Dipendesse solo dalla pandemia staremmo un passo avanti. In realtà l’avvento di internet, delle nuove tecnologie e altro (pensiamo al mondo del cinema con i suoi prequel e sequel quando si potrebbe dire antefatto o seguito) ha provocato una invasione di termini stranieri che sostituiscono le parole italiane.
“La pandemia da Covid ha provocato anche danni linguistici, con una diffusione di parole inglesi che, mal pronunciate e spesso non capite o fraintese, sono entrate nell’uso, attraverso i mezzi di informazione e i social. Questi termini, diffusi purtroppo anche dalle Istituzioni, non sono compresi da un gran numero di cittadini italiani e possono provocare disorientamento e equivoci pericolosi in una materia molto delicata, come quella della salute”.
Lo afferma la linguista Valeria Della Valle, coordinatrice del Vocabolario Treccani, consulente scientifica dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e direttrice dell’Osservatorio neologico della lingua italiana.
“I termini stranieri vengono propagati per pigrizia, inerzia o desiderio di esibizione”, lamenta la professoressa di linguistica dell’Università di Roma ” ricordando come più volte anche l’Accademia della Crusca, con il suo presidente Claudio Marazzini, ha segnalato “l’esistenza delle corrispondenti parole italiane, di facile comprensione per tutti i cittadini”.
La professoressa Della Valle ricorda, ad esempio, che sarebbe sufficiente dire e scrivere “confinamento” invece di “lockdown”, “goccioline” invece di “droplets”, “focolaio” invece di “cluster”, “distanza fisica” invece di “social distancing”, “lavoro agile” invece di “smart working”, “passaporto vaccinale” o “passaporto verde” oppure “certificato Covid” invece di “green pass” e “richiamo” invece di “booster”. Conclude la linguista. “Sostituzioni facili e immediate, a costo zero, che avrebbero evitato l’inutile proliferazione di parole inglesi superflue in un periodo nel quale la chiarezza nella comunicazione è fondamentale”.
di Manuela Ballo