci saranno nuovi Paesi con un loro padiglione, come Benin, Etiopia e Tanzania dall’Africa tra altri, in tutto si sale a quota 90, ma sui padiglioni nazionali si scatena una polemica: ottomila firmatari hanno spedito una lettera alla Biennale affinché boicotti quello di Israele per il massacro in corso a Gaza e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ribatte che non se ne parla nemmeno: “Inaccettabile e vergognoso”. Domanda: oltre a tenere Israele senza cacciarlo non si potrebbe creare anche un padiglione palestinese?

Elyla (Manágua, Nicaragua), Torita-encuetada (2023), Video performance, particolare. Courtesy of the Artist / Made in collaboration with Nicaraguan Filmmaker Milton Guillén / Music: Susy Shock – Luigi Bridges. Nella sezione Nucleo contemporaneo della Biennale arte 2024

Stranieri, queer, indigeni dal mondo
A fine gennaio, affiancato dal presidente dell’ente Roberto Ciccuto in carica fino al 2 marzo, il curatore della mostra tematica Adriano Pedrosa, dichiaratamente “queer” ha delineato le tracce della “sua” rassegna che amplia solchi già tracciati in edizioni precedenti, in particolare da Cecilia Alemani: con oltre 330 artisti invitati Pedrosa propone al Padiglione centrale ai Giardini e all’Arsenale molti artiste e artisti “indigeni”, nel senso di popolazioni che non vengono necessariamente dal mondo capitalistico occidentale e orientale.
I confini vengono spezzati e il titolo “Stranieri ovunque. Foreigners everywhere” inteso nel senso più ampio del termine, anche di identità e culture, è già un programma. La mostra si profila come una scoperta di molti autori e autrici provenienti da ogni continente che saranno una sorpresa anche per gli addetti ai lavori, pertanto quando vedremo dipinti, sculture, video o altre forme d’arte senza aver mai sentito quei nomi potremo sentirci in folta compagnia. D’altronde un concetto chiave della Biennale di Pedrosa è il sentirsi stranieri e quindi almeno sulla carta tutto quadra. La mostra parlerà di diaspore, di “gender”, di colonialismo e di decolonizzazione, quindi in senso ampio potrà essere interpretata come una critica indiretta a nazionalismi, discriminazioni e razzismi e avrà due “nuclei”: uno “storico” con opere dal 1905 al 1990, uno “contemporaneo” dal 1990 al 2023. Un capitolo sarà sulla diaspora italiana, vale a dire quegli artisti nati nel nostro Paese che hanno vissuto e operato altrove, soprattutto nelle Americhe.

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Adriano Pedrosa, curatore della Biennale arte del 2024, e Roberto Cicutto, presidente uscente della Biennale di Venezia. Foto Andrea Avezzù

Bartolini l’italiano
È invece di un martedì di fine febbraio, il 27, la presentazione al Ministero della cultura del Padiglione Italia che questo Padiglione gestisce alle Tese delle Vergini, in fondo all’Arsenale. Lo hanno presentato Angelo Piero Cappello, Direttore generale creatività contemporanea del dicastero, il curatore selezionato per la prima volta attraverso un bando pubblico Luca Cerizza, l’artista chiamato inventarsi una o più opere per lo spazio alle Tese, il cecinese Massimo Bartolini, l ministro Gennaro Sangiuliano, da Venezia in streaming Cicutto sul punto di venire sostituito da Pietrangelo Buttafuoco, nominato dal titolare del dicastero del Collegio Romano.

Il curatore del Padiglione Italia 2024 Luca Cerizza, a sinistra, e l’artista che realizzerà e coordinerà lo spazio con interventi di autrici e autori di musiche e scrittura, Massimo Bartolini © Matteo de Mayda

L’aver invitato al Padiglione Italia un solo artista come era accaduto all’ultima Biennale (in quel caso era Gian Maria Tosatti) ha scatenato strali da parte di Vittorio Sgarbi, tuttavia le sue critiche avranno meno effetti concreti non essendo lui più sottosegretario alla Cultura. Come sarà il biglietto da visita dell’arte contemporanea italiana? Bartolini prepara un Padiglione dove si ascolterà più che vedere e anzi invita proprio all’ascolto, magari resistendo in silenzio per qualche minuto.

