Aldo Bennici: “Con la mia viola ho sognato musica senza paura dell’insuccesso”

Maderna, Donatoni, Berio, Sciarrino, Bussotti, Bartolozzi: il musicista racconta i legami con i compositori che formano una playlist degli ultimi 50 anni nel suo cd doppio “I colori della viola”

Aldo Bennici: “Con la mia viola ho sognato musica senza paura dell’insuccesso”
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11 Gennaio 2021 - 15.34


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di Chiara Guzzarri

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Aldo Bennici, uno dei musicisti che si è misurato fino in fondo con la sua viola, con l’impatto della musica contemporanea e che ha contribuito al rinnovamento di molte istituzioni musicali, esce dal suo sereno isolamento registrando due cd, I colori della viola-Aldo Bennici, una raccolta di brani pubblicati da Atopos.
Pagine sonore in cui si racconta la varietà dei linguaggi musicali dai primi anni Cinquanta agli inizi degli Ottanta, accompagnando l’ascoltatore nella nascita della Nuova Musica.
Protagonista assoluta è la viola che fa da filo conduttore in questa sorta di diario sentimentale. A dirlo è lo stesso Aldo Bennici: ”Sono documenti vivi del mio rapporto diretto con il suono del mio strumento, che è anche la mia voce interiore”.

Palermitano di nascita, Aldo Bennici, dopo aver girato il mondo oggi conduce un’esistenza tranquilla nella sua residenza a Firenze. È stato invitato, come solista, dalle principali orchestre italiane, tra le quali L’Orchestra del Teatro alla Scala, l’Accademia di Santa Cecilia, il Maggio Musicale Fiorentino; ha ricoperto la carica di Direttore artistico dell’Orchestra Regionale Toscana, dell’Accademia Musicale Chigiana e dell’Associazione Musicale Giovane Orchestra Genovese oltre che quella di Direttore artistico della Sagra Musicale Umbra e del CIDIM- Comitato italiano musica. Tanti anche i suoi concerti internazionali: Israele, Londra, Parigi e New York. Ha ricevuto anche, nel 2008, il premio speciale della critica musicale italiana Franco Abbiati, 28esima edizione, per Filemone e Bauci di Haydn.

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Da cosa nasce questa raccolta, racchiusa in due cd?
Nasce casualmente: Daniele Lombardi, mio carissimo amico, voleva assolutamente che avessi un ricordo della mia lunga professione. Abbiamo lavorato a lungo su questo progetto, prima che ci lasciasse. Dopo mille difficoltà è stato pubblicato ed è anche un modo per rendere omaggio alla sua memoria.

Il suo primo strumento era il violino, ai tempi dell’Accademia. Poi ha cambiato: come e perché questa scelta?
Sono entrato in Conservatorio a undici anni, ero molto giovane, nella classe di violino. Tra i miei compagni c’era anche Bussotti, lui era nella classe avanti. Mi sono avvicinato alla viola grazie al maestro Piero Farulli. Quando ho dovuto scegliere ho capito che la viola era il mio suono, la mia voce.

Negli anni Sessanta il repertorio solistico destinato alla viola non era molto ampio, come ha fatto?
All’epoca del Conservatorio non frequentavo molto i miei colleghi strumentisti, preferivo la compagnia dei compositori. Loro avevamo una visione più ampia rispetto ad uno strumentista e già allora qualcuno scriveva qualche brano per me, ancor prima che io mi diplomassi.

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Lei parla di una visione nuova della musica: ce la spiega?
Ero convinto, fin da giovane, che la musica dovesse cambiare, essere vissuta in modo diverso. Sicché ho fatto qualcosa in cui credevo ciecamente, facevo il musicista non per la gloria o la fama ma per seguire l’idea che un giorno saremmo stati noi i protagonisti di un cambiamento. Non volevo eseguire una musica che fosse di sottofondo, ma che venisse compresa, emozionando. Trovai tutto ciò nella musica che veniva pensata e suonata nel mio tempo.

