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“Teocon” cattolici contro Bergoglio: Borghesi indaga sugli Usa più retrivi

Un saggio analizza quella larga fetta della Chiesa cattolica statunitense che sostiene posizioni radicali e Trump

“Teocon” cattolici contro Bergoglio: Borghesi indaga sugli Usa più retrivi
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15 Marzo 2021 - 18.50


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di Antonio Salvati

Durante l’assalto a Capitol Hill, il giorno dell’Epifania 2021, non pochi rimasero meravigliati nel vedere cartelli con la scritta «Gesù salva» tenuti dai rivoltosi. Gli americani, com’è noto, si sono ritrovati improvvisamente in una situazione inedita, qualcosa di non paragonabile a tutto ciò che è avvenuto in quel Paese da almeno duecento anni a questa parte. Le bandiere, portate dagli estremisti evangelici alleati di Trump, che inneggiano in maniera repulsiva a Gesù fra gli insurrezionisti di Capitol Hill rappresentano un’espressione politica e culturale di cui la Chiesa cattolica americana non è del tutto estranea. Anche la chiesa cattolica americana è soggetta alle stesse sollecitazioni di retorica apocalittica e ha al suo interno i suoi estremisti che non esitano a schierarsi apertamente contro il Papa. È il grande problema della Chiesa cattolica statunitense odierna, profondamente divisa al proprio interno. E soprattutto chi sono e cosa chiedono al Vaticano gli ultrà cattolici statunitensi, qual è la loro influenza nel clero e nella politica? Ci viene in aiuto l’ultimo ed interessante volume di Massimo Borghesi, Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo» (Jaca Book 2021 pp. 272, € 20), ricco di descrizioni del modello del cattolicesimo americano. Il volume analizza la stagione dei Catholic Neoconservative e quella della Chiesa di Francesco immaginata come un «ospedale da campo» per un mondo in frantumi, due prospettive profondamente diverse che segnano la coscienza cattolica contemporanea.

Meno di un secolo fa, essere orgogliosamente americani e orgogliosamente cattolici poteva sembrare quasi un ossimoro, ha osservato Francesco Martini. Malgrado Alexis de Tocqueville avesse osservato in La democrazia in America come i fedeli di Roma formassero «la classe più repubblicana e democratica degli Stati Uniti» e i vescovi, sin dai tempi di John Carroll, abbiano enfatizzato la perfetta coerenza tra le due fedeltà, i cattolici hanno vissuto a lungo una condizione di alterità rispetto alla realtà circostante, largamente protestante e sospettosa nei confronti del «romanismo». I cattolici in terra statunitense sono oggi pienamente parte integrante della società: l’orgoglio americano e l’orgoglio cattolico non sono più in contraddizione. Borghesi analizza il modello «americano» fondato sul connubio tra battaglie etiche contro la secolarizzazione (cultural wars) e identificazione del cattolicesimo con il capitalismo e lo «spirito» americano. 
Intellettuali come Michael Novak, George Weigel, Richard John Neuhaus, Robert Sirico elaborano, a partire dagli anni ’80 questa sintesi attraverso una rilettura, fortemente deformata, della Centesimus annus di Giovanni Paolo II. Con ciò divengono, negli anni ’90, gli opinion makers della Chiesa negli USA e in Europa. Il mondo cattolico, dapprima affascinato dal marxismo, si ritrova in un modello ecclesiale e politico liberalconservatore. Per poi divenire teocon, in particolar modo dopo l’11 settembre 2001 e l’affermazione delle teologie politiche manichee, trasformandosi infine nel teopopulismo contemporaneo. 

I neoconservatori cattolici non sono un movimento organizzato, ma come ha affermato Weigel, «una comunità di dialogo e amicizia, cooperazione istituzionale e produzione letteraria, costruita attorno a una comunanza di interessi e preoccupazioni di natura ecclesiale e civile». Molti Catholic neocons hanno iniziato il loro percorso intellettuale nella sinistra politica più o meno radicale per poi avvicinarsi gradualmente al Partito Repubblicano (Novak e Neuhaus, attivisti democratici negli anni Sessanta e Settanta, subirono il fascino del socialismo; altri, come Weigel e George, sono stati a lungo legati alla componente tradizionalista del Partito democratico). Molti cattolici bianchi nel corso degli ultimi cinquant’anni, si sono spostati in massa dai democratici ai repubblicani in seguito alla percepita «deriva a sinistra» dei primi. 

