Simonetti: "Gli artisti sono dimenticati, nessuno ricorda che la cultura è necessaria"

Il pianista fondatore dei Goblin: "Mi mette molta paura questo momento, non so dove si andrà a parare, come finirà, soprattutto per noi artisti, perché attorno a noi non c’è una grande considerazione"

Simonetti: "Gli artisti sono dimenticati, nessuno ricorda che la cultura è necessaria"
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

23 Febbraio 2021 - 15.24


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Abbiamo incontrato Claudio Simonetti, pianista, fondatore tra le altre della celebre band dei Goblin, autore di colonne sonore, tra cui alcune celeberrime di film di Dario Argento e di George Romero, in occasione del suo compleanno, per parlare di passato, di presente e di futuro.

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di Giuseppe Costigliola

Oggi [19 febbraio] è il tuo sessantanovesimo compleanno: che sensazioni provi nel guardarti indietro, in oltre un cinquantennio di attività musicale?

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Positive, se non fosse per questo periodo che stiamo passando. Io di solito suono sempre, anche nel periodo del mio compleanno, invece quest’anno, per la prima volta, mi tocca festeggiare stando fermo. È molto triste, e non solo per me, ma per tutti.

Come stai vivendo, da uomo e da artista, questo drammatico periodo di pandemia?

Male, come tutti. Mi mette molta paura questo momento, non so dove si andrà a parare, come finirà, soprattutto per noi artisti, perché attorno a noi non c’è una grande considerazione. Non ci si rende conto che l’attività artistica è una delle cose più necessarie. Io anzi ho la fortuna di avere lo studio a casa, faccio produzioni, ho la mia sfera creativa, ma sono abbastanza sconfortato. Sai, mentre l’anno scorso abbiamo reagito, uscivamo sui balconi, eravamo convinti che sarebbe andato tutto bene, adesso quell’entusiasmo non c’è più, c’è un grande avvilimento, tra un po’ finiremo tutti con gli psicofarmaci.

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C’è una grande differenza tra l’esibirsi dal vivo, e da studio, in streaming. Riesci comunque a emozionarti anche “da remoto”, in qualche modo a “sentire” chi ti ascolta?

Sì e no. Da una parte sì, perché vedo che tanta gente, un po’ da tutto il mondo, sta lì a scrivermi, a farmi i complimenti, mi dà un grande sostegno perché mi fa capire che non sono stato dimenticato. E una bella sensazione, ma non esattamente un’emozione, come quella che provi quando suoni dal vivo.

Recentemente è scomparsa Daria Nicolodi, che tu conoscesti durante le riprese di “Profondo rosso”, nel 1975. Che ricordi hai di lei?

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C’è stato un periodo in cui eravamo molto legati. Ci tengo a dire che noi abbiamo iniziato a lavorare con Dario Argento grazie a Daria Nicolodi, fu proprio lei a suggerire a Dario di prenderci per fare il film, il suo parere fu decisivo, anche se lui già ci voleva. Era molto gentile, carina, io conservo un bellissimo ricordo di una persona bella in tutti i sensi, come donna e attrice, ed era anche molto simpatica.

Il successo dei tuoi pezzi, quelli con i Goblin e le tante colonne sonore che hai firmato, sembra intramontabile: ai tuoi concerti ci sono ragazzi di vent’anni come settantenni. Qual è secondo te la qualità che ha permesso alla tua musica di assurgere a una sorta di classico, di evergreen, malgrado i cambiamenti epocali dei gusti e delle mode negli anni?