Ci saranno due installazioni sonore ispirate all’albero e al “Pensive Bodhisattva”, l’essere vivente che diventerà un Buddha, hanno spiegato il curatore e l’artista. Si tratterà di fare un’esperienza sensoriale e spirituale, come è diventato frequente dire, almeno se abbiano inteso il senso del lavoro. Il titolo è un voluto gioco di parole con una traduzione deliberatamente errata, «Due qui-To Hear».
Come ha puntualizzato il curatore, non sarà affatto un’opera a firma unica perché Bartolini ha chiamato a collaborare più artisti di più discipline. Anzi tutto intervengono con un’opera apposita un compositore minimalista over 80 anni e il figlio venticinquenne, ovvero Gavin Bryars e Yuri Bryars, ispirandosi versi del poeta argentino Roberto Juarroz. Un’altra installazione sonora sarà al centro del percorso e qui le musiche saranno di due compositrici giovani e valenti, Caterina Barbieri e Kali Malone. Non mancano i testi e cui le firme sono di uno scrittore veneziano, Tiziano Scarpa, e di una scrittrice triestina, Nicoletta Costa. Bisognerà vedere, anzi soprattutto ascoltare, per giudicare.

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Inji Efflatoun (Il Cairo, 1924-1989), Portrait of a Prisoner (1963), particolare. Foto Maria and Mansour Dib/ Courtesy Ramzi and Saeda Dalloul Art Foundation. Nella sezione Nucleo storico della Biennale arte 2024

L’appello: la Biennale boicotti Israele
Ben più risonanza ha sul web invece un appello di ottomila firmatari inviato alla Biennale per boicottare Israele e non ospitare il suo Padiglione, che è tra le presenze storiche ai Giardini, a causa la mattanza in corso a Gaza. Come in passato, la politica internazionale e lo stato del mondo entra dalla porta principale della Biennale. I firmatari reclamano la cacciata di Tel Aviv per i già quasi 30mila morti palestinesi massacrati a Gaza e fondandosi su dei precedenti: lo stop al Sud Africa quando c’era l’Apartheid, la condanna nel 2022 dell’ente veneziano della Russia che aveva invaso l’Ucraina e quel padiglione rimase vuoti perché si ritirarono gli artisti russi stessi.
“Mentre il mondo dell’arte si prepara a visitare il diorama dello stato-nazione ai Giardini affermiamo che è inaccettabile ospitare uno Stato impegnato nelle atrocità in corso contro i palestinesi a Gaza. No al Padiglione del Genocidio alla Biennale”, scrivono i firmatari. “Siamo sconvolti da questo doppio standard – dice ancora la lettera -. Qualsiasi lavoro che rappresenti ufficialmente lo Stato di Israele costituisce un’approvazione delle sue politiche genocide. Non esiste libera espressione per i poeti, gli artisti e gli scrittori palestinesi assassinati, messi a tacere, imprigionati, torturati”.

Il ministro Sangiuliano replica: vergognoso
Durissima la replica di Sangiuliano: “È inaccettabile, oltre che vergognoso, il diktat di chi ritiene di essere il depositario della verità e con arroganza e odio pensa di minacciare la libertà di pensiero e di espressione creativa in una nazione democratica e libera come l’Italia. Israele non solo ha il diritto di esprimere la sua arte ma ha il dovere di dare testimonianza al suo popolo proprio in un momento come questo in cui è stato duramente colpito a freddo da terroristi senza pietà. Allo Stato di Israele, ai suoi artisti e a tutti i suoi cittadini va la mia più profonda solidarietà e vicinanza. La Biennale d’arte di Venezia sarà sempre uno spazio di libertà, di incontro e di dialogo e non uno spazio di censura e intolleranza. La cultura è un ponte tra le persone e le nazioni, non un muro di divisione”.

Perché non tenere Israele e dare uno spazio a palestinesi?
A parere strettamente personale, ovvero di chi scrive, la soluzione sarebbe un’altra ancora. Rimarcando che il 7 ottobre Hamas ha compiuto una mattanza di oltre mille persone contando sulla reazione violenta di Tel Aviv: no al boicottaggio di Israele, la cui reazione è sete di vendetta e di massacro, e al contempo organizzare una sorta di padiglione palestinese così come nel 2022 la Biennale ospitò un’installazione collettiva ucraina sull’invasione russa ai Giardini e un’opera molto suggestiva di un artista ucraino all’Arsenale.
Potrebbe corrispondere alla proposta di due Stati per due popoli. Si scatenerebbero polemiche? Ci saranno comunque.

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Yinka Shonibare (Londra), Refugee Austronaut II (2016), particolare. Courtesy the Artist and James Cohan Gallery, New York / Photo Stephen White & Co. / © Yinka Shonibare CBE. Nella sezione Nucleo contemporaneo della Biennale arte 2024

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