Il terremoto 5 anni dopo: “Ci servono lavoro e vita per i giovani, non solo case”

Cosa racconta chi vive a Visso, Ussita e Castelsantangelo devastati dal sisma del 26 e 30 ottobre 2016? Nuclei storici ancora chiusi, la ricostruzione inizia ma ricostruire non basta 

Il terremoto 5 anni dopo: “Ci servono lavoro e vita per i giovani, non solo case”
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Stefano Miliani Modifica articolo

20 Ottobre 2021 - 19.56


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Visso, nei Monti Sibillini, ha un nucleo storico d’impianto medioevale e rinascimentale con scorci come la bellissima piazza dei Martiri Vissani su cui affaccia la Collegiata di Santa Maria. Inavvicinabile: è zona rossa. Lo è dal 26 e 30 ottobre 2016 quando il terremoto scosse come un fuscello e spaventò questo pezzo degli Appennini insieme a porzioni dell’Abruzzo e alla Valnerina umbra. La scia del sisma del 24 agosto ad Amatrice e Accumoli (clicca qui per l’articolo) fu devastante e proseguì senza tregua fino al 2017. Nel centro vissano le impalcature di sicurezza tengono in piedi chiese e case, eppure ancora non si entra. Ciononostante raccogliendo le voci di chi vive da queste parti qualcosa è in parte cambiato rispetto al passato: a Visso è in costruzione un ampio centro di servizi con chiesa, per l’intero Cratere il commissario straordinario Giovanni Legnini ha velocizzato molto le procedure burocratiche, in Umbria Castelluccio ha negozi e vendita di alimentari in strutture per lo più provvisorie fuori dal perimetro semi-annientato però è attivo. 
Ci vorranno anni per vedere la ricostruzione vicina al completamento, ora si percepisce per la prima volta una certa fiducia, resta che questi paesi e frazioni corrono un grosso pericolo: che lo spopolamento per la mancanza di prospettive lasci borghi senza più giovani e privi sempre più spesso di servizi. Lo si comprende da qualche testimonianza raccolta il 19 settembre scorso a Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera, paesi marchigiani tra i monti, i boschi e le acque dello spettacolare Parco Nazionale dei Monti Sibillini (clicca qui per il sito). 

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Clicca qui per il sito del Commissario straordinario ricostruzione Sisma 2016

Clicca qui per il sito dell’Associazione Operatori Turistici AltoNera

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Visso: “Rivedremo il centro storico?”
“Sono di Macerata, vengo a Visso da quando sono piccola – dice Manuela, insegnante 62enne –  Si ricomincia a ricostruire ma vedo ancora case distrutte e tiepidi segnali di ripresa, la situazione è disastrosa: fa male al cuore, soprattutto per la consapevolezza che il borgo non ci verrà più dato”. “Per le case singole qualcosa si è mosso, per il resto è tutto fermo. Non so se rivedrò il centro storico – ammette sconfortato Giovanni Battista, 70 anni – Abito qui, sono rientrato in casa mia dal settembre 2017. Il centro storico è stato messo in sicurezza, chissà quando potremo rientrarci”. 
“Sono di Visso. Con il commissario Legnini la situazione è cambiata drasticamente, tanti cantieri sono partiti e altri partono”, riconosce Donatella Rosi, 50enne, dell’associazione Operatori turistici Alto Nera. “Questa estate c’è stato il triplo di turisti rispetto al 2019, ma le strutture ricettive sono poche e le seconde case sono fuori uso”. Lei dove abita? “In una Sae (le casette dette Soluzioni abitative in emergenza, ndr). Non è il tuo paese, non lo riconosci come tale. Le Sae sono confortevoli, ma manca la socializzazione, i servizi sono ridotti, per un elettrocardiogramma di mio figlio dobbiamo andare a Macerata, a Camerino il centro storico ha riaperto ma non le attività commerciali”. Per lo meno alcuni esercizi funzionano e tengono il ritmo: la pasticceria Vissana, appena fuori dal centro storico, oltre a primi e altro sforna dolci e salati da leccarsi i baffi e vale una tappa.