Sì, questo avviene un po’ in tutto il mondo, ai miei concerti ci sono padri, figli. Be’, la mia teoria è che questo tipo di musica, proprio per un certo piattume che c’è nella musica di oggi, una cronica mancanza di novità, questa musica vintage – non solo mia, ma di altri gruppi storici dell’epoca – diventa attuale, anche perché molti gruppi odierni attingono a quella musica lì. In fondo, gli originali sono sempre gli originali: fanno rivivere le emozioni a quelli che già la conoscono, e suscitano emozioni alle nuove generazioni che sentono questa musica per la prima volta. Noi negli anni Settanta eravamo molto creativi, tutta la mia generazione e quelli più grandi di me, basti pensare ai tanti gruppi dell’epoca – i Genesis, i King Crimson, gli Yes, i Gentle Giants, i Jethro Tull, Deep Purple, Emerson Lake and Palmer, insomma decine e decine di gruppi che hanno fatto la storia della musica – che hanno lasciato un segno che oggi non lascia più nessuno. Quindi, riascoltare oggi le cose di allora fa scoprire un mondo diverso alle nuove generazioni. Paradossalmente, dobbiamo ringraziare questa mancanza di novità che c’è: siamo più freschi e giovani noi che quelli di adesso.

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Qual è la colonna sonora da te scritta che reputi più riuscita da un punto di vista musicale?

Mah, a me piacciono quasi tutte quelle che ho fatto, anche se spesso i film non hanno avuto successo. Anzi, forse ci sono cose molto belle scritte proprio per film poco valutati. Per esempio, io ho musicato undici film di Argento, più tre prodotti da lui, quindi quattordici film. Ecco, nel mucchio, quelli proprio belli sono tre o quattro. Come musiche, invece, ce ne sono parecchie, quando le sento sono molto soddisfatto, a prescindere del successo o meno del film. Sono molto legato alle colonne sonore del “Cartaio”, “La terza madre”, “Dracula”, “Jenifer”, “Pelz”: le ho scritte mettendoci tutta l’anima, la mia creatività, anche se i film non erano granché.

In diverse occasioni, con le tue varie band, hai messo su un esperimento molto suggestivo: suonare dal vivo le colonne sonore di alcuni film, come “Profondo rosso”, “Suspiria”, “Zombi”, “Tenebre”, mentre questi vengono proiettati: è un’esperienza molto coinvolgente per lo spettatore. Dal punto di vista del musicista e dell’esecutore, c’è uno stimolo in più, una particolare emozione nel suonare con questa modalità?

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Assolutamente sì. La prima volta che abbiamo suonato un film dal vivo è stato nel 2009, al Torino Film Festival, organizzarono la proiezione di “Profondo rosso” in piazza C.L.N., quella del film, e lì abbiamo suonato con diecimila persone sedute per terra, c’era anche Dario Argento, una cosa davvero coinvolgente. Abbiamo ripetuto l’esperimento qualche anno dopo, dal 2013, ma poco in Italia, l’abbiamo fatto in Giappone, in Irlanda, in Inghilterra, Stati Uniti, anche con “Suspiria”, “Zombi”. Sì, e molto emozionante suonare così.

Qual è il più grande insegnamento che ti ha lasciato in eredità tuo padre, l’indimenticato Enrico Simonetti?

Sai, mio padre lo vedevo poco, era sempre in giro per lavoro. Però ho avuto la fortuna che quando c’era mi portava sempre con sé, quando faceva i programmi televisivi, quelli importanti, con Mina, al Teatro delle Vittorie, io stavo sempre dietro le quinte. Ho imparato molto osservandolo, come si comportava, com’era. Poi, geneticamente mi ha trasmesso certe cose, il carattere, la musicalità, il comportamento educato e alla mano.

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Progetti futuri?

Con questa pandemia è tutto bloccato. Le proposte non mancano, ma le produzioni sono ferme. Quello che faremo appena possibile è tornare a suonare dal vivo. Lo scorso anno abbiamo fatto un disco nuovo, poi anche una raccolta di successi, “The very best of”, risuonati e riarrangiati con la mia nuova band, Claudio Simonetti’s Goblin, adesso uscirà il secondo volume di successi, che conterrà anche brani mai pubblicati, conosciuti e meno conosciuti, di colonne sonore non solo di film di Argento, ma pezzi da “Vendetta dal futuro”, il film di Sergio Martino, da “Ballad in Blood” di Ruggero Deodato, e anche “Gamma”, di mio padre.

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