Perché visti i tanti successi decise di abbandonare, tutto d’un tratto, la viola? Smisi di suonare a Parigi, dopo un concerto pubblico di Radio France. Chiesi a mia moglie se le era piaciuto, lei mi disse di sì, e io ribattei che quella era stata l’ultima volta che mi avrebbe sentito suonare. Il giorno dopo chiamai il mio agente per comunicargli la mia decisione. Avvertivo il cambio di passo e non volevo assistere al mio declino. Oggi non ho nessun rimpianto: fu una scelta giusta.

Tra i nomi presenti nel cd c’è anche quello di Maderna.
Con Bruno Maderna ci fu subito un’intesa. Il primo brano che suonai fu Serenata per satellite, nel 1969. Scrisse poi nel 1971 per me un pezzo, presente nel CD, Viola, con una dedica a cui tengo particolarmente ‘All’amico Aldo Bennici, affettuosamente dedicato’. È una conversazione tra me e Bruno, in cui vi sono spazi di silenzio, come se mi stesse rispondendo. Fu lui a introdurmi nel mondo della musica, mi fece conoscere il suo agente in Olanda, e mi aprì la strada della professione. In un certo senso mi prese sotto la sua ala protettrice facendomi da guida. Gliene sarò sempre grato.

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Un altro nome molto presente nell’ultima incisione e nella sua vita da musicista è quello di Luciano Berio.
Berio lo incontrai per la prima volta a Rovereto, dovevo suonare la sua Sequenza VI, ero agitatissimo e finite le prove gli chiesi se avesse qualche osservazione da farmi. Lui mi diede una pacca sulla spalla e andò via. Sul momento rimasi male, mi sembrò una persona distaccata e fredda. Qualche mese dopo mi chiese di suonare insieme a lui il Concerto per viola e orchestra d’archi di Ghedini. Da lì scoprii una persona amabilissima con cui è nata un’amicizia durata trent’anni. Era di famiglia per me. Oltre all’amicizia c’era anche l’intesa sul piano artistico. Scrisse per me Naturale, costruito sulla raccolta di canti tradizionali siciliani. Oltre che Voci, concerto per viola, suonato 69 volte.
Luciano ha scritto molte cose per me, tra cui anche un piccolo brano chiamato Aldo.

Maderna e Berio, due figure portanti nella sua vita, oltre che nella sua carriera artistica.
Credo di aver avuto due angeli custodi: Berio e Maderna. Poco tempo dopo la morte di Bruno Maderna incotrai Luciano, e pensai fosse stato lo stesso Maderna ad averlo mandato sul mio cammino. Tutti e due a modo loro mi hanno aiutato, e poi abbiamo riso e scherzato molto insieme.

Sciarrino, Bussotti e Donatoni invece?
Salvatore Sciarrino lo conobbi a Monaco di Baviera. Con lui ho sempre avuto un rapporto fraterno, passava spesso lunghi periodi a casa mia a Firenze, e proprio in uno di questi momenti nacquero Al limite della notte e Tre notturni brillanti. Con Donatoni e Bussotti sono sempre riuscito a stabilire rapporti molto fertili. Bussotti era con me al Conservatorio e mi ricordo ancora che mi accordava il violino, mentre Donatoni fu lo stesso Sciarrino a presentarmelo e chiedergli di scrivere per me.

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Non ha più con sé la sua viola, la sua voce, come mai?
Devo essere sincero: per me è stato tutto facile, le cose mi sono capitate e le ho colte al volo. Volevo restituire qualcosa indietro di tutto quello che la vita mi aveva donato, così ho deciso di regalare la mia viola all’Accademia a Firenze. Non suonavo più e volevo dare a qualcun altro la possibilità che era stata data a me. Anche le mie lettere, i manoscritti e le partiture le ho regalate. Non volevo si perdessero nel tempo.

Un consiglio per chi sta intraprendendo adesso questa carriera? Con tutte le difficoltà del momento storico che stiamo vivendo?
Di sognare. Ai miei tempi si sognava senza aver paura. All’epoca io non temevo l’insuccesso o di non piacere, ero molto sicuro di me stesso e credevo in quello che stavo facendo.

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