Il link: Amatrice a cinque anni dal sisma del 24 agosto. «Ora la ricostruzione si vede»

Ussita: qualche prospettiva per chi giovane
A pochi chilometri, a Ussita, la tabbaccaia Maria Grazia Marinangeli (1965) riflette: “Ci sono piccoli cenni di ripartenza. Però non credo che rientrerò in una casa prima di dieci anni, la mia è demolita, e dubito che le Sae, dove abito, reggano così a lungo”.
Barbara Olmai, 47enne, è di Tolentino, cittadina di 19mila abitanti che pure ha avuto i suoi danni, e il suo compagno è di Ussita: “Ho lavorato in tv da giornalista e ho l’esigenza di raccontare il terremoto, le storie degli abitanti. Per i danni pesanti è un conto, per quelli lievi da un anno la ricostruzione procede spedita, Legnini ha fatto passi da gigante per snellire la burocrazia con i Pse, i Programmi straordinari di ricostruzione: gli effetti si vedono”. La sua valutazione complessiva qual è? “Dei paesi non ci sono più, molti vivono nelle Sae e non frequentano più le piazze: è dura per loro credere di veder ricostruita la casa o il paese in un territorio popolato da anziani, dove nei piccoli comuni mancano il medico di base e i servizi essenziali. E tanti che qui hanno la seconda casa si disaffezionano”. Barbara Olmai allarga però lo sguardo e apre prospettive: “Accanto a questo quadro ci sono persone, specialmente giovani, molto radicate nel territorio e decise a restare nonostante le grandi difficoltà perché credono nella bellezza dell’Appennino, del Parco dei Monti Sibillini. Credo ci sia un futuro perché la qualità della vita sarebbe molto alta, se ci fossero i servizi. Solo che serve una visione strategica della politica, dai Comuni in su, che non vedo. Il futuro si ricostruisce creando nuove forme di residenzialità, dando case con poco budget e sgravi fiscali per le attività, altrimenti chi ci viene? E serve lavoro: ci vogliono incentivi soprattutto per la piccola economia, per le piccole imprese e per stimolare la residenzialità in modo che chi lavora qui poi ci viva. È anche l’occasione per creare un sistema eco-sostenibile, il turismo agro alimentare e ambientale”. Non ultimo, reputa necessario “anche un patto di solidarietà tra cittadini”. Vale a dire: non possiamo solo aspettare l’azione dall’alto.
In modo indiretto conferma quanto appena riferito Francesco Tamburi, 33 enne dalle idee concrete e chiare: “Sono guida di mountain bike, maestro di sci e sono tornato l’anno scorso dopo aver fatto le stagioni in Trentino. Ho potuto delocalizzare il negozio di articoli sportivi in questa struttura temporanea perché mia madre andava in pensione e aveva deciso di chiudere; ho preso l’attività e faccio quello che facevo in Trentino, faccio la guida, noleggio articoli e seguirò un corso per accompagnare i turisti a piedi”. Come va? “Ho avuto bei riscontri perché lavoro tanto, sto bene, basta guardare la bellezza del territorio”. Carenze? “Manca una pista ciclabile”. 
Francesco Ferranti, 52 anni, è a fianco di Barbara Olmai e vede prospettive incoraggianti. “Bisogna valorizzare l’agroalimentare, attività come sci, mountain bike, escursioni, perché qui abbiamo una natura bellissima. C’è un modo di uscire da questa situazione, non siamo spacciati, basta piagnistei. Avevo qui un albergo e me lo ricostruiranno: cos’altro posso chiedere?” 

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Castelsantangelo sul Nera: servono lavoro e una vita per chi è giovane
Qualche chilometro verso sud e il centro storico di Castelsantangelo sul Nera, che si inerpica su un lato di un monte, è sempre distrutto. Lo attorniano mini-villaggi Sae. 
“Bisogna ricostruire ma per noi giovani va ricostruita la vita più che le case – incalza Guglielmo, 24enne – Da cinque anni siamo fermi. Me ne vado dove ho un futuro, qui non c’è. Servono opportunità lavorative invece non si muove niente”. Guglielmo tocca un nodo cruciale. 
“Per Castelsantangelo c’è un piano dell’architetto Stefano Boeri e i lavori dovrebbero partire – conferma il 51enne Pietro Blanchi – Ottimo, però abbiamo perso cinque anni e non si pensi solo alle case. Bisogna incrementare i posti di lavoro e mantenere le attività aperte. Sono andate via dodici famiglie, manca un medico di famiglia, la farmacia apre un’ora per due giorni a settimana e dobbiamo andare a Visso, qui vivono pochi ragazzi”. Blanchi lavora in vicino impianto dell’acqua, che in questi monti abbonda ed è eccellente, sua moglie a Matelica per cui deve coprire 120 chilometri al giorno. La casa cinque anni fa non è crollata e dopo un periodo iniziale da sfollati la famiglia è rientrata tra le pareti. “Pensiamo anche alla botta psicologica – interviene Guglielmo – C’è lo stress post-terremoto e non è tornata più la normalità, alcuni ragazzi hanno dovuto avviare percorsi psicologici”. Più che comprensibile. Conclude e sintetizza bene il discorso Giulia, che ha 16 anni, è figlia di Pietro Blanchi e collabora con la ProLoco castellana: “Come vedo il mio futuro qui? Difficile. Non so se resterò. Per noi giovani ci sono poche possibilità, ho tutti gli amici a Visso”.

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