Del Prete, biografia sentimentale per il batterista figlio di un vulcano

Mario Schiavone per Iod Edizioni pubblica un libro dove racconta, con lirismo poetico, la vicenda umana e artistica del ragazzo di Frattamaggiore che con James Senese inventò Napoli Centrale

Del Prete, biografia sentimentale per il batterista figlio di un vulcano
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12 Marzo 2021 - 17.29


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Aveva gli occhi azzurri Franco Del Prete, batterista, da Frattamaggiore, Napoli. Occhi azzurri e tersi, d’anima. E ci metteva l’anima a suonare – tum tum tum – la batteria che è il ritmo, il ritmo del sangue che pulsa. “Mi sento figlio di un  diavolo che nell’orecchio mi sussurra note di jazz e  rhythm and blues. Tempo musicale, tempo da  vivere, tempo sbagliato; tengo il tempo: con le dita  e con il cuore.  E quando trovo il tempo  melodico che mi occorre, sono esausto”. Così Franco si raccontava in un libro che è omaggio, ma soprattutto una biografia lirica. Un libro che si intitola “A tempo perso suonavo ogni giorno – Storia di un batterista fuori dal tempo“, Iod edizioni. Lo ha scritto Mario Schiavone, giovane autore, appassionato lettore, cronista di fiuto. Lo ha scritto per fermare i pensieri e le storie vulcaniche di Del Prete che a 76 anni, il 13 febbraio 2020, ha mollato questa terra, lasciandoci un patrimonio di musica, di parole, di rullate, di metronomi che si frantumano per fermare il tempo, l’ossessione del tempo che in musica è insieme matematica e follia. 
Del Prete fondatore nel 1967 degli Showmen con Mario Musella e James Senese e, poi, con quest’ultimo dei Napoli Centrale, è stato motore ribelle di quel Neapolitan Sound che faceva detonare, letteralmente, la grande canzone partenopea, per ibridarla con il jazz, il blues, la musica nera. Tanto che poi in quel gruppo, Napoli Centrale, a un certo punto arrivò pure un giovane Pino Daniele al basso.  E poi le grandi collaborazioni, poi la vita parallela di paroliere per Peppino Di Capri, per Lucio Dalla, Raiz (Almamegretta), ‘O Zulù (99 Posse), Tullio De Piscopo, Peppe Barra, Enzo Avitabile. E per Eduardo De Crescenzo con cui firma un pezzo bellissimo, dimenticato ma che davvero disegna l’arte di questo ex ragazzo con i capelli ribelli. E’ una canzone che si intitola “E la musica va”, eseguita a Sanremo con Nanà Vasconcelos alle percussioni, una cosa rara e preziosa,  bocciata al Festival  nel 1991, segno dei tempi, e segno per Franco, ennesima cicatrice in una vita difficile ma vissuta con rara dignità “nel nome del padre, del figlio e dello spirito jazz”. La canzone che non a caso  ha accompagnato il suo  funerale. 

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Musica, musica che va, e avanguardie, e schizzi possenti del  jazz, E per jazz non si intenda uno stile, ma uno stato dell’anima, un modo randagio e libero di attraversare suoni e tratti di vita. Nel raccontare l’uomo con gli occhi azzurri da Frattamaggiore, Mario Schiavone non procede attraverso i canoni della biografia classica: il libro è un flusso di pensieri, ricordi e storie che si intersecano. La scrittura è alta, appassionata, giusta per il ritmo, per i dolori, per ribadire le scordanze patite, le figure mitiche – janare, uomini orchi, donne chiacchierate, lupi mannari –  capaci di trasformare Frattamaggiore in una specie di villaggio cosmopolita e ancestrale dove a un certo punto i politici d’accatto, immancabili, promisero perfino l’arrivo del mare. E’ una storia semplice e bellissima, di riscatto dal basso. Una madre che vendeva “pezze” di tessuto, una pezzara che si alzava alle tre del mattino pur di mantenere la famiglia. E forse per questo Franco Del Prete ha sempre amato gli ultimi, gli ultimi della fila, i fragili, i cancellati. Per questo ha battuto forte su piatti e tamburi. Per farsi ascoltare. Ascoltare lui, ancora oggi, significa percepire i sottotoni delle periferie del mondo e l’anima di chi la sputa “di notte sotto un cielo che non ha pietà”.

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