Veronica Cruciani: «Il femminicidio non è una morte qualsiasi»

La regista e attrice cura la regia di “Barbablù” stasera su Radio3: «Il testo di Hattie Naylor è scomodo: indaga sulla pericolosa dipendenza affettiva tra vittima e carnefice»

Veronica Cruciani: «Il femminicidio non è una morte qualsiasi»
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25 Novembre 2020 - 17.06


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di Alessia de Antoniis

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Ancora un anno di violenze sulle donne. Ancora un anno dove è urgente che il 25 novembre sia la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne per commemorare tutte quelle che non ce l’hanno fatta e tutte quelle che lottano per farcela.
Per l’occasione, stasera 25 novembre Rai Radio 3, alle 20,30, propone la lettura di Barbablù / BlueBeard, un testo della drammaturga britannica Hattie Naylor, interpretato da Tommaso Ragno e con la regia di Veronica Cruciani. Un racconto in prima persona, senza mezze misure, di un uomo che confessa le sue imprese sessuali. Una confessione che contiene due tratti tipici dello schema che si ritrova nelle forme più gravi di violenza di genere: la dipendenza/sottomissione al potere maschile e l’isolamento della donna vittima.
Veronica Cruciani, regista e attrice, ex direttrice del Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma, ha deciso di dare il suo contributo alla battaglia in difesa delle donne.

Un altro 25 novembre. Finiremo mai?
Sarei felice se non ci fosse più bisogno di una giornata contro la violenza sulle donne, sarebbe bello che questo tipo di sensibilizzazione non fosse più necessaria. Il 25 novembre serve proprio per dire basta a questa ricorrenza.

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La favola di Barbablù nasconde la morale che la curiosità è pericolosa. È anche una storia che parla del narcisista patologico e di un serial killer. Noi donne ci manipoliamo di generazione in generazione insegnando, da madre in figlia, che quella barba blu, in fondo, non è poi così blu?
Penso che il femminicidio sia un fenomeno culturale. Non è una morte qualsiasi, ma una morte dove c’è un dislivello di potere all’interno di una relazione. In genere il femminicidio accade quando la donna fuoriesce dal ruolo che le viene dato dall’uomo. Un sistema patriarcale come il nostro è terreno fertile per gli svariati Barbablù e le loro vittime.
Questo testo è feroce e violento, ma anche scomodo. È interessante perché indaga sulla relazione pericolosa di dipendenza affettiva tra vittima e carnefice. Siamo in presenza di un narcisista patologico, di un perverso privo di empatia, arrogante, autoriferito, distruttivo, pieno di rabbia, che aggancia donne disposte a subire. È in questo rapporto di dipendenza che si crea la violenza. Ricordo una volta al Teatro Biblioteca Quarticciolo, durante una delle conferenze che tenevamo su questi temi, una donna che venne da me con un occhio nero, picchiata dal marito, dicendomi: “vedi, è geloso, mi ama”. Come se la gelosia fosse sinonimo di amore e non di possesso. Invece è qui il problema.

Nel racconto di Hattie Naylor, all’inizio le donne non chiedono, accettano il gioco erotico e basta. Vengono uccise quando iniziano a fare domande, quando usano la chiavetta della favola, la domanda, per aprire la porta della stanza segreta. Meglio voltarsi dall’altra parte?
La stanza chiusa simboleggia il passato di Barbablù. La domanda è la chiave e la camera è quello che lui non vuole raccontare di sé. Questo personaggio non vede l’altra persona, non ci entra in relazione. Nessun perverso affetto da disturbo narcisistico della personalità vede veramente l’altro. Barbablù si nutre di assiomi che sono la sua realtà. Nel monologo racconta la sua visione alterata della realtà.
Per la versione che andrà in onda su Radio3, a Tommaso Ragno faccio registrare delle parti del testo che lui riascolta, come se stesse costruendo una narrazione di se stesso, come se lui fosse regista di se stesso. Quello che lui dice di sé è una messa in scena, una narrazione falsa, per mettere ordine in quel caos interno, folle e patologico, che ha nella sua testa. Arriva addirittura a giustificare le sue azioni criminali, dicendo che in fondo la natura è violenta e che lui, facendo queste azioni, non fa che riportare le cose allo stato di natura. Nel momento in cui le donne, mero oggetto erotico, accondiscendenti, iniziano a fare domande, quando chiedono “ma tu chi sei?”, quando da passive diventano attive, quando varcano quel confine, che nella favola è la curiosità che fa entrare nella stanza segreta, vengono uccise. L’autrice stessa ha dichiarato che ciò che l’ha sempre colpita nella favola fosse la punizione sproporzionata della curiosità.

Nella favola, diversa dalla fiaba originale, non passa il messaggio della donna che cerca se stessa, la sua parte sana, passa il messaggio della ragazzina curiosa che si impiccia degli affari che non la riguardano. Sii sottomessa se no guarda quello che rischi…
Sì, sii sottomessa! Siamo ancora vittime di tanti stereotipi. Ancora oggi, un uomo assertivo ha personalità, una donna è aggressiva o isterica. Una donna deve avere atteggiamenti accondiscendenti, comprensivi, non può essere determinata. Questo è uno stereotipo culturale. Anche nelle pubblicità la violenza è fashion. Il classico gruppo di fotomodelli con la donna al centro sdraiata a terra, è una pubblicità che trasmette immagini forti che culturalmente ci ingabbiano nei ruoli. Gli stessi di Barbablù. È questo che va cambiato. Il punto non è giudicare gli uomini, ma fornire alle donne gli strumenti per evitare situazioni di questo tipo, magari partendo dall’educazione nelle scuole e in famiglia.