I Catholic neocons si sono sempre giustificati sostenendo – con motivazioni principalmente religiose – che a cambiare non erano stati loro, bensì il Partito democratico. Borghesi individua nella storica sentenza «Roe versus Wade», con cui la Corte suprema degli USA legittima nel 1973 il diritto di abortire, e dalle reazioni e dalle trasformazioni del cattolicesimo americano durante la presidenza Reagan (1980 – 1989) la nascita della corrente Neoconservative promossa da Novak, George Weigel, Richard John Neuhaus, Robert Sirico. L’orientamento dei teoconservatori, spiega Borghesi, diverrà egemone nel mondo cattolico statunitense a partire dagli anni novanta, arrivando a definire i due pilastri di una nuova Weltanshauung: «piena conciliazione tra il cattolicesimo e il capitalismo e cultural wars sul terreno etico». Sorge il cattocapitalismo, nuova forma dell’«americanismo cattolico» dominato «dall’esigenza di una piena compenetrazione tra la fede e l’ethos americano». Borghesi ricorda come durante il mandato Trump per ampi settori della chiesa americana il nuovo Costantino risiedeva nella Casa Bianca. Trump è divenuto «il protagonista di un modello teologico-politico opposto al cattolicesimo “latinoamericano” del vescovo di Roma». 

L’”investitura” di Trump è arrivata dall’arcivescovo Viganò, ex nunzio pontificio negli Stati Uniti, uno dei principali avversari di Francesco nel fronte tradizionalista, con molte entrature nella chiesa americana. Viganò, il no-global della reazione, «l’apocalittico della contro-rivoluzione, è un personaggio estremo, degno dei personaggi di Umberto Eco e di Dan Brown». La «svolta» americana con la vittoria di Biden, in un certo senso, libera il Papa dal peso dell’imperatore. Ma non risolve il problema di quel blocco cattolico conservatore, «in molti casi tradizionalista, che reagisce di fronte a un mondo sempre più insicuro trincerandosi in una posizione di difesa». 

Massimo Faggioli, storico italiano del cristianesimo trapiantato negli Stati Uniti, ha recentemente osservato che la presidenza del cattolico Biden non potrà sanare lo scisma morbido in atto: «uno scisma non solo per linee ideologiche orizzontali sull’asse destra/sinistra, ma anche per linee verticali». In una chiesa cattolica americana – diventata sempre più accogliente per i ceti benestanti e borghesi, «ma meno rappresentativa delle istanze delle classi povere ed emarginate» – dove «c’è uno scollamento tra l’episcopato e la propria chiesa in America e in Vaticano». La storia del cattolicesimo americano oggi è inseparabile dalla polarizzazione delle identità politiche: la situazione di spaccatura radicale all’interno della chiesa americana è destinata a continuare.

Gli Stati Uniti, un tempo terra di approdo degli emigrati cattolici italiani, irlandesi, polacchi, sono divenuti col tempo culla di un cattolicesimo peculiare. Una fede che accentua la dimensione morale del cristianesimo, a scapito di quella profetica. Interconnessa al capitalismo che permea la cultura di Oltreoceano. In competizione con un protestantesimo evangelicale nazionalista, razzista, proselitistico, omofobo. Ha spiegato Franco Scaramuzzi che «nei lunghi anni di Giovanni Paolo II, poi, con il collante dell’anticomunismo, molti vescovi hanno virato a destra, identificando, in una costante culture war, la fede cattolica con l’ideologia pro life o il rifiuto delle nozze gay, e lasciando in secondo piano le aperture alla società e alla modernità del Concilio vaticano II». Un “nuovo integralismo medievalista» in conflitto con la «vecchia scuola neo-conservatrice» per la «supremazia all’interno del cattolicesimo americano conservatore», nell’analisi di Massimo Faggioli. 

Ha preso corpo, insomma, un cattolicesimo quasi separato. Tollerato prima che venisse eletto Jorge Mario Bergoglio, adesso in odore di eresia. Perché i cattolici neoconservatori, anche italiani (come quelli della difesa dei valori non negoziabili), non comprendono la prospettiva di Papa Francesco? Perché i cristianisti, come li ha definiti Rémi Brague (ossia quelli principalmente preoccupati di salvare l’occidente cristiano, che credono nel cristianesimo e non in Cristo), non accettano Papa Francesco? Borghesi risponde affidandosi alle parole di Spadaro e Figueroa secondo i quali l’elemento religioso «non va mai confuso con quello politico. Confondere potere spirituale e potere temporale significa asservire l’uno all’altro. Un tratto netto della geopolitica di papa Francesco consiste nel non dare sponde teologiche al potere per imporsi o per trovare un nemico interno o esterno da combattere. (…) La sottolineatura della misericordia come attributo fondamentale di Dio esprime questa esigenza radicalmente cristiana. Francesco intende spezzare il legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa. La spiritualità non può legarsi a governi o patti militari, perché essa è a servizio di tutti gli uomini».

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