Nel 2005 Seba Pezzani, scrittore, traduttore, musicista con la rockband Rab4, giornalista che collabora con globalist con lo pseudonimo impiegato da anni anche in testate come l’Unità, compì un viaggio per le strade interne dei suoi amatissimi (con occhio critico sulle storture, razzismi e ingiustizie) Stati Uniti. Come riporta nella nota di copertina, “alla fine di ogni giornata on the road annota qualche riflessione su un taccuino, ritrovandosi alla fine per le mani il suo personale attestato d’amore per un Paese che, pur studiato per decenni, ancora non riesce a comprendere fino in fondo”. Da quel taccuino è scaturito un autentico e appassionante libro di viaggio, “USA e Getta” (Nuova Editrice Berti, pagg 158, euro 18), che sulla quarta di copertina riporta gli imprimatur di amici scrittori del calibro di Jeffery Deaver, Joe R. Lansdale e James Grady. Per gentile concessione dell’autore e dell’editore ne pubblichiamo un brano.
Seba Pezzani: il chitarrista di strada e la frittura
Da queste parti, la polizia è quanto mai servizievole. Se hai bisogno di una mano, certo non si tira indietro. Ho assistito a una stranissima scena che dalle nostre parti non si sarebbe mai verificata. Su un tratto molto ripido dell’autostrada, una macchina della polizia spingeva letteralmente la macchina di uno sfortunato automobilista rimasta in panne. Naturalmente, qui le macchine della polizia sono dotate di respingenti creati per la bisogna, ma la vera differenza è che, da noi, se una macchina si ferma in mezzo alla strada nessuno riuscirebbe a spingerla e nessuno proverebbe a farlo, per paura di restare travolto nel traffico. Ma questa è l’America e questa è la California.
San Francisco ha in un certo senso consacrato i valori di libertà, tolleranza e gioia di vivere che da sempre rappresentano il faro di attrazione dello stato più popoloso degli USA, pur discostandosene per molti aspetti. La città ci accoglie con una delle sue inquietanti nebbie estive. Non so nemmeno se definirla nebbia, visto che si tratta piuttosto di nubi bassissime sospinte verso terra da forti venti oceanici. Il risultato è davvero sorprendente e sinistro e il paesaggio cambia con grande rapidità. C’è molto traffico e la cosa mi infastidisce subito. Da quando sono sbarcato in America, mi sono abituato male. Sono troppi giorni che godo di ampi spazi. Quella che provo in questo momento è una vaga sensazione di claustrofobia. Meno male che la prima persona che incontro mi tira su il morale. Norbert Dynamite Yancey è un cantante e chitarrista afroamericano atipico. Atipico non come cantante ma come afroamericano, oppure entrambe le cose. Staziona con la sua seggiola e la sua chitarra su Ghirardelli Square, uno dei centri nevralgici della città, e non si può proprio fare a meno di notarlo, visto che indossa un cappello piumato nero che spiccherebbe persino in mezzo a un branco di pavoni. Con la sua simpatica gigioneria da consumato frequentatore della strada, mi strappa subito un dollaro. Mi chiede di dove sono, invece che guadagnarsi il dollaro cantando e, quando glielo dico, si rivolge a me dandomi del paisà e dicendomi di essere stato in tour in Italia e di adorare Reggio Emilia, per la sua cucina. “Tortelini,” dice baciandosi la punta delle dita. “Belisimo!”
Forse la mia espressione più che inebetita gli sembra dubbiosa e allora mi fa vedere un enorme collage di centinaia di fotografie che lo ritraggono in compagnia di centinaia di personaggi più o meno famosi. “Enrica Bonaccorti…” Maledizione, proprio lei, tra tutte le decine di personaggi che popolano le scene italiche! “Ci ho fatto uno spettacolo televisivo,” ci dice, stavolta in inglese. “E poi, guardate qua, questo è Luciano Pavarotti: lui e io insieme.” Intona una improbabilissima La donna è mobile, storpiandone le parole e, naturalmente, gli accordi, ma sfido chiunque ad afferrare il testo di una romanza eseguita da un cantante lirico. Mi chiede l’indirizzo perché dice che fra qualche mese tornerà in Italia, dove spera di incontrare Andrea Bocelli. Per farsi ritrarre insieme a lui e aggiungere la foto al collage promozionale, penso. Sto ancora aspettando la canzone che dia un senso al dollaro sborsato. Lui, invece mentre mi mette tra le mani la sua chitarra, inizia a sgranocchiare allegramente una ciambellina che gli ha offerto la mia ragazza. Addirittura, lo sfacciato mi chiede di suonargli un pezzo. Faccia tosta! Quasi quasi, gli chiedo indietro un dollaro. Poi si riprende la chitarra – ammesso che la si possa definire tale – e mi fa vedere un trucco. “Vedi”, mi dice, “io non sono un vero chitarrista.” Come se non me ne fossi accorto… “Siccome non sono molto bravo a suonare, sono costretto a usare sempre il capotasto, perché conosco solo un paio di accordi…” In effetti, lo avevo intuito. Mi rendo conto che, qualunque canzone interpreti, Norbert suona sempre e solo gli accordi maggiori di Re e La, tanto per non sbagliare. Perché, comunque, la sua voce un po’ sguaiata li sovrasta e nessuno vi presta eccessiva attenzione. Che personaggio! Staziona fisso dalle parti di Fisherman’s Wharf, che un tempo era un posto molto in e che oggi, invece, è l’ennesimo baraccone per turisti di massa.
Da questo punto di vista, mi pare di essere tornato dalle parti di Las Vegas, non fosse che questo posto pullula di cinesi. La Chinatown di San Francisco ha radici antiche e i cinesi anche qui stanno prendendo il sopravvento.
Davanti all’imbarcadero per Alcatraz, il mitico carcere che sorge sull’isolotto nel mezzo della baia di San Francisco, ora avvolta nella nebbia, mi faccio una porzione di patatine fritte e merluzzo. Fish and chips fa più figo, ma pur sempre di pesce e patatine fritte si tratta. Qualcuno mi ha giurato che questi cinesi ci sanno fare e che per pochi dollari mi sarei fatto una bella frittura. Insomma, che mi attendeva una vera delizia. Una delizia per cinesi, forse. La mia ragazza, più saggia e soprattutto più americana di me, non ci pensa neanche ad assaggiare quella porcheria bisunta e si dirige decisa verso uno Starbucks.