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Fabio Frizzi: «Dagli horror per Fulci ai concerti, la musica è passione»

Il musicista ha scritto colonne sonore per molti registi. E Tarantino ha usato un suo brano. Ora si racconta in una autobiografia mai sopra le righe

Fabio Frizzi: «Dagli horror per Fulci ai concerti, la musica è passione»
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23 Dicembre 2020 - 15.54


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di Rock Reynolds

Forse, non è da tutti accettare con il sorriso l’etichetta di “musicista dell’aldilà”, quella che è stata appiccicata a Fabio Frizzi da quando è diventato uno dei più ricercati autori di colonne sonore di film horror. Evidentemente, non se ne fa un problema e non dimentica la strada fatta e gli amici incontrati sul percorso. “Sarò eternamente grato a Lucio Fulci, maestro dell’horror all’italiana, persona curiosa e rispettosa, che mi ha sempre dato grande libertà nel lavoro. Certo, da profondo conoscitore del cinema, sapeva bene cosa voleva, ma si limitava a darmi qualche indicazione di massima sull’atmosfera desiderata, fidandosi di me. Lui era il regista, io il musicista. Era una persona tosta ma pure un amico. Una ventina d’anni fa, con l’avvento planetario di Internet, mi sono reso conto di aver ricevuto un’eredità artistica dalla mia collaborazione con lui. Per capire quanto sia stato importante per me, lo spettacolo che ho portato in giro con maggior soddisfazione si intitola Frizzi 2 Fulci e raccoglie le musiche dei suoi film.”

È un piacere chiacchierare con Frizzi, forse perché in lui non pare essersi spenta la fiamma che solo un musicista vero conosce. Le sue parole ne sono la conferma. “Viene prima la tecnica o la passione? Nessun dubbio: la passione. Certo, conoscere la teoria non è mai un freno, a patto di non metterla al primo posto. Un posto che deve essere appannaggio del cuore.”
E il cuore – la passione, se preferite – è il filo conduttore di Backstage di un compositore (Graphofeel, pagg 430, euro 23), il libro attraverso cui Fabio Frizzi racconta la sua vita di uomo e musicista, partendo dalle primissime esperienze, compreso l’incredibile regalo che gli fece suo padre: un viaggio a Madrid per recarsi nell’atelier di Ramirez, uno dei liutai più famosi al mondo, e acquistare la sua prima chitarra di pregio. “Oggi so quanto quel regalo sia indice di grande lungimiranza. È un ricordo di mio padre che serberò con eterno affetto.” Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, ma negli occhi di Frizzi si coglie ancora lo scintillio del bambino che si sveglia la mattina di Natale e trova i doni sotto l’albero.

Le parole, mai sopra le righe, attraverso cui nel libro racconta questo e tanti altri aneddoti che coprono una bella fetta di storia italiana dagli anni Settanta in poi, con una incredibile carrellata di personaggi, sono un intrigante spaccato della vita di un musicista vero e pure una smitizzazione del ruolo della superstar. Non che Frizzi non ne abbia incontrate – c’è una parte del libro in cui parla di Celentano, per esempio, esaltandone soprattutto il lato umano – però, da autore di colonne sonore, è per definizione un uomo ombra. Ma, soprattutto negli ultimi anni, Frizzi si è mostrato anche nei panni del musicista da palco. “Ho avuto la fortuna di lavorare in studio, ma pure di andare in tournée per raccontare la mia storia, suonando principalmente la chitarra, il mio strumento principale. Mi è capitato di suonare anche altro e, a questo proposito, ho un ricordo buffo: nella colonna sonore del film intitolato Luca il contrabbandiere di Fulci (1980), c’è un brano funky con una serie di assoli. La prima volta che andai a Londra con il mio spettacolo musicale che raccoglieva le mie musiche per i film di Fulci, aprii il brano suonando i legnetti, per poi passare alla tastiera. Ho persino fatto tournée in America, sia in locali grossi che in posti piccoli, con l’adrenalina a mille ma anche grande spirito di fratellanza. L’estate scorsa, nel periodo di parziale riapertura, ho tenuto qualche spettacolo, ma l’atmosfera del concerto mi manca tanto.”

