Hanno questa capacità rara, gli Yo Yo Mundi, di non dimenticare mai la loro, la nostra tenerezza e trasformarla in una bandiera che sventola anche quando non c’è vento e il tempo è immobile. Hanno questa forza gentile, e quindi rivoluzionaria, di usare le destinazioni contrarie per battere le strade e indicarle a chi vuole unirsi per una festa campestre. Hanno un cuore gigante che batte e si commuove, si indigna, e che con un ritmo asincrono culla i fragili, gli incerti, i dimenticati, i soli. Hanno “denti di latte da lupo” per mordere la vita e ricordarcela così tonda e piccola, come una luna timida e capricciosa. Da Acqui Terme con orgoglio partigiano, da trentadue anni, gli Yo Yo Mundi non hanno mai giocato con le mode. Autentici, poetici, fieri di una diversità che è fiore rosso e occhi da staffetta per mantenere integra la Val di Susa, percorsi sghembi per raccontare di volta in volta le storie di animali da circo disertori, evidenti tracce di felicità, la gioia di essere una banda rumorosa e tutti i percorsi sghembi che imprevedibilmente ci rendono umani.
La rivoluzione del battito di ciglia è il loro diciannovesimo album, una citazione trasversale di un verso di A tratti dei Csi: “Nell’occhio inconsapevole di un cucciolo animale, archivio vivente della Terra. Un battito di ciglia sonnolente racchiude un’esistenza”.
Il battito di ciglia che ora è sonno, ora è lacrima, ora stupore di essere vivi, ora è spinta dal basso: un crowdfunding per realizzare un album che fino a metà febbraio non troverete su alcuna piattaforma di streaming ma che per rispetto di un progetto partecipato si può (si deve) acquistare nella sua versione concreta, sia vinile o cd.
Sono undici canzoni. Undici pennellate, undici minuscoli gioielli per il collettivo guidato da Paolo Enrico Archetti Maestri che nel tempo ha cambiato struttura, line-up, organico ma mai, mai, neppure in questo anno feroce, ha smarrito la voglia di abbracciare in musica chi ascolta. Canzoni come fotografie, pagine di un libro, poesie. Canzoni dove gatti, piume, chitarre, archi (gli archi meravigliosi di Chiara Giacobbe) e voci sono un tappeto per ritrovarsi. Ritrovare la terra, le armonie universali. Ritrovare la voglia di essere vivi e la felicità “ovunque si nasconda”.
E quindi gli Yo Yo Mundi cantano e davvero pacificano il cuore in questa notte dove l’alba tarda ad arrivare. Cantano l’impresa dell’uomo che volò per 2 metri e 24 centimetri sopra un’asticella – Fosbury – con un inserto di filicorno di Giorgio Li Calzi che ricorda la tromba di Chet Baker in Shipbuilding di Costello. Cantano i momenti “di ubriachezza e gli istanti di memoria” nella ferita aperta di Spaesamento e nell’incanto di Nel Paradiso degli acini di uva, cantano la notte, cantano una ninna nanna, cantano gli inni che si cantano per una Valle Che Resiste con Marino Severini dei Gang.
In questo disco c’è tutta la poetica di chi non tollera “la voglia di aggredire” e ha trovato un altro percorso, più profondo, per esserci, contarsi con ogni mezzo: la battaglia dei sorrisi, le imboscate delle buone maniere, la trincea dei pensieri larghi e generosi come certi fianchi di donne e uomini, la sfida dei sorrisi da regalare a chi non conosciamo, incrociando nuvole e destini per quanto ci sarà concesso. Per questo vale la pena non sprecare, per questo Il respiro dell’Universo è la traiettoria delle nostre fionde di sangue e carta velina. Per questo vale la pena guardare per terra, rintracciare attraverso le molliche di Pollicino il luogo dove abitano i nostri compagni, le nostre sorelle. Tenendo per mano la musica degli Yo Yo Mundi. Che è un sollievo e una speranza. Un disco prezioso come un battito di ciglia, da ascoltar con grazia.