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Nel testo teatrale leggo: “restiamo con chi abusa di noi (…) per toccare con mano per l’ennesima volta (…) che non valgo niente”. L’uomo maltrattante tende a schernire la donna, umiliandola, cercando di tagliare il cordone che la lega ai suoi affetti e ai suoi obiettivi. Perché continuiamo ad accettare il brutale in ufficio, per strada, in internet, sui social, in televisione?
Nella nostra società vengono trasmessi stereotipi su ciò che è maschile e femminile che rischiano di creare dei ruoli rigidi. La classica frase “sposati così ti sistemi”, allontana la donna dall’idea che può farlo da sola, che può essere autonoma.
Quello che accade nel mondo del lavoro, sui social, nella vita sentimentale, non è un’eccezione: è una cosa diffusa al livello culturale. Ecco perché la violenza sulle donne è un problema culturale. Urge intervenire equiparando diritti, spazi, retribuzioni. Continuano ad essere poche le donne che ricoprono ruoli decisionali. Una donna che esprime le sue opinioni, viene attaccata per il suo corpo invece che per quello che dice. Per distruggere questi modi di pensare dobbiamo partire anche dal linguaggio. Bisogna costruire nuove narrazioni, perché è così che si può incidere sulla realtà. E questo compito spetta soprattutto a noi donne.
Ho appena lavorato su un testo di Claudio Fava, Tina e Alfonsina. Alfonsina Strada è una ciclista che ha fatto il giro d’Italia. Tina Modotti è stata protagonista della rivoluzione messicana, fotografa, modella, pittrice, rivoluzionaria, comunista. Donne eccezionali che all’epoca hanno inseguito le proprie passioni, nonostante gli attacchi sessisti che subivano. Oggi la situazione non è molto diversa. Viviamo in una società cambiata solo in apparenza.
Nel Barbablù di Hattie Naylor, c’è una figura interessante: la zia dell’ultima vittima, che riconosce Barbablù. Possiamo vederla come una donna sopravvissuta che ne aiuta un’altra?
Lei lo riconosce perché ha una natura in parte simile. La zia restituisce a Barbablù quella violenza che lui agisce sulle sue vittime. Attraverso la sua azione violenta sembra mandare un avvertimento agli uomini come se dicesse “state attenti che se continuate a comportarvi cosi cominceremo anche noi a fare quello che fate voi, vi ripagheremo con la stessa moneta”.
Ma anche lei è una figura ambigua e qui c’è un aspetto interessante della Naylor: non divide mai il bene e il male in maniera netta e non dà mai risposte. C’è sempre qualcosa di ambiguo. È un testo che pone domande.
La zia è una donna che ha imparato a muoversi in un mondo maschilista, ma anche lei è in parte soggetta a stereotipi : sempre giovane, che ricorre alla chirurgia, ha un’ossessione per il sesso e la pornografia. Essendone consapevole è strategica. Non è come sua nipote che invece proietta su Barbablù sentimenti di amore e protezione mentre invece verrà soltanto sfruttata. Quest’uomo più grande che finge di guidarla, mentre in realtà la manipola. La zia è una donna che vede le cose come sono. Ma anche lei ha un aspetto predatorio. Non è Barbablù, ma ….

Come ti sei trovata a portare il teatro in radio?
Ringrazio Laura Palmieri per averci chiamato al Teatro di Radio3. Il lavoro che io e Tommaso Ragno stiamo realizzando è fatto con la consapevolezza che andrà in radio, quindi un progetto con la voce che va ascoltato e non visto. Non è uno spettacolo realizzato in teatro e condiviso tramite video. È sicuramente un’altra cosa e ha una sua forza proprio per questo. L’anno prossimo, Barbablù verrà messo in scena come spettacolo teatrale. Nel mio progetto originale di regia teatrale, lo spazio di Barbablù è il luogo del narcisismo e della perversione. L’ho quindi immaginato pieno di telecamere, di microfoni, dove si riprende, si registra, fa un film su se stesso. Barbablù sarà in un lettino chirurgico, pieno di braccia meccaniche come se fosse un ragno, collegate a un cellulare, un tablet, una telecamera. E mentre racconta di queste vittime, si riprende con la telecamera. Facendolo in radio, ho invece pensato che poteva essere interessante far passare lo stesso concetto di uno che si registra, si riprende, si riascolta, ma attraverso la radio.
Alla vigilia della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, Vittorio Feltri ci ha regalato un’altra delle sue perle di saggezza, stavolta a proposito del caso Genovese, accusato di stupro, definendo ingenua la ragazza violentata. Dobbiamo ancora assistere alla tesi del “se l’è cercata”?
È inaccettabile giustificare uno stupro. Andare a casa di qualcuno per tre volte oppure entrare in una camera da letto non vuol dire essersela cercata. L’articolo che Feltri scrive sul giornale Libero è pieno di stereotipi maschilisti che vanno assolutamente condannati.

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