di Marco Buttafuoco
A cent’anni esatti dalla nascita, avvenuta a Mar Del Plata l’11 marzo del 1921, la figura di Astor Piazzolla appare sempre di più come uno degli snodi più interessanti della cultura musicale del novecento. La sua vicenda artistica è una delle tante possibili epitomi di un secolo in cui si sono incontrati (e scontrati), globalizzandosi, i linguaggi della musica, attraverso migrazioni e sovrapposizioni etniche e la diffusione dei mezzi di comunicazione a distanza.
Libertango, melodie yiddish e New York
Argentino di nascita ma con quattro nonni italiani, Piazzolla passò gran parte dei suoi primi sedici anni a New York, vivendo con la famiglia nei pressi di Little Italy. Il padre era un barbiere ma per certo operò anche nella distillazione del whisky clandestino, a contatto con la mafia italo americana. Astor era quindi praticamente bilingue e negli anni passati sulle strade newyorkesi assorbì musica di ogni tipo. Il violinista del suo ultimo quintetto Fernando Suarez Paz, raccontò all’autore di queste righe come il celeberrimo Libertango fosse una reminiscenza di una melodia yiddish che Piazzolla sentiva risuonare da una sinagoga vicina. In ogni caso Piazzolla stesso sosteneva che alla base delle sue concezioni ritmiche ci fosse proprio la cultura musicale ebraica, oltre, ovviamente, al jazz.
Come Gershwin
La sua vicenda è quindi sovrapponibile in buona parte a quella di un altro grande compositore del 900, l’ebreo newyorkese George Gershwin. Come Gershwin Piazzolla ebbe anche un amore sconfinato per la musica “classica”, che pure non studiò in senso accademico. Tornato in patria, assorbì anche il linguaggio e lo spirito del tango, un genere, cui fu sempre legato da un rapporto intenso di odio e amore.
Fin dagli anni giovanili il suo scopo fu di innovare l’arte tanguera. Diceva di detestare, suscitando scandalo, vecchi classici come La Cumparsita (la definiva musicalmente spaventosa). Arrivò, in un’intervista, a sminuire Gardel, compiendo quello che in Argentina veniva (e viene considerato tuttora) considerato una specie di deicidio (peraltro prontamente abiurato). Le sue idee e le sue pratiche sul tango, ad esempio il rifiuto di considerarlo musica da ballo, l’introduzione della chitarra elettrica nei suoi gruppi, suscitarono sempre polemiche accese nel suo paese, che durarono, anche se in maniera sempre più attenuata, fino alla sua morte avvenuta nel 1992.
Per tutta la vita Piazzolla si lamentò del fatto che la sua musica fosse più compresa e amata al di fuori della sua terra. Passò quindi lunghi periodi in Francia, Italia (ricordiamo la sua collaborazione con Milva) e Stati Uniti, attento ai linguaggi musicali in evoluzione. Formò anche un ottetto elettronico, che gli valse l’ostilità di molti che avevano apprezzato le sue idee innovative sul tango tradizionale.
Fu adorato (ed è tuttora) tanto dai musicisti classici, che trovavano nelle sue composizioni quell’afflato lirico-melodico che l’avanguardia del novecento sembrava aver relegato in qualche polverosa soffitta ideologica, quanto dalla comunità jazzistica. Alcune sue canzoni, in primis la Balada Para Un Loco, su versi di Horacio Ferrer. del 1968, gli diedero fama prima in Sudamerica, poi a livello planetario.
La rilettura della tradizione
Difficile dare un giudizio complessivo sulla sua opera e sulla sua figura in uno spazio ristretto come quello di un articolo di giornale. Per certo fu tra quegli artisti che pensavano che l’avanguardia affonda le radici nella tradizione ma che la tradizione stessa, senza una continua rilettura, sia destinata a rimanere una pianta sterile. “La realtà – disse Louis Bacalov- è che l’Argentina, fino a che non è emerso Piazzolla, aveva quasi dimenticato il tango. Si ballava e si ascoltava poco. Era antiquariato se non archeologia, roba da tenere in soffitta”. Di questa schiera eletta fanno parte, e non sono i soli, anche i pionieri del Be Bop, Miles Davis, Joao Gilberto, Caetano Veloso, il già citato Gershwin, John Coltrane, gli stessi Beatles, per tacere dei classici Bela Bartok e Igor Stravinsky. La sua sterminata produzione ebbe anche episodi molto discutibili, ad esempio un disco dedicato ai Mondiali di Calcio del 1978 decisamente di basso livello (Piazzolla attribuì il fiasco e la cattiva qualità al produttore italiano del disco, ammettendo comunque la pessima riuscita dell’opera).
Un uomo spesso discutibile, soprattutto in politica
Da un punto di vista umano le biografie lo ricordano come un uomo spesso discutibile: arrogante, soggetto a violenti sbalzi di umore talvolta manesco, preso esclusivamente dal suo lavoro, incauto nel parlare, esuberante nel bene e nel male.
Nel 1975 scrisse la colonna sonora per un film sul Cile realizzato da Helvio Soto, un regista esule, nel quale compare anche un brano dedicato a Salvador Allende, ma per certo Piazzolla usò quella melodia disinvoltamente anche per altri contesti. Scrisse anche le musiche per i film di Fernando Solanas dedicato alla resistenza contro la dittatura (L’Exil de Gardel e Sur), ma si schierò, sostanzialmente con i militari, che pure vietarono anche qualche suo pezzo. Un suo pranzo con il feroce dittatore Videla gli costò una lunga rottura con la figlia Diana. Astor si giustificò con l’impossibilità di agire diversamente. Aveva paura delle conseguenze di una sua presa di posizione. Probabilmente, e non è un’attenuante, era troppo chiuso nel suo lavoro e dal suo mondo per porsi interrogativi di altra natura.
Due biografie su Piazzolla
In questi giorni sta uscendo l’edizione italiana di una bella biografia pubblicata nel 2000 da Maria Susana Azzi (Astor Piazzolla. Una vita per la musica, Sillabe Editore, pagg 536, prezzo di copertina € 27) Il libro, basato su interviste, è accuratissimo ed esauriente nella ricostruzione del personaggio Piazzolla.
La migliore biografia musicale è contenuta in un libro, purtroppo e stranamente non più disponibile, uscito nel 2009 in Argentina e pubblicato nel 2012 in Italia da Minimum Fax. Il titolo spagnolo Astor Piazzolla: el malentendido chiarisce benissimo la visione dei due autori Diego Fisherman e Abel Gilbert. L’equivoco è considerare Piazzolla un tanguero rivoluzionario o, tanto più, un musicista classico. Fu invece un musicista innovatore del 900, al confine fra i generi e le culture. Cambiò il suono di Buenos Aires ma la sua musica lungi dall’essere universale (è oggi in repertorio di molte orchestre ed ensemble classici) ha significato solo attraverso la sua interpretazione e il suo essere solista, e virtuoso, del bandoneon. “nella musica di derivazione popolare- scrivevano i due- l’interpretazione è l’opera stessa”.
Un punto di vista importante, molto anticonformista: di Piazzolla si è troppo parlato in termini mitologici e la mitografia non aiuta mai la comprensione.
Secondo un grande tango degli anni 30, il ventesimo secolo fu un “cambalache (rigatteria) problematico y febril”. Questa bella metafora potrebbe definire l’opera del musicista di Adios Nonino.