Non sorprende che a un musicista vero manchi il palco. Sorprende di più e, magari, stizzisce pure qualche strumentista orbo del suo ambiente e del suo lavoro che a sbandierarlo ai quattro venti siano stelle di prima grandezza del firmamento musicale italiano, personaggi che centellinano le proprie esibizioni live, preferendo pochissimi eventi oceanici di fronte a un pubblico enorme rispetto a tournée più dispendiose sul piano fisico ma meno eclatanti per la loro immagine. Non serve Sherlock Holmes per risalire ai colpevoli. E non è stata certamente l’emergenza Covid a tagliare le gambe a un settore che era già più che agonizzante, avvitato intorno alle finzioni dei vari talent show (in questo caso sarebbe inutile invocare l’intervento di Hercule Poirot).
“Sono un timido e la mia vita è sostanzialmente divisa a metà. Facevo concerti praticamente sinfonici e poi mi sono messo a dirigere le orchestre televisive e avevo davvero lo stress da palco. Ora, invece, il momento live me lo gusto profondamente. È una vera gioia. Le rockstar sono poche e sono fortunate. Ecco una cosa che non ho messo nel libro. Ero a Londra, alla Union Chapel, peraltro nella serata di Halloween, un momento simbolico per gli appassionati di horror. Sala piena. Grande attesa. Grande concerto. Finito di suonare, sono andato nel backstage, ho preso da parte i musicisti e ho detto: ‘Ragazzi, ora sì che ho capito cosa prova Mick Jagger!’. Questo solo per dire che a certi personaggi, forse, manca qualcosa nell’anima. La loro grande popolarità li spinge a dichiarazioni superficiali. E la musica sta attraversando un momento di grande crisi. Questa crisi ha portato personaggi famosissimi, come David Crosby, a vendere il proprio catalogo di canzoni. Io mi sono inventato qualcosa e ho portato alcuni spettacoli nei teatri.”

Chi ipotizza che Fabio Frizzi si sia formato solo attraverso la musica classica o la musica italiana è fuori strada. Nel suo libro si citano svariate influenze: da Bill Hailey ai Beatles, da Caruso ai Crosby, Stills & Nash, dagli Yes al funk. Le atmosfere delle sue colonne sonore, soprattutto quelle horror, tradiscono una passione peraltro dichiarata per il prog. “Una delle massime soddisfazioni della mia vita l’ho avuta la seconda volta in cui sono stato alla Union Chapel, occasione in cui mi sono permesso di aprire il concerto Frizzi 2 Fulci cantando il brano ‘In the Court of the Krimson King’. La penso in modo opposto rispetto al più famoso autore italiano di colonne sonore, secondo cui per essere originali non bisogna ascoltare musica di altri: io ho sempre avuto bisogno di ascoltare altra musica. Per esempio, quella di Mike Oldfield, che faceva un po’ tutto da solo. Non avrei potuto prescindere da Tubolar Bells, anche se in quello che faccio non c’è nulla di quel disco.”

Passione, si diceva. Si nota da come Frizzi racconta dei suoi incontri con musicisti dalle stesse affinità elettive, per esempio Franco Bixio e Vince Tempera, con cui creò un sodalizio compositivo duraturo. Si nota anche dall’affetto, perché di quello si tratta, con cui descrive gli strumenti utilizzati in alcune incisioni, nomi cari all’universo dei musicisti: Vox Continental, Hammond, Fender Rhodes, Mellotron, Farfisa Compact, Gibson ES330, Martin D41 e via discorrendo. “Il grande regista francese Alejandro Jodorowsky e il disegnatore francese Moebius hanno realizzato una graphic novel horror intitolata Les ieux du chat, 23 tavole commentate da pochissime frasi. Il mio discografico americano mi ha proposto di accompagnarle con la mia musica e io, a scapito della velocità, lo sto facendo, utilizzando solo vecchi strumenti analogici.”

Dicevamo che Fabio Frizzi di strada ne ha fatta tanta dalle colonne sonore di Lucio Fulci e da quelle della serie di Fantozzi a oggi, passando per collaborazioni con Luciano Salce, Steno, Bruno Corbucci, per citarne alcuni. Quello che resta è la musica. “Perché la musica è una missione in cui esibizionismo e comunicazione si fondono. Se suoni e la gente non è contenta, sei dispiaciuto perché speravi di trasmettere gioia. Dunque, c’è la condivisione di qualcosa, attraverso la creatività personale. Ecco perché fare il musicista, come fare lo scrittore, non può essere considerato un lavoro come un altro. E, comunque, la musica è un linguaggio universale.”
La coerenza e la passione talvolta pagano. Leggete le pagine in cui Frizzi racconta lo stupore nell’apprendere che Quentin Tarantino aveva scelto per la colonna sonora di Kill Bill: Volume I un vecchio brano scritto dal trio Bixio-Frizzi-Tempera per il film Sette note in nero di Fulci.

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